Linea d'ombra - anno II - n. 10 - giugno 1985

DALLMEEMORDIEIUNAGUIDATURISTICA Sergio Lambiase n llegri agenti turistici, guide giornaliere, entertainers li.il del venerdì notte, cuochi del Miradois, del Mi ramare, della Stella di Ponente, e di tutti gli alberghi a ore, di tutte le pensioni meublés, di tutte le zimmer costrette a pagare una esosissima tassa di soggiorno. I turisti son tornati: i sassoni, i bavaresi, gli alsaziani, finanche i moldavi, i ruteni, i valacchi e tutti gli séalcinati trapper portati dal vento dell'est! Tosiamoli, ma senza suscitare il loro sentimento nazionalistico, industriamoci a govèrnarli come quiete bestie di transumanza, ma prima che il sospetto li faccia ritrarre inorriditi dall'abisso. La bestia portata al macello si lascia condurre docile, ma guai se si volta a guardarti per un attimo dicendoti irrimediabilmente addio. Ho stampato nella mente lo sguardo di un vallone che si piegò a mirarmi, mentre, lì dove fioriscono i limoni, lo sospingevo verso un pub fumoso, dove tra deliqui di birra guinness e salsicce alla brace si acconciava ad ascoltare i neapolitan dances! Sacrifichiamoli, ma a mente sgombra, chiedendo dentro di noi perdono! Duna, luna caprese, che sorgevi improvvisa sulla tolda del caremar in corsa verso Napoli, a illuminare brutalmenteil suo carico ondivago e petulante! Si udivano allora lamenti, sorrisi, inquieti discorsi dal buio, tra fiati di birra e vomiti scozzesi, mentre il molo scuro si avvicinava e il profilo di marsupiale della città ostentava i suoi bagliori all'acetilene! Lì, proprio lì, sul mare capriccioso o in terra, tra una sosta e l'altra, riuscivo ad avere incontri furtivi e inebrianti, come un esploratore in fuga dalla foresta, come un naufrago in perfetta e funebre allegria. Sono cose che forse avrei evitato, se anche il più incredulo dei viaggiatori non si fosse aspettato dalla sua guida questa indefettibile voglia di tenerezza' Vi giuro che ho amato follemente, e ci furono congiunzioni nel cesso del caremar, o nel retro bar della stazione degli aliscafi, o nel terrazzo dell'hotel Miradois, accanto alla canna fumaria della stireria, tra i vapori arseniati e l'odore dolciastro dell'amido, perché ciò imponeva il décor della mia professione. Non potevo deluderli, non dovevo deluderli! In genere le clausole erano sempre le stesse, con piccole, innocenti variazioni. Indebolito da ridicoli fastidi-notturni, dovevo fingere afrori e violenze avvertiti più con la mente che con il cuore. Amplessi dolorosi e stillanti, col mio pene saltellante come un birillo sfiorato e i suggimenti e gli struggimenti, questo io capite sono cose da gentiluomini, e gli sfiancamenti e le finzioni finali, in un conato di felicità fittizia: "Delightful, pleasant, wonderful!", che faceva palpitare le membra e il cuore. Erano carezze disperate, tra le mattonelle troppo lucide e il triste secchio della scopa, tra il finestrino appannato e la cassetta vuota delle aranciate, con quelle visioni di carne docile e innamorata, mentre una mano si ostinava a girare Ìa maniglia per entrare. Non so come ho sopportato tutto questo, proprio non so. Ciò che mi colpiva era questa smania di far presto, prima che il ruggito del motore si calmasse, prima che si sentisse il rumore dell'ancora buttata in acqua, come un pedaggio da pagare alla mia sensualità levantina, come una profanazione da subire prima di mettere piede in paradiso. Erano tutte incalzate da questa urgenza, e anche le bionde virago occitanee avevano scuri e folti pubi da ostentare! A Capri era connaturata una qualità più essenziale; amare fino alla delicatezza di innocenti bottigliette di nano ghiacciato portate in camera e bevute tra un allegro pompino e un altro, con frivolezze e salaci equivoci del tipo: ''Tu Pampino, me Pompino!", mentre si guardava la luna di giugno. In quei casi i camerieri si aggiravano nel corridoio come animali famelici. Con il pretesto di lucidare i pomi delle porte, attendevano la consumazione dell'evento, quando non appoggiavano la loro inquieta sclerotica al buco della serratura, nella speranza di carpire sia pure un barlume di quelle mie intossicazioni notturne. A volte, dopo una mattina trascorsa dondolandoci sugli abissi del Monte Solaro a guardare il golfo in basso finalmente pacificato, senza il tum tum atroce dei torpedoni, senza il cigolio della funicolare più stipata della barca di Caronte, ci rifugiavamo in albergo per un bagno ristoratore. Ovvero i viaggiatori correvano a tuffarsi nelle loro vasche eleganti del primo piano, quelle coi rubinetti in forma di delfino, mentr'io mi arrampicavo sul semicupio scrostato, schiacciavo l'ultimo scarafaggio messo in fuga dai miei passi, mi accendevo una carnei prima di immergermi nell'acqua torbida che una fontana arrugginita versava. Ora mentre ero lì, a fissare lo scatolo di borotalco sul davanzale del finestrino e semmai giocherellavo con la saponetta impiastricciata, una voce femminile dall'altra parte dell'uscio mi riscuoteva dalle mie dolci agonie. Credetemi, parlo da gentiluomo. "Ho portato le vostre ginestre!" "Le mie ginestre?" "Quelle che avete colto questa mattina, vicino all'ultimo pilone della seggiovia!" Perbacco, era vero: mi ero sentito in dovere di consentire con l'amenità dei luoghi, mentre lei, questa accigliata vergine celtica, mi andava indicando i ciuffi più folgoranti di giallo sul dirupo malioso. "Non posso ricevervi in questo momento. Non sono in condizioni di ..." Ma la porta s'era già aperta e la vergine era al mio cospetto, con il suo mazzo di fiori a sottolineare la fiera agitazione del viso. Era il momento di agire, di andare incontro a quel bagliore! Dopo un momento ero in piedi dinanzi a lei, tutto grondante d'acqua e di mota, con il sesso che già formicolava per il piacere inatteso. Ci baciavamo, ovvero lei mi lambiva con piccoli, terribili colpi di lingua, tra le guance e la gola, tra l'orecchio e la spalla, fino a quando non si abbrancicò al mio corpo, scivolando in terra come di fronte a una immagine sacra. Quanto ai fiori, si spiegazzarono sul pavimento (sulle riggiole sconnesse!) ed in parte finirono nell'acqua, mentre la fontana continuava a sibilare ... Ecco, mi si chiedeva un tempo senza tempo, abbandoni a cui non ero più abituato da bambino, cortesie e infoiamenti. Struggimenti che avevo conosciuto solo in compagnia di mia sorella, nel grande sepolcreto della mia infanzia! E lei che

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