Linea d'ombra - anno II - n. 10 - giugno 1985

non più fortuna di quanta ne abbiamo incontrata, nel 1949, agli occhi di Benedetto Croce, e se si guarda bene non è nemmeno questo un caso (la metodologia formalista è, ovviamente, anticrociana, ma la teoria non sembra, dopotutto, così diversa come si dice). Quanto a Mukarovsky, le tesi fondamentali della sua estetica sono sistematicamente in conflitto con quasi tutte le gen"eralizzazioni teoriche in cui la semiotica letteraria continua a riconoscersi. Quanto poi a Bachtin, l'eJichctta di precursore della semiotica ha certamente avuto il merito di promuovere la circolazione del suo pensiero, ma ciò non toglie che sia un'etichetta assolutamente arbitraria, grazie alla quale si passa sotto silenzio la sua polemica contro !"'estetica materiale" degli anni '20, così come quella contro la semiotica stessa degli anni '70. "La ricerca contemporanea in letteratura", osserva Bachtin nel suo ultimo scritto, del 1974 (ora in Esthétique de la création verbale, Parigi, Gallimard, 1984), "ha l'abitudine di definire il lettore immanente all'opera come lettore ideale onnicomprendente - lo stesso tipo di lettore postulato nell'opera. Non si tratta, beninteso, di un lettore empirico, di un'entità psicologica, bensì dell'immagine di lettore concepita dall'autore. Ad esso si opporrà un autore altrettanto astratto, ideale. Così inteso, il lettore ideale sarà un riflesso nello specchio dell'autore - un riflesso che ne costituisce la duplicazione; non potrà introdurre nulla di personale, nulla di nuovo nell'opera- idealmente compresa- né nel disegno-idealmente concluso - dell'autore; esso si colloca nel medesimo spaziotempo dell'autore stesso; più esattamente, allo stesso modo dell'autore, fuori del tempo e dello spazio. Non può, dunque, essere un altro rispetto all'autore, non può possedere il surplus DISCUSSIONE/BRIOSCNI che inerisce alla sua alterità. Tra l'autore e un tale lettore non s'instaura alcuna interazione, alcun rapporto attivo, drammatico, perché non sono più delle voci, bensì delle nozioni astratte, eguali a se stesse e tra di loro". Il contrario, insomma, della dialogicità bachtiniana, a cui pure ci si pretende di richiamare. Persino Borges lo diceva: "i generi letterari dipendono, forse, meno dai testi che dal modo in cui i testi vengono letti. Il fatto estetico richiede la congiunzione del lettore e del testo e solo allora esiste. È assurdo supporre che un volume sia molto più di un volume. Comincia a esistere quando un lettore lo apre. Allora si manifesta il fenomeno estetico". E ancora: "Ho sospettato talvolta che la distinzione radicale tra la poesia e la prosa si trova nella diversissima aspettativa di chi le legge". Le forme del testo rinviano, insomma, non solo a un autore e a un lettore impliciti, ma anche a presupposti e alle attese di lettori reali, che solo un autore reale può integrare(o orientare diversamente) nel proprio progetto. Questo dialogo, che a sua volta presuppone un contesto ulteriore, non meno empiricamente determinato, non può essere inteso come qualcosa di aggiunto e di estrinseco alla comunicazione letteraria, che troverebbe nel testo tutte le istruzioni necessarie e sufficienti al suo funzionamento. È proprio sul piano teorico che tale dialogo deve trovare adeguata rappresentazione. Fin tanto che la semiotica si precluderà ogni sortita da quel mondo spettrale di ombre che è stato finora il suo oggetto di studio, la teoria della letteratura che ne discenderà sarà solo un'estetica mascherata, che a differenza della vecchia estetica ha semmai il torto di non presentarsi nemmeno come tale. La prima parte di questo saggio è apparsa sul n. 8 di "Linea d'Ombra". 63

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