54 moltiplicando la presenza della voce nella nostra cultura; ma può esser considerato positivo un fatto come questo, quando si assuma un 'ottica dell'opposizione voce/scrittura compromessa con l'idea dell'opposizione immediatezza viva/mediazione alienante? E ancora: oltre a una certa "stanchezza della scrittura", non crede che nella nostra civiltà si avvertano i sintomi di un 'antitesi esistenziale fra "essere" e "significare"? La domanda tocca un punto di cui è difficile parlare senza drammatizzare (forse a torto) il discorso. I media auditivi elettronici (dischi, radio, tv eccetera) sono paragonabili alla scrittura per tre rispetti: I) aboliscono la presenza del portatore di voce; 2) ma anche, escono dal puro presente cronologico, poiché la voce che trasmettono è indefinitamente reiterabile in modo identico; 3) in seguito alle manipolazioni consentite dai sofisticatissimi sistemi di registrazione odierni, i media tendono a cancellare i riferimenti spaziali della viva voce: lo spazio in cui si dispiega la voce riprodotta dai media diventa (o può diventare) uno spazio ricostruito artificialmente. In compenso, questi stessi media differiscono dalla scrittura per un aspetto capitale: quello che essi trasmettono viene percepito dall'udito (ed eventualmente dalla vista, nel caso della TV e del film), ma non può essere letto, in senso proprio, vale a dire decifrato visivamente, come segni (codificati al secondo grado) del linguaggio. È dunque possibile (ed è l'opinione più comune) vedere nei media auditivi una sorta di "ritorno in forza" della voce; e anche più che della voce, poiché con il film o la TV si vede un'immagine fotografica, e forse presto si avrà anche la percezione del volume. Tuttavia è chiaro che la mediazione elettronica/issa la voce (e l'immagine). In questo senso, rendendole reiterabili, essa le rende astratte; cioè a dire, abolendo il loro carattere effimero abolisce quello che nel mio libro ho chiamato la loro tattilità. Ma se mi capita di parlare di "ritorno in forza" della voce, intendo con questa espressione un'altra cosa, che va oltre la tecnologia dei media: alludo a una sorta di risorgenza delle energie vocali dell'umanità, energie che sono state represse durante i secoli, nel discorso della scrittura sociale delle società occidentali, in seguito all'egemonia della scrittura. I segni di questa risorgenza (bisogna dire: di questa insurrezione?) sono dappertutto, dal disinteresse dei giovani verso la lettura alla proliferazione della canzone, in tutta l'Europa e il Nordamerica, a partire dagli anni Cinquanta. Fatti simili mi interessano più per le realtà psicologiche latenti che esprimono, che la loro portata attuale. La differenza tra i due aspetti della mediatizzazione (la voce si fa sentire, ma è divenuta astratta) è senza dubbio insormontabile. Io non ho dubbi che il progresso tecnologico potrà mascherarla, o almeno renderla meno sensibile. Ma nel suo fondamento essa dipende dalla differenza biologica tra l'uomo e la macchina. Si potrebbe citare, come apologo, la storia del calcolatore (computer): sostituto elettronico della scrittura, che tuttavia, un giorno vicino, parlerà (i primi esperimenti sono cominciati). L'astrazione vocale sarà allora tanto maggiore per il fatto che non si tratterà di registrazione, ma di una vocefabbricata. Che cosa pensare di tutto questo a lungo termine? Per principio io mi sforzo di evitare il pessimismo; ma ... Si tratta di possibilità, cioè della lettura di una storia non ancora trascorsa: speculazione rischiosa! Almeno questo mi sembra di poterlo dire: quello LawrenceFertingheui(fotodiFulviaFarassinoJ. che con i media è perduto, e lo sarà necessariamente, è in ogni modo la qualità che io chiamo corporeità, il peso, il calore, il volume reale del corpo di cui la voce non è che l'espansione. Di qui, deriva a colui al quale il medium è rivolto (e fors'anche a colui la cui voce viene trasmessa) una particolare alienazione, una disincarnazione, della quale probabilmente non si rende conto che in modo assai confuso, ma che non può non iscriversi più o meno profondamente nell'inconscio. Ci si può chiedere quali esplosioni questo provochi fin da adesso, a nostra insaputa. Di necessità, mi sembra, la viva voce ha bisogno - un bisogno propriamente vitale - di "prendere la parola", come si dice. Ma questa presa, a meno di diventare violenta (e come potrebbe, se non sotto forma di grido?), potrebbe realizzarsi nella forma di un discorso sociale sempre più psicotico, di una schizooralità (nel senso in cui un etnologo ha parlato di "schizo-cultura"). A mio parere l'aspetto piu stimolante del libro consiste nel contributo in verità notevole che esso offre alla prospettiva di una antropologia letteraria: ossia ad un approccio alla teoria della letteratura che anziché isolare il testo, considerandolo come oggetto linguistico autosufficiente e assoluto, tenga conto della sua funzionalità propriamente estetica (e non solo comunicativa) nel contesto di uno scambio fra soggetti umani determinati, che interagiscono e si condizionano reci-
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