Linea d'ombra - anno II - n. 10 - giugno 1985

apparentemente gli fa da spalla: in realtà è un suo doppio rovesciato, come si conviene a ogni vera coppia comica. Piena di senso e di forza scenica è invece la Ouviale parola di Mi richordo anchora, che Enzo Robutti ha tratto dai ricordi del piuore na·1f Pietro Ghizzardi e interpretato per il Collettivo di Parma sotto la guida di Gigi DairAglio. Certo, qui si pane da un testo di grosso spessore: l'autobiografia favolistica e stralunata, raziocinante e folle di un reietto geniale, alla Ligabue (è stata pubblicata da Einaudi nel 1976 e in qualche libreria si trova ancora). Ghizzardi scrive in una lingua che sembra inventata tanto è remota non solo da ogni letterarietà ma anche dal popolaresco del dialetto; è una lingua dura, con una sintassi schiodata e naturalmente disposta alla recitazione, prossima com'è all'oralità; con un lessico faticato e spoglio, ma di rara espressivit4 e concretezza figurativa. Con questo strumento, personalissimo e insieme ricco degli umori sedimentati da un'arcaica collettività, racconta di sè e del mondo. Le inibizioni, le paure e le smargiassate, i "tanti stenti e tanti sachrifici", i sogni, "lafricha e lcttioppia"', la madre repressiva, adorata e temuta, l'odio per le ··machchine"' e l'amore per la natura, la morte, sempre incombente su un mondo cadenzato da eventi che non diventano mai storia anche quando dalla Storia sono prodotti, sono i tempi ricorrenti da questa epopea che ricomincia ogni volta daccapo ("e poi mi richordo anchora"), avvitandosi sulle ossessioni costanti dell"autore. Molti ricordano Robutti per i suoi passaggi in farsaccc scurrili accanto a strabici nanetti scorreggioni e a lettone gagliarde: cd erano, le sue, carauerizzazioni burattinesche, in cui traduceva l'automatismo dell"istinto nella legnosità astratta del gesto. Qui, solo sulla. scena, può finalmente abbandonarsi a quel surrealismo lunatico che mi sembra la sua vena più autentica. Sul testo di Ghizzardi opera una scelta scrupolosa nel contemperare i motivi personali con quelli sociali e collettivi, ma soprattutto attenta alle pagine in cui serpeggiano inquieti presagi apocalittici o più commossa si delinea una sorta di cosmogonia tra il filosofico e il religioso, sempre al limite del delirio. Sfuma così, relegandole in secondo piano, le pause più sagge e festose e caricaturali e con bella intuizione drammaturgica sottolinea i momenti più visionari e agitati, quelli in cui con maggior intensità emerge una solitudine falotica e umiliata. Forse un po· troppo monocorde nelrorchcstrazionc mimica, ma duttilissimo a pieLucilla Morlocchi in La locanda di Norma Maccanna di G. Sansone (foto di Maurizio Buscorino). gare la voce in timbri ora aspri ora caldi, con improvvise coloriture di indignazione o di stupore, di eccitazione infantile e di epica millanteria, cantilcnando le parole su cadenze padane, Robutti tiene il suo personaggio continuamente in bilico tra minuto realismo quotidiano (mai bozzettistico, però: è un realismo da Bassa, tutto fisico e antisentimcntale, in cui ogni gesto ha misura e peso) e la deformazione grottesca o lo scatto surreale. Anzi, io avrei preferito vederne di più, di questi guizzi folli, come quando, smemorandosi nel racconto, salta su una panca e imita un gallo, o come nell'excursus sulle guerre d'Africa: il testo gliene offriva l'occasione. Così mi è dispiaciuto alla fine, quando abbandona per così dire il monologo, esce dal personaggio e si trasforma iti una specie di coro che suggella la storia: non ce n·era bisogno e, forse per scrupolo illuministico, si presenta una conclusione stonata e banale. Peccato, perchè lo spettacolo è importante. E controcorrente: povero cd essenziale, non si presta al facile consumo, non è consolatorio, raggiunge zone rimosse dell"immaginario contemporaneo, risveglia emozioni e paure lontane. La regia di Gigi Dall'Aglio è come le interpretazioni di Dall" Aglio attore: di finta discrezione e 11011chala11ce, in realtà meticolosamente costruite e attentissime ai minimi particolari, preoccupate sempre di alzare argini all"energia perchè la tensione deve apparire rilassata. In sordina e con sobrietà. Doti sempre più rare, in generale, e nel teatro italiano quasi uniche. SCHEDE/TEATRO Il VIAGGIDOILEO/LEAR Stefano De Matteis Molti erano rimasti sgomenti all'annuncio dell"edizione "integrale" dcll'Amle10 che Leo De Bcrardinis ha realizzato lo scorso anno con Nuova Scena di Bologna e molti, andando allo spettacolo, si erano aspettati uno Shakespeare '"rifatto·· da Leo mentre si sono trovati di fronte lo Shakespeare di Leo. Nato dopo uno spettacolo di .. passaggio .. come The co1111ectio11!", Amleto segnava una ulteriore, e nello stesso tempo nuova, tappa nel suo lavoro che tornava a mettersi sotto il segno di Shakespeare: lo stesso dei primissimi spettacoli con Perla Peragallo del lontano I967 (la faticosa messa in scena dell'Amleto di Shakespeare). Una strada che ora è approdata al King Lear e che proseguirà con la tempesta. La storia di Dc Bcrardinis, dal teatro di Marigliano fino a questi ultimi anni, è stata sempre contrassegnata dalla forsennata ricerca di un teatro che fosse .. contemporaneo a se stesso"', realizzato attraverso un metodo che muoveva prima di tulio dall'elaborazione e dall'approfondimento di una autobiografia politica e culturale che si tramutava in spettacolo fino ad arrivare alla completa distruzione dei mezzi e degli strumenti stessi del fare teatro, attraverso una .. degradazione .. che ha condotto Leo De Berardinis fino al grido disperato e solitario di Cervelloesploso (1983). Da questa situazione nasceva The connection, che ancora una volta denunciava e dichiarava l"impossibilità delle forme teatralì, per ritrovare poi un particolare tipo di poesia sempre presente nei suoi spettacoli e testi (JJ0 Paradiso, Annabel Lee. fino a quelli di Leo-Re: Re Incarna, The King). La poesia, elemento dominante negli spettacoli di Leo e Perla, viene ricercata, dopo The connection. nel testo di maggiore frequentazione detrattore occidentale, nella grande metafora dell'Amleto. Poesia e teatro si sono lì fusi in una rigorosissima messa in scena, da seguire, come un'opera lirica, con tanto di libretto alla mano. Questa fase ha trovato il punto di maggiore forza espressiva in Dante. Studi e variazioni. che può essere utilizzato anche come chiave di lettura per il successivo K ing Lear. Nel Dante la metafora del viaggio, col superamento dei diversi stadi di conoscenza che porta alla rinascita, del nuovo che si genera dal vecchio, vedeva il protagonista come naufrago e nello stesso tempo spettatore del naufragio, come nella scena in cui su spezzoni di A Charlie Parker(un film rcaliz125

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