Linea d'ombra - anno II - n. 10 - giugno 1985

60 DISCUSSIONE/BRIOSCHI quadro una figura così e così, allora posso associarle il predicato "figura di uomo", e in questo senso posso dire che la figura significa "uomo"; se mi viene all'orecchio la parola "tavolo", allora posso associarle il predicato "oggetto di forma p, materia q, uso r" ecc., e in questo senso posso dire che significa "oggetto con le proprietà p, q, r" ecc. Qualsiasi uso intuitivo dei termini "significato" e "significare", letterale o metaforico, connesso a motivazioni causali o a regole arbitrarie di corrispondenza, può essere compreso in questa descrizione. Anche qui, il ricorso a una terminologia in parte diversa non modifica la sostanza dell'argomentazione. Del resto la proposta di Eco mi sembra più che accettabile, e in ogni caso non solleverò obiezioni su questo punto. Tralascerò inoltre di riassumere gli sviluppi, pur rilevanti, a cui essa va incontro nella sua analisi (le eventuali discrepanze che potrebbero insorgere nel passaggio a una diversa terminologia sarebbero facilmente superabili con semplici accorgimenti formali). Mi limito a precisare due aspetti. Questa descrizione è strettamente connessa alla nozione sopra discussa di "semiosi illimitata": in particolare, ne discende ancora una volta l'esclusione, dall'orizzonte semiotico, del cosiddetto "referente", ossia degli oggetti o stati del mondo così come sono, indipendenti e preesistenti a ogni predicazione (inclusa la predicazione percettiva). Il rapporto instaurato dalle inferenze semantiche è sempre un rapporto tra un segno e un altro segno. Vista in questa prospettiva di "semiosi illimitata" (una sorta di nominalismo radicale), tale esclusione appare del tutto pacifica, e l'insistenza con cui Eco la sottolinea suona persino eccessiva. Pretendere il contrario, che ci si debba occupare anche dei "referenti", sarebbe come pretendere che la teoria della conoscenza dovesse occuparsi anche del noumeno, ossia di ciò che per definizione si sottrae a ogni conoscenza. li limite della cosa in sé, voglio dire, non è invalicabile solo per la semiotica, né rappresenta, sotto questo profilò, una sua caratteristica peculiare. In nessun modo, tuttavia, ciò può oscurare il fatto che la conoscenza è appunto un "gioco di coordinazione" con la realtà, e che lo stesso vale a maggior ragione per il linguaggio: dove addirittura la coordinazione che cerchiamo ci impegna in primo luogo con quella particolare realtà che è costituita dai "dati" stessi del linguaggio. Né l'esclusione del "referente" deve in alcun modo confondersi con l'eliminazione del riferimento: non solo nel senso, più volte illustrato, che devo appunto far riferimento ad alcune proprietà della traccia d'inchiostro per riconoscere una lettera dell'alfabeto; ma anche in un senso che tocca il cuore stesso dell'argomentazione di Eco. L'inferenza semantica è a sua volta, né più né meno, un atto di riferimento da un segno, come abbiamo visto, a un altro segno che ne costituisce il significato. In altre parole, senza riferimento non si danno né segni, né significati. E la cosa non si ferma qui. Ricalcando una distinzione familiare nella logica simbolica, potremmo convenire di chiamare inferenze e riferimenti sintattici quelli che ci consentono di identificare i simboli e le loro combinazioni; inferenze e riferimenti semantici quelli che ci consentono di associare un'interpretazione ai simboli e alle loro combinazioni. La distinzione è utile in quanto corrisponde abbastanza bene all'immagine intuitiva che noi abbiamo della faccenda, soprattutto in rapporto ai sistemi simbolici istituzionalizzati. Ma l'operazione è sempre la medesima in entrambi i casi, e di fatto il confine tra inferenza o riferimento sintattico e inferenza o riferimento semantico si sposta a seconda della domanda che ci stiamo ponendo in quel momento: se mi sto chiedendo quale lettera dell'alfabeto ho di fronte, l'assegnazione del token al suo type (l'identificazione della traccia d'inchiostro come token di un type: se la traccia è così e così, allora "a", o "b" o "c") è in questo caso un'inferenza semantica. Per converso, se mi sto chiedend_o a quale registro della lingua italiana appartenga la parola "destriero", tutte le inferenze precedenti diventano, al fine in questione,-inferenze sintattiche: tra 1:a1tro, tale descrizione coincide con il modello hjelmsleviano della connotazione, dove il simbolo con la sua interpretazione semantica si propone complessivamente come simbolo per un'ulteriore interpretazione semantica (in questo caso, il predicato "voce letteraria"). La vera distinzione è un'altra. Ci sono inferenze che ci conducono da un simbolo a un altro simbolo (o segno, o predicato, o etichetta), che a sua volta si applica al primo: il predicato "orma di coniglio" si applica all'orma, così come "vooe letteraria" si applica alla parola "destriero" e "trisillabo" si applica alla parola "tavolo". In altri termini, qui i predicati designano proprietà dell'oggetto: l'orma è un'orma di coniglio, e "tavolo" è un trisillabo. Diciamo che in questi casi il simbolo che abbiamo di fronte esemplifica quel predicato (o proprietà) e chiameremo esemplificazione l'inferenza relativa. Ci sono invece inferenze che ci conducono a simboli che 11011 si applicano al primo: dalla parola "tavolo" noi inferiamo "oggetto così e cosi", ma la parola "tavolo" non è un oggetto così e così. Diciamo che in questi casi il simbolo denota quel predicato, e chiameremo denotazione l'inferenza relativa. È facile constatare che la connotazione di Hjelmslev rappresenta sostanzialmente un caso particolare di esemplificazione. In questo senso, quando diciamo che la parola "cane" connota "fedeltà" usiamo un 'espressione poco accurata: con ogni evidenza, non è la parola "cane" che esemplifica la fedeltà, bensì semmai il cane stesso (sia pure considerato, il cane ci perdoni, in quanto segno). Ma questa distinzione riproduce esattamente la distinzione intuitiva tra oggetti e segni. Fin quando ciò che ho di fronte esemplifica predicati (fin quando faccio riferimento a sue proprietà) io lo pongo come un oggetto. Quando ciò che ho di fronte denota predicati (quando faccio riferimento a predicati che non gli si applicano), io lo pongo come un segno. Ebbene, ciò che io pongo come oggetto presenta una caratteristica cruciale che Io distingue da ciò che pongo come segno: mentre qualsiasi predicato è esemplificato dagli "oggetti" che denota, gli "oggetti" (per quanto siano anch'essi, in virtù della semiosi illimitata, dei predicati) non possono a loro volta essere esemplificati.

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