Linea d'ombra - anno II - n. 10 - giugno 1985

CINEMA MOZARBTESTSELLER Alberto Barbera Se non ci si contenta delle apparenze, non può non far rinctterc l'accidentalecoincident!a che due uomini di cinema siano stati a breve tentati da un medesimo testo tc·atralc. Sottrae casualità a un evento di per sé non infrequente sulla scena dello spettacolo contemporaneo, il fatto che siano entrambi transfughi dal loro paese d'origine cd entrambi approdati, con esiti diversi, al cuore stesso del cinema hollywoodiano, estraneo, chiuso e a priori ostile. Chi scrive non ha visto la messinscena diretta e interpretata (nei panni di Mozart) da Roman Polanski per il Théàtrc Mjlrigny di Parigi ma, fatte le opportune deduzioni, se ne può trarre la ragionevole conclusione che l'uno e l'altro abbiano voluto ritrovare nel testo di Petcr Schaffer i conflitti dell'artista che mette a soqquadro le regole imposte in una società autocratica e in un'arte ufficiale o, meglio, che siano stati ugualmente tentati da una lettura (peraltro ovvia) che muove dall'opposizione schematica fra artista individuale, ''puro", e artista di regime, legato a un potere: "si può ben dire - l'ammissione di Forman è esplicita - che Amadeus racconti la storia di Hollywood". È un fatto comunque che, mentre a Polanski dopo il breve idillio hollywoodiano è toccato di riprender posto, per così dire, tra le fila dei cineasti della diaspora (sia pure per motivi che in apparenza eccedono l'ambito puramente artistico: ma si sa quanto questo si riverberi sul sociale e viceversa), il cecoslovacco Milos Forman al contrario ha finito col trovarsi a proprio agio in America, meglio ancora che a casa propria. Nella vasta e screziata tipologia del cineasta transfuga, storicamente condita di esempi contrastanti (dalla breve e tragica esperienza di Murnau, alla conflittualità permanente di Stroheim, alla trionfale integrazione di Lubitsch, passando per il disprezzo/delusione di Lang e di Sirk), Forman incarna il tipo dell'artista apparentemente riconciliato, in sintonia totale con un'arte e il suo modo di produzione. estraneo ai conflitti che regolano di solito i rapporti fra produttori e realizzatori (salvo in un caso: la soppressione del pcr~onaggio di Emma Goldman in Ragtime. "I: stato il solito conflitto della mia carriera con un produttore• nella fattbpccic Dino dc Laurentiis - a proposito di montaggio finale"). Ridotta all'osso, l'avventura americana di Forman si dà a leggere come la storia di una progressiva, riuscita, totale assimilazione ai codici hollywoodiani e al suo linguaggio. Dalle acrimonie sensibili, toniche, devastatrici degli Amori di ,ma bionda, dcl'Asso di picche, di A/fuoco pompieri. alle dissertazio• ni etnologiche sull'american midd/e c/ass di Taking o// la soluzione cli continuità c'è, anche se-non si vede ancora. Dopo, è una corsa ad essere più hollywoodiano dei nativi, perchè il pubblico non si accorga della differenza: padroneggiando astutamente la grande macchina produttiva del cinema americano, amministrando con abilità budge1 miliardari, occultando la propria identi• tà in una specie di autobiografia dissimulata. Che si tratti della "metafora totale" di Qualcuno volò sul nido del cuculo. della rivisi• tazione/riesumazione di un classico della controcultura giovanile degli Anni Sessania (Hair). o dell'affresco-rétro di Ragtime. è sempre questione di un ribelle chc,entrando in conflitto con il gruppo sociale nel quale vorrebbe integrarsi, viene alla fine eliminato una volta acquisita la certezza della sua im• possibile assimilazione. Ritorno ossessivo di un tema che, se rinvia con certezza al trauma del distacco dalle origini (come qualcuno ha fatto rilevare), sembra sfumare dietro le acF. Murray Abraham (Salieri) in Amadeus di M. Forman. SCHEDE/CINEMA cattivanti sinergie dello spettacolo, che assolvono così la funzione di sintomo nevrotico: quella di rivelare, nel momento stesso in cuì la mascherano, l'angoscia dell'autore. A fare problema questa volta è semmai il fatto che Mozart non compaia nel film se non aura verso lo sguardo del suo antagonista Salieri e che l'autore, Forman, appaia schizofrcnicamente diviso fra l'identifica• zione nell'uno e nell"altro personaggio: ··10 stesso ero affascinato, a teatro, dal rendermi conto che mi identificavo in ciascuno dei due avversari: normalmente, si dovrebbe pren• der partito per l'uno contro l'altro~ con mia grande sorpresa, io mi sono identificato in tutte e due". Da questo momento in poi, si capisce che ogni istanza di autenticità storica venga meno di fronte all'urgenza della "verità drammatica" e che Amadeus abbandoni le 1ranquille spiagge della biografia musicale per inoltrarsi nell'incerta traversata di una "cupa fantasia" (la definizione è dello stesso Pcter Schaffcr). Il distacco (sia detto en passant) è inscritto, in qualche modo, nel film stesso: il genere "biografia musi• cale" è stato lungamente frequentato dal cinema americano in cerca di soggetti "alti" da investire sul mercato popolare del melo• dramma, e ciel suo impianto di fondo (spiegare le opere in termini di proiezione subiiTom flulce (MozlJrt). 127

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