Linea d'ombra - anno II - n. 10 - giugno 1985

68 Un'immagine da La cadutadelle foglie (1966). La prima volta sono rimasto sorpreso perché non era il paese che mi immaginavo. Mi pareva che la Francia fosse scomparsa, quantomeno quella che conoscevo dalla letteratura, dalla pittura, dal cinema. Avevo in mente immagini degli anni trenta e dell'immediato dopoguerra. Credevo che i poeti, le prostitute, i pittori, i clochards, i filosofi si riunissero nei caffè e che tutti fossero allegri, aperti, calorosi ... Ho visitato tutti i quartieri in cui c'erano questi caffè, e ho visto si sui muri disegni e versi, ma tutto era ricoperto di plastica trasparente, e non aveva più vita. Invece la gente mangiava. Mangiano, mangiano tanto, e non si conoscono. L'ultimo posto in cui c'era un po' di vita era la Closerie des Lilas, ma era un posto mondano, freddo, senza vere vibrazioni. Ho anche scoperto con rimpianto che i francesi non hanno l'ombra del senso dell'humour. Prendono tutto terribilmente sul serio, si creano falsi problemi e si offendono per cose di cui non bisogna offendersi. Ho anche scoperto che adorano i pettegolezzi. Appena uno esce da una stanza, tutti raccontano cattiverie terribili su di lui. E questa mi è sembrata pessima educazione. Ho anche trovato, in questo stesso paese, gente che non vive in società, che non esce, che non ha per scopo quello di mostrarsi. Vivono tra loro modestamente, anche in modo brillante, non sono calcolatori e invitano a casa loro a cuore aperto. Anche la mentalità più profonda dei clochards è stata per me una rivelazione. Sono persone molto oneste, con le loro regole di condotta e le loro nozioni del bene e del male, che a me andavano bene. È il solo gruppo sociale che mi sembri completamente onesto e libero, a parte il fatto che è la destrezza a nutrirli. Ogni loro azione, per esempio, è oggetto di profonde discussioni con gli altri. Credo che il problema dei francesi sia che non hanno genitori. E cosi, poco a poco, l'essere umano si abitua all'assenza di calore nei rapporti umani, quella che si può trovare in partenza nella famiglia. Non appena i ragazzi crescono, si sposano e si separano dai genitori. È molto triste, perché tutti si ritrovano soli. I nonni avrebbero il tempo e la voglia di dare tenerezza, ma vivono anche loro in un'altra casa, e così tra le generazioni non ci sono ponti. Non è la cattiveria a caratterizzarli, ma semplicemente la freddezza. In 1favoriti della luna le sequenze in bianco e nero rappresentano una nostalgia dell'età d'oro? Oggi abbiamo la tendenza (perdonabile) a pensare che prima andava meglio. Sappiamo che non è vero, perché c'erano l'inquisizione, la tortura, la carestia, i tiranni, la ghigliottina, la peste, la servitù, i mascalzoni, come in Russia. Ma preferiamo pensare che fosse meglio, perché indubbiamente era vero nel campo del costume, con l'assenza dei falsi divertimenti tecnologici di oggi. Prendere il tempo giusto per vivere insieme nella calma, suonare il piano o la chitarra, sono cose che si sapevano far meglio prima. Mostrare le immagini di questo passato mi offriva un contrappunto, nel film. D'altra parte sono gli stessi attori a recitare le sequenze al passato e al presente. Volevo sottolinearlo maggiormente, ma la lunghezza del film non me lo ha permesso. Avrei voluto che si spogliassero e cambiassero i vestiti prima di passare nelle sequenze a colori. E la musica? Volevo utilizzare vecchie canzoni francesi, romanze degli anni venti, e i quartetti di Rossini. li compositore Nicolas Zurabisvili è bravissimo, e mi ha scritto tre o quattro brani, tra i quali un valzer. Ha stilizzato su quello che io volevo, e c'è stata un'ottima comunicazione. La relazione regista-musicista è molto importante. L'influenza di Nino Rota sui film di Fellini è incredibile: li ha resi allo stesso tempo patetici e buffoneschi, nella tradizione dei clowns. Dopo la sua morte, Fellini ha fatto E la nave va, che è decisamente triste. Non mi piace l'influenza del compositore sul film quando serve alle cuciture. La musica che voglio utilizzare per il tessuto sonoro esiste già tutta, ricorro ai brani che culturalmente mi servono per esprimermi. E non deve trattarsi di una musica complicata. li folklore vocale che ha attraversato i secoli per giungere fino a noi è stato ben levigato dalla sabbia del tempo e arriva a noi solido e serio. È di esso che mi servo. Zurabisvili l'ha capito: non ha voluto, per l'essenziale, scrivere una musica originale, perché anche lui preferiva i canti popolari. Come hai lavorato col Ilio direi/Ore dellafotografia, Philippe Theaudière? Mi aveva aiutato per la fotografia di Lei/era di un cineasta e per Euskadi. Lavora soprattutto nel cinema documentario. Non volevo avere complicazioni con l'immagine perché più o meno so cosa voglio fare, e cercavo qualcuno sufficientemente duttile per realizzare quel che avevo preparato. È un ragazzo che controlla benissimo il proprio mestiere, senza stile da "artista", e che non rompe con

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