Linea d'ombra - anno II - n. 10 - giugno 1985

Fo1omonIaggìo dì A. Rodcenko per il poema dì Majakowsk,j e Majakowskij nel /914. rispe110a noi), è il pregiudizio /et/erario che ho cercato in primo luogo di eliminare. Nel libro in corso (e in una conferenza che ho tenuto recentemente a Napoli, Roma e Venezia), insisto molto su questo punto: l'idea di "letteratura" è storicamente marcata, di pertinenza limitata nello spazio e nel tempo: essa si riferisce alla cività europea, tra il XVII o il XVIII secolo e i nostri giorni. Io la distinguo molto nettamente dall'idea di poesia, che per me è quella di un'arte del linguaggio umano, indipendentemente dai suoi modi di realizzazione e fondata su strutture antropologiche profonde. È in questo senso, dunque, che mi sono posto il problema della poesia vocale (insisto sull'aggettivo) e ho scartato tutti i presupposti legati all'espressione, purtroppo diffusa, di "letteratura orale". La presenza della voce è un 'opera che si presta a numerose chiavi di lellura. Una, in particolare, sembra acquistare rilievo man mano che il discorso procede, fino a trovare nella Conclusione una conferma appassionata (e non priva di qualche accento bergsoniano): l'antitesi polemica fra laparola orale, palpitante, viva, dotata di ricchezza espressiva incomparabile, e la parola scritta, fissa, mortificante, rigida, imperialisticamente protesa a soffocare o a emarginare ogni forma autonoma di oralità. Ma tale posizione non rischia di entrare in contraddizione con l'avvertenza (formulata in apertura a parziale correzione delle tesi di Ong e McLuhan) che la dicotomia oralità/scrittura designa i due estremi di una serie continua piullosto che un netto contrasto, e quindi può esser conservata solo a un livello molto elevato di generalizzazione? O forse una delle principali ragioni di essere del libro consiste proprio nell'esigenza di descrivere un fenomeno per sua natura estremamente vasto e complesso senza sacrificare la precisione dell'analisi all'intuizione storica di grandi svolte epocali, e viceversa? Parola e scrillura: si tratta di un'antitesi puramente retorica, o l'opposizione si riferisce a delle differenze irriducibili? Oggi mi pare evidente che la dicotomia orale/scritto proposta (con qualche sfumatura, è vero) da A.8. Lord trenta o quarant'anni fa, e in maniera molto sottile da W. Ong (il cui pensiero si è sensibilmente evoluto nei suoi libri più recenti), questa dicotomia non può essere mantenuta rigorosamente come tale. Ma, per quanto concerne il mio libro, devo fare a questo riguardo due osservazioni. Sono di ordine alquanto diverso l'una dall'altra, ma sono collegate, perché la prima rinvia alla base soggettiva della seconda. I) Sebbene io sia per professione un uomo di scrittura (e sebbene io mi senta e voglia essere, in grandissima misura, uno scrittore), ho sempre provato spontaneamente una simpatia, un interesse affettuoso, a volte una passione per la voce umana o piuttosto per le voci, perché esse sono per natura particolari e concrete. Nella conclusione del mio libro mi sono lasciato andare a una specie di confidenza su questo punto, ma il libro intero, quasi senza volontà da parte mia, viene ad essere chiarito da queste ultime pagine, presenti fra le righe sin dall'inizio. Senza dubbio il lettore vi avverte qualcosa come la nostalgia sotterranea di un calore e di una libertà che sono quelle di un'infanzia (quasi) perduta, di una storia (quasi) passata ... Non sono per nulla vittima di questo sentimento. Ma d'altra parte sono persuaso che simili disposizioni interiori non possano essere represse (contrariamente al pregiudizio positivistico) senza nuocere al funzionamento dell'intelligenza critica; 2) Dal punto di vista metodologico, ho sempre professato l'opinione che nelle scienze umane (qualunque sia l'oggetto di studio) la maggior parte dei fatti si situi lungo una scala disposta fra due estremi. Questi estremi a volte non hanno altro che un'esistenza teorica. Non di meno, è importante definirli con chiarezza, prima l'uno poi l'altro, perché è il solo modo di far luce sulla moltitudine dei fatti intermedi tenendo conto della loro specificità. Detto questo, nulla è più estraneo al mio pensiero e alla mia pratica dell'uso di opposizioni nettamente distinte. Nei nostri tempi si assiste, come lei apiù riprese sollolinea, ad un "ritorno in forza dell'oralità", reso possibile in larga misura dalle moderne tecniche di riproduzione del suono e dell'immagine. Ma questo fenomeno rappresenta davvero una sorta di rivincita della voce sulla scrittura, o non delinea piullosto unafissazione (o una fossilizzazione) scrillurale della vocalità e dell'espressione corporea? li perfezionamento tecnologico che consente di immagazzinare e trasmettere il parlare umano con un 'illusione di conta Ilo sempre maggiore (prima il discorso, astratto e trasposto in segni grafici; poi la vera voce, registrata e diffusa a distanza; ora la voce e l'immagine insieme) non finisce in sostanza per esaltare la differenza tra comunicazione comunque mediata e presenza viva? Certo, la separazione della voce dalla presenza ha aperto nuovi orizzonti all'oralità, modificando e 53

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