Linea d'ombra - anno II - n. 10 - giugno 1985

90 SlORIE/ZORII Nihil obstat (nulla osta) Dal diario di Ganz Mentito anche troppo, durante la giornata. Stasera sono triste, triste come me. Penso che chi è triste non ha torto, per questo non posso fare paragoni che con me. Ma prima di essere triste ero dolorante. Mi sentivo una massa pesante, che tuttavia doveva muoversi e reggere il peso, non si sa perché. Adesso sono un po' più leggero e resistente, mi lascio andare a passi falsi: mettere giù queste righe, per esempio, ma anche per calmarmi, raccontando a me stesso una storia. Sembra che, nella relazione fondamentale con se stessi, quasi tutti gli uomini sono dei narratori, e io, mio malgrado, appartengo spesso alla maggioranza. È andata cosi, press'a poco, romanzando. Camminavo per strada e c'era il proverbiale vento da film che spazzolava la strada. Una carta svolazzava sul marciapiede. Un bicchiere di plastica rotolava. Un barattolo da birra vuotato e schiacciato. Un mozzicone di sigaretta aveva il rossetto (non so come ho fallo a notarlo). E un bastoncino di zucchero filato. C'erano anche tante altre cose, distratte dal fare semplicemente i rifiuti e paesaggio per il fatto che ho creduto di poter far provare a quella roba il dolore, avendo bisogno di cederlo. Ma gli oggetti cosi, nel bel polverone, pur sollevati a similitudine dall'inlempcric e da mc, non facevano che confermare e rimandarmi il dolore. Finché lo scatto di un pesante cancello automatico, che stava chiudendo, mi ha tramortito. È stato un colpo secco, inaspettato,eppure non ha suscitalo in me nessun rancore, nessun ricordo, piuttosto una specie di condanna e rapida esecuzione di un mal essere che rincasa, anche se il cancello non c'entrava, o meglio c'entrava perché ho preso lo scatto in condizioni di resa. Il colpo alle spalle mi ha sollevato nel trasalire, liquidando su due piedi, per lo spavento, un'anima in pena, e lasciandomi in cambio una sopportabile tristezza, che mi tengo ancora addosso, da quasi mezz'ora, col timore che presto scivoli fuori. Vorrei prima spartirla con qualcuno, una donna, che stasera ho cercato e non ho trovato nei miei luoghi comuni di piacere, nei bar dove mi precipito piano, né rinfrancalo né deluso, dopo i pasti serali. Questa donna, che non so cosa di speci&ledebba avere, adesso non c'è a vedermi, guardarmi,toccarmimagari, forse proprio perché sono le donne, e non una donna, che la mia parte mediterranea continua a scoprire e inventare in un paese che ancora esclama ed è sempre più altrove. 'Tu cerchi troppo l'aiuto degli altri, specialmente quello delle donne. Non vedi che sbagli?" mi ha detto uno, stasera,appoggiato al banco. Ha ragione? Ha torto? lo gli ho offerto da bere, una consumazione. Ora è qui, und bin ganz allein in dem grossen stumm. Non mi resta che fare da mamma paziente. E coccolare, carezzare, consolare, viziareanche, immaginandole tutte, tutti, lì, morti e vivi, uno a uno o a frotte, come viene, come uno che sta lì a guardare davanti, perché anche per me, da qualche parte, c'è qualcuno che mi è stato a guardare pensando. Ho una cosa a portata di mano che è un bicchiere di vino. Tra le dita mi fuma una sigaretta d'esportazione, consumata solo in questo paese. Sulle ginocchia, tirate verso il ventre, ho un atlante geografico aperto. Sopra tengo il blocdi réclame su cui sto scrivendo. Se in qualche modo mi reggo, lo devo anche a questi momentanei punti d'appoggio, che almeno ci sono. Non si trata, per ora, di sollevare il mondo, il peso del grande mondo, ma un piccolo mondo, il mio, tra gli altri, ma sì, dopotutto. Appuntato sulla parete, sopra il letto ho messo un ritratto per coprire la macchia di zanzara. Rappresenta un temperino a due lame estratte. Sul manico si può leggere in elegante corsivo: Sfere e Cili11dre11iper macinazione cementi. Era un omaggio. Adesso è la fotocopia di un temperino. Sul foglio, in basso, ho scritto a macchina PERDUTO AL MARE QUESTA ESTATE. Chi lo vede, di solito lo guarda e ride. E fa bene. L'ho messo lì anche per questo. lo ci ero affezionalo. Le lame erano lucide e tagliavano moltissimo. Sul manico di madreperla c'era una bruciatura di sigaretta. Mi piaceva tenerlo, sentirmelo in tasca, tutto il giorno, aderente alla coscia. Lo usavo solo la sera, per ammirarlo, tagliare lettere, o togliermi il nero delle unghie. Forse è meglio cosi. Che lo abbia perso, il temperino, e che magari qualcuno lo abbia trovato e se lo goda, o che perda il filo e la lucentezza in una località balneare, e magari uno lo ritrovi quando non serve più a niente, e lo lasci stare. Era deposto nel cassetto di un comodino. Un giorno l'ho tiralo. fuori, maneggiato e messo in lasca, contento. Un giorno lo avrei riposto in un cassetto, voglio dire in quella specie di loculo avanti-indietro degli effetti personali. Cosi, almeno spero, gli è stata risparmiata la brutta fine di diventare un oggetto prezioso, una reliquia. Si è fatto tardi, ma ho ancora paura di chiudere gli occhi. Cercherò ancora qualche appoggio. Ci sono varie possibilità che non ho ancora sfruttate. Punterò la sveglia, tra l'altro, qualche minuto dopo. Domani progetterò il tetto di una casa in campagna. la villa di un grande amore, mio attuale committente. Capriate, terzere, correnti, displuvi, compluvi. Sì, vuole compluvi per la sua copertura, le linee più delicate dei tetti. Raccolgono tutte le acque delle falde, ma non è prudente fare assegnamento sulle tegole, sia pure sagomate appositamente. È buona norma disporvi della lamiera zincata, assestata a forma di conversa e ben chiodata all'armatura sottostante in legno. Perché, adesso, vuole legno per la sua soffitta. lo lavoro da anni nei cementi armati. Farò del mio meglio. Nihil obstat, niente lo impedisce.

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