Due immagini da l favoriti della luna. stamento delle carte. 65 Successivamente dovevo costruire delle sequenze contenenti in se stesse un aneddoto, brevi storie che descrivessero le abitudini dei personaggi o offrissero particolari importanti, in grado di dare al film la sua vitalità. È, se si vuole, la carne apposta sullo scheletro. Così aggiungo poco a poco delle cose, che mi sono simpatiche, che ridestano la mia voglia di girare. Preferisco questo metodo a quello che consiste nel cominciare una sceneggiatura e sviluppare la storia come se si sta scrivendo un romanzo. È più vicino alla scrittura musicale o alla matematica. D'altra parte, nel mio mestiere ricorro spesso alla metodologia matematica, in particolare nella ricerca delle strade più brevi tra due punti. Quelli che hanno un'educazione umanistica fanno lunghe curve nel tentativo di arrivare a un punto. Ma l'algoritmo su cui esercitarsi, perché il cervello va addestrato come il corpo, dà la possibilità di avere un metodo con cui organizzare meglio il materiale. Dopo La caduta delle foglie, C'era una volta un merlo canterino e Pastorale, avevi l'impressione di aver esaurito un certo tipo di narrazione? la strullura di 1 favoriti della luna se ne distingue neltamente. È possibile che da un punto di vista formale la continuità narrativa, con un personaggio o un gruppo di personaggi, non mi interessasse più altrettanto. Quanto ai temi, avevo anche l'impressione di aver dato fondo alle descrizioni dei costumi e dello stato morale dì una certa società: la fabbrica e ì problemi sociali in La caduta ... , la città e l'ìntellìghenzia in C'era una volta ... , e la campagna e la visione reciproca dei cittadini e dei contadini in Pastorale. Volevo adesso accostarmi di più alla mia esperienza diretta della vita e al mio sguardo su di essa. Ho già cinquant'anni, e mi sono detto che potevo cominciare a riflettere più seriamente. Se si deve analizzare il declino di una cultura sulla terra, non si può spiegarlo che con l'aumento dell'individualismo nelle nostre mentalità. Quando ci si distacca dalla società si diventa soli e sì cerca di riempire il vuoto che ci circonda con i beni materiali. La comunicazione tra la gente passa in qualche modo attraverso le cose che si possiedono. Questo crea degli strati sociali. Le frontiere tra gli individui non sono determinate dai loro punti di vista sulla vita perché questi punti di vista sono già determinati dall'appartenenza a questo o a quello strato sociale. li modo in cui gli esseri si distaccano dai loro simili mi sembrava un problema grave, ma il solo modo di parlarne era di trattarlo in commedia. Era una cosa troppo seria per farne un dramma, sarebbe risultato noioso. Bisogna divertirsi. Abbiamo dunque fatto un film un po' ironico e buffo. L'idea base è che si lascia questo mondo con le mani vuote e con rimpianto. Ma forse no, chissà. È però auspicabile che alla fine della vita si rimpiangano gli errori fatti. E l'analisi di questi errori era ciò che ci attirava. Di qui l'idea di presentare il furto come una metafora della vita? li furto viene dall'individualismo. Più tu prendi e più dimentichi che prendi a qualcuno: diventa qualcosa di astratto. La catena dei furti ci è servita da schema per il film, se la si segue si finisce per scoprire chi è che ha perso. Quando un oggetto (o una donna, o un uomo: è la stessa cosa) cambia di mano, questo lo logora. Così gli oggetti finiscono per rompersi e si rimpiccioliscono, e le persone diventano sempre più fredde e disperate. Eppure stai più dalla parte dei ladri che non da quella di chi possiede. Di fatto tutti quanti si occupano di furto. Ma i ladri professionisti sono semplici, ingenui e diretti. Quelli che prendono qualcosa credono che questo abbia un significato, ma in realtà è nulla. Sono agli antipodi del mio merlo canterino. Anche tu sei un ladro. li tuo film è molto personale e molto coerente e uni1ario; però rubi a Tali, Clair, Bresson, Godard... Come è avvenuta la congiunzione tra la Francia dei tuoi ricordi di cinéphile e quella che hai potuto osservare? Non si può mai dire di essere l'autore unico delle proprie azioni. Noi siamo il prodotto di mille sforzi di coloro che ci circondano. lo sono quel che sono a causa dei nonni che mi hanno cresciuto. L'assenza stessa dei miei genitori ha agito come un esempio, forse in modo ancora più forte. E penso inoltre al ruolo dei miei vicini, dei ragazzi con cui giocavo, dei miei professori, degli intellettuali che frequentavo all'università. Tutto questo naturalmente ti influenza, così come coloro che se ne sono andati da molto tempo, come Puskin, Mozart, Rabelais o Omero ... Più importante ancora, tutti costoro ti aiutano a sceglierti gli amici, i simili, e a continuare a vivere in loro compagnia. Per me ci sono due categorie di persone: quelli coi quali ho voglia di stare a tavola insieme e quelli che evito col pretesto del lavoro, delle cose da fare. Da questo punto di vista non posso dire
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