VENT'ANNDIOPO OVVEROL:ASEMIOTICVAESTITDAINUOVO Franco Brioschi E]o parlato, nella prima parte di questo intervento, di un riorientamento della semiotica in senso cognitivo e filosofico. Non che mancassero invero istanze o pretese filosofiche anche vent'anni fa, nella fase strulluralista da cui abbiamo preso le mosse. Al contrario, lo strutturalismo non nascondeva certo l'ambizione di rappresentare un movimento di pensiero, i cui connotati peraltro (al di là di un nucleo ab.bastanza riconoscibile di proposizioni relative ai metodi della linguistica) risulterebbero assai poco chiari a chi oggi volesse rivisitare le discussioni di quegli anni. Non mi propongo qui di entrare nel merito, anche se molto ci sarebbe da dire in proposito. Ma una differenza va segnalata, senza che la cosa debba avere necessariamente un intento polemico (lo acquisterebbe solo agli occhi di chi fosse tanto geloso del proprio patrimonio storico da respingere come un'aggressione qualsiasi immagine meno che apologetica). L'ipotesi dominante era allora che per lo più i problemi teorici autentici potessero trovare soluzione in termini di metodo. Sono questo profilo, leambizioni filosofiche dello strutturalismo (là dove ne aveva, naturalmente) si identificavano semmai con la fiducia nella possibilità di ridurre l'autonomia della dimensione filosofica tradizionalmente associata ai problemi delle scienze umane, riportandoli da un.contesto tipicamente argomentativo a un contesto in cui fossero applicabili procedure di decisione. Chi ci assicura, tuttavia, che gli aspetti rilevanti di un problema teorico debbano essere proprio quelli che si prestano a procedure di decisione? E che cosa, se non una qualche astuzia provvidenziale della ragione, può garantirci che i problemi interessanti debbano essere proprio quelli che si prestano a una siffatta riduzione? Per credere a una coincidenza tanto fortunata occorrerebbe aderire a una qualche forma di programma neopositivista, secondo cui tutto ciò che si sonrae a un trattamento di questo tipo sarebbe perciò stesso privo di senso, e dunque d'interesse conoscitivo autentico. Ma è questa una tesi, credo, che pochi oggi si sentirebbero di sonoscrivere a priori. Alcuni sviluppi recenti della semiologia, mi sembra di capire, riconoscono invece francamente la presenza irriducibile di una dimensione teorica autonoma, per esempio, nei problemi del linguaggio. Il che vuol dire, beninteso, che tali problemi si sono rivelati, sotto qualche aspetto rilevante, irriducibili a problemi di metodo, non certo che si sottraggano alla rinessione razionale propria (o almeno così dovrebbe) della filosofia. Nulla esclude, del resto, che alcuni o molti problemi interèssantipossano essere effettivamente sottoposti a procedure di decisione. E soprallutto nulla raccomanda necessariamente, là dove ciò non fosse possibile, il ritorno puro e semplice a precedenti ortodossie: soluzioni sbagliate (ammesso che fossero sbagliate) non diventano più vere solo perché la strada che abbiamo nel frattempo esplorato ci appare ora insufficiente. Come che sia, un buon esempio di questo spostamento d'accento è la nozione di "semiosi illimitata" che Eco ha derivato da Peirce, e che mi proverò a formulare, con una certa libertà, partendo proprio dal con celio di riferimento. Ho dello più sopra che di solito il termine "riferimento" è riservato all'ano di designare oggetti o stati del mondo extralinguistici: cosa che per lo più la semiotica non considera di sua competenza. Ma l'ano di riferimento è in realtà molto più pervasivo, e ben difficilmente può essere espunto dalla descrizione se appena lo consideriamo sollo un altro aspeno che nessuno, credo, riterrà irrilevante. Quando io riconosco in un suono un fonema, o quando "pertinentizzo" alcuni tratti di una traccia d'inchiostro leggendovi una le11era, che cosa sto infatti facendo? Fra tutte le proprietà che l'oggetto possiede, io ne seleziono alcune e ad essefaccio riferimento. Non basta che l'ogge110 possieda quelle proprietà: occorre anche che io faccia riferimento appunto ad esse, e non ad altre. Nemmeno il conce110, centrale sotto ogni riguardo, di "funzione" potrebbe consistere se non in quanto presuppone un allo di riferimento. Né il segno si costituirebbe come segno davanti a noi se non attraverso un qualche atto di riferimento. Ciò d'altra parte, abbiamo aggiunto, non apre in alcun modo la porta ad alcun sogge11ivismoincontrollato. lo debbo infatti far riferimento a proprietà che l'oggetto realmente possieda: non posso leggere quel che mi pare nelle tracce d'inchiostro che ho di fronte, non più di quanto possa vedere quel che mi pare quando mi guardo intorno. Ma che cosa significa, appunto, possedere una proprietà? La domanda è molto imbarazzante, anche perché riguarda al tempo stesso i segni così come qualsiasi altro oggello di percezione o conoscenza. Che cosa mi autorizza a vedere in una traccia d'inchiostro una lettera dell'alfabeto, o in una massa colorata un tavolo? il fatto che questi oggelli possiedano le proprietà p, q or relative(supponiamo) alla forma, alla materia, all'uso, al contesto in cui si trovano, ecc. Ora, il termine "possesso" implica, ovviamente, un impegno ontologico: dire che un ogge110 possiede una proprietà significa avanzare un'ipotesi su ciò che è quell'oggeno. Proprio perché l'oggetto è così e così, siamo indoli i a pensare, noi possiamo riconoscere le tali e tali proprietà che gli attribuiamo. Ma come posso verificare questa impu'tazione di realtà? Riconoscere in un oggetto le proprietà p, q or altro non significa se non sussumerlo a una qualche categoria universale (predicato o segno o etichetta, verbale o non verbale, esplicita o implicita) che lo include nella sua estensione; significa, in altri te_rmini,sapere che i predicati corrispondenti p, q or si applicano a quell'oggetto. E perché allora i predicati p, q o r si applicano, come si applicano, a quell'ogget10? Potremmo tentare di rispondere che i predicati p, q or si applicano a quell'oggello in virtù del fatto che questo possiede certe altre proprietà s, t o v: ma ancora una volta io posso riconoscere che l'oggetto possiede tali proprietà ·se e solo se posso sussumerlo a una qualche categoria universale che lo include nella sua estensione; cioè a dire, se e solo se i predicati corrispondenti s, t o v si applicano ad esso. E così via. La regressio ad infinitum non può essere interrotta. Predicati e proprietà sono mutuamente convertibili: ad ogni passo ci ritroveremo al punto di partenza, né ci è dato alcun modo di uscire dal cerchio. I predicati (o segni o etichette) non possono essere
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