Fo10di F"lviaForossino. pare l'altra categoria essenziale dell'area indipendente), può darsi che non abbia prospettive. Ma un vero e grande artista come Bunuel ricordava, un po' marxianamente, che nessuna necessità economica giustifica la prostituzione dell'arte, e che la sua condotta morale restava quella di dire sempre e, soprattutto, soltanto le cose che gli stavano davvero a cuore. Qualcosa, intanto, hanno già dato. Senza volere teorizzare improbabili riappriopriazioni del "mezzo" cinema, una sua diversa funzione, diverse modalità d'uso. Una linea più o meno sommersa di cinema indipendente, del resto serpeggia lungo tutto il cinema italiano del dopoguerra, dalle esperienze "politiche" e impegnate di Zavattini, dell' ANPI negli anni cinquanta ai primi film dei fratelli Taviani, e poi a quelli di Bellocchio, Bene, Nanni Moretti, giù giù sino a Piavoli. Oggi, essa appare però più diffusa. Per ragioni tecniche (di diffusione di possibilità tecniche più variate e leggere), per ragioni economiche (di costi produttivi), per ragioni di coscienza teorica della realtà cinematografica. Si è detto "diffusa", non certo sistematica o organizzata. È un'area diffusa in senso geografico (solo per il centro-sud, cioè lontano dall'epicentro del fenomeno, l'asse MilanoTorino, Roberto Silvestri ne ha stilato una fittissima, capillare mappa, regione per regione, provincia per provincia, complicata da migrazioni interne e svariante dai "professionisti" episodicamente già penetrati nel circuito commerciale ai videoamatori locali), e ancor più lo è quanto ai mezzi, ai formati, anche se film a 16 mm e video in 3/4 sembrano imoorsi come i poli essenziali del loro lavoro. Questa frammentazione esasperata ci pare, in questo momento, più che giustificata, doverosa. Non è il momento di fissare "scuole", di definire linee di tendenza, peraltro ancora prive d1 progetto e di valori in atto. Che mille fiori fioriscano e mille_scu~le gareggino va di nuovo bene. Senza bisogno di legnumaz10111:del mercato, della critica. Si tratta, però, di qualcosa di diverso dalla creatività narcisista tipo '77. Alla fine, deve essere qualcosa di utile e interessante per noi spettatori comuni e non. Non può essere:: soltanto il ricambio dell'esistente o il freddo culto, da replicante, per il feticcio elettronico. Un caos regolato, un delirio organizzato sul piano dell'azione culturale e su quello delle scelte stilistiche, può essere la lezione che hanno ancora da proporre gli "irregolari" degli ultimi veri "nuovi cinema" (e come variante tecnica più agile e economica del cinema è usato il video, e come tale può essere considerato, ma le questioni sopra e sollo la comunicazione elettronica sono ben lontane dall'essere state analizzate e risolte in maniera soddisfacente), i Godard e i Rocha degli anni sessanta. In questo senso, che i film-makers si siano scelti punti di riferimento che saltano completamente Roma e il suo modello di cinema (e di televisione), che si inventino altri padri e recuperino altre tradizioni, è un elemento positivo. New York, ma la New York "indipendente" di un'arte povera che vale non perché povera, ma perché ricca di idee, perché detector di sensibilità diverse, esercita senza dubbio una forte attrattiva (tanto meglio se depurata dai miti del Rifiuto, dell'Altro, del Diverso, del Sotterraneo, su cui il pensiero filosofico ha da tempo esercitato una dura e doverosa critica, e invece magari comprensiva dell'interesse per i vecchi "generi", per i B-film), recuperati in varianti d'autore, intel-
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