8 DISCUSSIONE/DINI UNMITOANTICO PERPROBLEMAITTUALI Vittorio Dini L'individuo e i suoi sentimenti e comportamenti di fronte alle regole e norme astratte della società; diritto naturale, leggi morali "eterne" e sempre sentite e diritto positivo, leggi scritte e rese valide da una autorità che ne impone il rispetto; i valori dell'uguaglianza e quelli della giustizia; la forza e la violenza in rapporto alla norma e al diritto; la pietà ed il perdono contro la oggettività e "neutralità" del sistema giuridico e delle sue regole; la colpa, il suo fondamento soggettivo (la colpevolezza), e la legittimità della pena e del carcere. Temi quasi "eterni" della rinessione, ma che diventano in determinati passaggi storici dibattito concreto, che riguarda giudizi o scelte pressanti e urgenti. Problemi di filosofia del diritto, ma insieme categorie di giudizio su eventi e circostanze, che vedono larghe fette della società implicate ed impegnate. Gli anni dell'emergenza e questi nostri della lenta e faticosa uscita dall'emergenza impongono la centralità di questi temi, erichiedono di superare l'ottica riduttiva, tutta "politica" - e di una assai discutibile politica - di una circolarità tra ruoto repressivo dello Stato borghese e lotta contro tale repressione. È una prospettiva questa che, facendo di necessità virtù, non soltanto riduce lo scontro a un livello militare, carcerario e solo in questo senso politico, ma fa perdere la complessità e la generalità dei problemi investiti. Impedisce di ripercorrere il cammino dal carcere alla pena, le motivazioni J?iùampie e generali, di filosofia del diriuo. E la logica, appunto, dell'emergenza, tulta stretta nel circolo - viziosoterrorismo/attacco allo Stato/situazione d'emergenza/leggi eccezionali. Non si tratta soltanto di una questione di tempi, bensì di una vera e propria logica, di una struttura e di un modo di funzionamento teorico e pratico. Perciò nessuna illusione storicistica, e neppure alcuna ammonizione del tipo: "l'emergenza non è finita, quindi non si deve ancora abbassare la guardia!". Si tratta infatti di capire fino in fondo le "ragioni" di quel circolo vizioso, di risalire alle sue cause più profonde, anche quelle più squisitamente ideologiche e di mentalità. Soltanto così si può pensare di rimuovere - ma veramente - quelle false "ragioni" e impedire che esse possano costituire la base di un "nuovo" diritto, di una "costituzione materiale" soltanto rinnovata ma in realtà fondata prorio su quelle "false" ragioni. Che il terrorismo non sia del tutto finito, non vuol dire che si debba continuare con le leggi eccezionali, con il "pentitismo", ecc. A parte la diversa natura - e la diversa incidenza - del terrorismo di oggi, è la logica generale che va messa in questione, il nesso di specularità stesso tra terrorismo e Stato (di eccezione). Alla critica dell'emergenza dedica il proprio sforzo teorico la nuova rivista "Antigone" e lo dichiara fin dal sottotitolo: "bimestrale di critica dell'emergenza". Perché Antigone? Si sforza di spiegarlo il saggio centrale del primo numero di Massimo Cacciari. In effetti, qualche ambiguità il riferimento al mito sofocleo può presentarla, se è vero che - come è stato notato in uno dei migliori saggi di analisi del mito (Simone Fraise, Le mythe d'Antigone, Paris 1974, p. 16) - "oggi Antigone non è più con, essa è contro. Le virtù di compassione cedono il passo di fronte alla resistenza a un potere ingiusto. Questa Antigone ... è stata adottata dal XX secolo per fare intendere la voce del debole contro il potente. Ai nostri giorni ogni riferimento al suo nome rinvia ad un problema di ordine politico". Eppure non sempre è stato così: non è questa l'interpretazione che ha dominato la storia del mito (puntualmente e acutamente descritta da Cesare Molinari in Storia di Antigone, Bari 1977). Ma in una direzione non molto diversa sembra rivolgersi la stessa interpretazione più generalmente accettata: il mito come rivendicazione delle ragioni del diritto naturale (Antigone) contro la dura autorità autofondantesi del diritto positivo (Creonte). Ed ecco allora le inevitabili - e perfino comprensibili - grida ad avvertirci che, in fondo, anche le ragioni di Creante sono ... ragioni, che senza leggi non c'è città, non c'è organizzazione, non c'è Stato. Lo sostiene con vigore anche Hegel (Lezioni sulla filosofia della religione, Bologna 1974, p. 133): "Creonte non è un tiranno, ma rappresenta qualcosa che è anche una potenza morale. Creonte non ha torto, egli ritiene che la legge dello Stato, l'autorità del governo debbano essere rispettate, e che il castigo sia la conseguenza della loro violazione. Ciascuno di questi due lati non ne realizza che uno, ha per contenuto solo uno. E cioè la unilateralità e il significato dell'eterna giustizia è che ambedue hanno torto perché sono unilaterali, ma perciò anche ambedue hanno rag.ione. Ambedue vengono riconosciuti nel corso non intorbidato della moralità, qui ambedue hanno il loro valore, ma conciliato. La giustizia si eleva solo contro l'unilateralità". Ma è lo stesso Hegel a vedere in Antigone e Creante degli individui in conflitto che "si presentano, secondo la loro concreta esistenza, ognuno in se stesso come totalità, cosicché in sé stessi si trovano in potere di ciò che combattono, violando quindi ciò che, conformemente alla loro esistenza, dovrebbero onorare ... Così in entrambi (Antigone e Creonte) è immanente ciò contro cui si ergono rispettivamente, ed essi vengono presi ed infranti da ciò che appartiene alla cerchia stessa della loro esistenza" (Hegel, Es1e1ica, Torino 1967, p. 1360). Infatti, Antigone morirà prima di raggiungere il compimento naturale del proprio essere donna, prima cioè di gioire della danza nuziale, mentre Creante realizzerà nella morte della moglie e del figlio la tragica manifestazione del passaggio - e della involuzione - della propria posizione da rappresentante del diritto positivo a sostenitore della mera ragion di Stato, una volta che gli viene a mancare ogni consenso, e da parte del popolo e da parte della sua stessa famiglia. li tragico sta proprio in questo: non nell'opposizione di due astratte figure, né nella lotta di un diritto contro un altro diritto, ma nel fatto che dentro ognuna delle figure si rappresenta e si sviluppa il connitto stesso tra la pietà e la ragion di Stato, tra il "diritto delle ombre" della natura femminea
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