della stessa domanda per lo stesso teatro. L'abitudine atrcsscrc viziati - invece che viziosi- e quindi a calcolare l'intelligenza stessa (e sempre molta) come parte del repertorio scontato di Carmelo Bene. Ma dall'altra parte - dalla sua - tante trovate e combinazioni e autocitazioni sono repertorio di questo Otello. Legittimi reimpieghi o addirittura ''::,tilc"'. Eppure spesso non ci va di riconoscerlo co::.i.1:omc qualche volta accade. "per filo e per segno". Ma il punto non è fare la critica, ma continuare a valutare le emozioni. E la colpa dalla sua parte sta nel permetterci troppa nostalgia. E allora osiamo confessare di preferire l'eco dei toni, piuttosto che il rimbombo dei volumi. E riaprire - timorosi - il delicato tema della "phoné". Domandandoci quanta amplificazione serva. quando si ha da fungere il corpo per l'invisibile teatro della poesia. Quanto possa risultare inconveniente o sconveniente un raddoppio che rischia di non a·ndare verso ìl supernuo, ma verso una somma esasperata e contraddittoria che si azzera algcbricamemc arrivando alle orecchie. Che comunque realizza in sé l'effe110 e non lo provoca - oltre le orecchie -entrando ad esempio fino al cuore del ricevente (gi.:'1spcllatore). magari sollo forma di diferro. E ancora se troppa tecnologia c·entri davvero con l'aggiornamento della maschera tragica o non sia un'iperbole. quanto il succedersi dei trampoli ai coturni. Ma questi "cattivi pensieri .. non vogliono autorizzare il sospetto di una nostra avversione al microfono. Tanto più nel caso dell'auore che, ancora prìma di adoperarlo. se l'era inventato e realizzato in proprio. scegliendo di forzare la voce nel rapporto .. palato/testa .. e ottenendo quei risultati di rinvio e di alone equivalenti al sapore di perpetua ironia. Forse è ancora nostalgia. ma ancora una volta incoraggiata da un paragone non sconfortante però - come dire? - poco confortevole. Di questo Otello troppo completo anche nella sua impotenza, più cinico che ironico, a suo dispeuo perfino convinto, vittima d'un compiaciuto rimanieramcnto. Di questo Carmelo troppo sicuro del suo potere e del suo personaggio. che spazia stando acquattato e divorando con il doppiaggio tulle le altre possibili pedine. Troppe e con troppi sottintesi filosofismi o psicologismi (leggi Delcuze o i guastatori di Francia). Ancora una voha che rimpianto si prova del primitivo doppiaggio del MercuLiO che non voleva e non doveva morire. nel Romeo e Giu/ieua che Carmelo allestiva non troppi anni fa. Lì - in quel ..dare .. la voce - c'era più prepotenza e -ché non occorre- ma per dar forza alla Voce protagonista. Qui troppa voce. Monotona a dispetto dell'altezza. Un'overdose per intossicazione di teoria? Ma siamo andati al di là del proporre irragionevoli dubbi. Abbiamo addirittura esagerato con le impertinenze. cd anche queste sono libertà che gli abbiamo rubato e con le quali non si può giocare così maldestri. Vorremmo solo aggiungere che queste note sono di confessione e non di giudizio. Nella sola veste - che conosciamo- di spettatori e non di critici. Ché una recensione, se occorresse, dovrébbc auencrsi a dati di fauo innegabili e cominciare ·diversamente: Non c·è niente di meglio. È vero, Non c"è altro. per la verità. Ecco: non c'è più ··altro". Questa ci sembra la verità. Valeva la pena diventare soltanto "il meglio'"? ATTENATIl TESTO Gianandrea Piccioli Da un po' dì tempo nel disseccato orticello del teatro risuona sempre più minaccioso l'imperativo "Coltiviamo il testo!... on intendo ripetere qui le osservazioni altrove esposte in forma pili documentata sull'ambiguità di questo recupero. Benemerito quando significhi una rinnovata attenzione al linguaggio teatrale. e quindi anche a una delle sue componenti, la parola, si rivela però dolcemente mortifero, della morte che pian piano avvolge gli assiderati, quando SCHEDE/TEATRO sia. come di fatto il più delle volte è, una meccanica riproposizione di formule espressive che si speravano sepolte. Saranno invece loro. temo, a seppellire definitivamente quel poco di teatro che ancora sopravvive e così la partita sarà chiusa una volta pcrtuttc. Tutti a casa, o in quelle belle sale all'italiana, cosi care ai nostri politici e ai loro intellettuali burocrati. visto che sono le uniche ancora concesse. Ma abolire o vietare gli spazi non convenzionali ("'alternativi"' si diceva neanche tanto tempo fa. cd era termine già più d'attacco e propositivo) significa dar credito ad un·unica idea di teatro. quella consolidatasi tra Sette e Ottocento e in vario modo e con progeui diversi rifiutata da tutte le esperienze più valide del Novecento. Significa sopratlutto impedire a priori ogni tentativo di modificare la comunicazione (scrittura del testo inclusa) attraverso le modificazioni dello spazio o costringere i teatranti più innovatori a faticosissime e dispendiose ristrutturazioni delle sale, e quindi all'impossibilità di girare con lo spctlacolo; è stato il caso, quest"anno e per citare due Ira le pochissime proposte vitali, dc Le due commedie in commedia di Ronconi e del Re Lear di Leo dc Bcrardinis. Si inducono anche reazioni imprevedibili, come l'entusiasmo, altrimenti ingiustificato, per spettacoli quali Tarwrughe dal becco d'ascia (ma che per echi beckcttiani e ricordi dei personaggi di Andrea Pazienza sarebbe stato meglio intitolare En attendam Zanardi), per la regia di Antonio Sixty. Spettacolo certo non elettrizzante, salvo che per la suggestiva ambientazione in una cella della milanese Fripiù necessità di teatro; non per giustificare Enzo Robuui in Mi richordo anchora di P. Ghiu.ardi {foto di Maurizio Buscarino). 123
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==