12 DISCUSSIONE/BARICCO be comunque la pretesa degli attuali neofilologi di realizzarlo compiutamente: "il Barocco 'filologico' di Harnoncourt, colleghi e concorrenti, non è la verità. È il falso." Due esempi, tra i tanti: l'allegro uso di sopranisti e contraltisti vari per sostituire le voci dei castrati (ovviamente al momento irreperibili): "Quale rosse in effetti la voce dei castrati nessuno oggi sa: una cosa sappiamo con certezza, che la voce di un soprano o un contralto femmina le è di gran lunga meno lontana di quella dei vari signori Alfred Deller, Paul Esswood, Russe! Oberlin, ecc." E poi: la scelta degli organici, sempre ridotti al minimo: "Oramai non siamo afflitti che da sorta di orchestrine da caffè cui è affidata l'esecuzione di Corelli, Bach, Handel, Vivaldi. Si finge di dimenticare l'elementare considerazione che, durante il Barocco, la musica veniva eseguita in teatri piccoli oppure in camere, la più grande delle quali poteva essere un principesco salone delle feste, laddove oggi la si esegue in sale da concerto le cui dimensioni sono infinitamente maggiori.". li riassunto, come sempre, svilisce: creda il lettore che le argomentazioni di Isotta non si fermano qui e suonano, se lette integralmente, anche più precise, ironiche e violente. Personalmente le custodisco nella memoria come bastevole risarcimento a tante serate annegate nella noia di esecuzioni filologiche fino alla stupidità. Secondo luogo comune: l'errata fruizione della musica "moderna". Qui l'argomento è scottante e, come deno precedentemente, bifronte: da una parte la diffusa antipatia per Wagner, dall'altra la supina accettazione della musica contemporanea. Mi permetto di ricostruire il discorso di Isotta ricomponendo frammenti di scritti diversi. Punto di partenza, Wagner. "Oggi Wagner non è più simpatico. Al fatto che gli vengano preferiti compositori che un tempo gli erano di gran lunga posposti, concorrono molti fattori. Presso il pubblico, uno dei principali è l'assai decaduta capacità di ascolto concentrato, o semplicemente dell'ascolto, di brani che non siano strofici, con melodia evidente e simmetrica, ridotti alle funzioni armoniche elementari e caratterizzati da formule ritmiche marcate e ripetute. Oggi si ride, e non senza ragione, del vecchio wagneriano tutto teso, nell'ascolto, a riconoscere il Leitmotiv e solo quello: sta di fatto che tale vecchia razza è stata sostituita da un pubblico che, nel novanta per cento dei casi, è incapace di riconoscere in un atto d'opera di \Vagner un discorso, e men che meno di coglierlo, ma vi vede solo una - rada - serie d'immagini in cinemascope galleggianti in un pelago d'indecifrabile che si cerca di attraversare con le orecchie tappate - il cervello no, quello nacque tappato - sperando che duri il meno possibile. Lo stesso Puccini non continuerebbe a essere l'operista più popolare se in lui, che questo fenomeno già aveva intuito traendo le conseguenze sul pubblico del suo tempo, non si alternasse al grande compositore la puttana: la seconda a costituir da lasciapassare al primo, disseminando l'opera di opportune zone di melodia che nella mente del pubblico si imprimano. Al di fuori di esse, in Puccini la gente non coglie mollo di più di quel che non colga in Wagner." Dunque: regressione della capacità di ascolto, cretinismo collettivo, fruizione impressionista e sostanzialmente falsa della musica, collezione di miti fondati su una serie di equivoci. Okey. Vediamo l'altra faccia del problema. Nell'ultimo saggio del volume (li linguaggio della musica) Isotta annota, a proposito delle avanguardie musicali: "Ciò che rende illusorio il sistema di composizione seriale è che esso non tiene conto d'un fatto fondamentale: che la sua complessità esorbita di mollo dalle capacità di assorbimento (vogliam dire di decodificazione?) dell'orecchio umano. La percezione dell'orecchio umano è semplice. Esso non riesce a cogliere quelle che si presentano per strutture ma che in realtà tali sono esclusivamente da un punto di vista grafico: intendo dire, non riesce a coglierle per tali, ad attribuire loro un senso." E ancora: "La dodecafonia è vecchia più di mezzo secolo, e tuttavia la vera e propria intimidazione culturale massiccia con la quale la cultura ufficiale e i mass-media l'impongono non riesce a rimuovere nell'orecchio di chi ascolta ostacoli in realtà nei suoi confronti irremovibili." Dove Isotta dice due cose cristalline e troppo taciute: che la serialità pone all'orecchio un enigma irrisolvibile; che la cultura ufficiale da anni cerca di far credere il contrario a un pubblico che col tempo ha finito per farsi convincere. Si mettano ora insieme le due facce della questione e verrà fuori un panorama tutt'altro che tranquillizzante: da \Vagner in poi i meccanismi linguistici della musica colla occidentale hanno intrapreso la via di una sempre maggiore complessità contraddistinta da un uso sempre più generalizzato e radicalizzato del cromatismo. Al termine di questo processo si incontra la dodecafonia intesa come ipostasi di un assoluto e finale dispiegamento delle potenzialità cromatiche del linguaggio musicale. Parallelamente a questo processo se ne realizza un altro, simmetricamente contrario: fors'anche perché sedotto dalla felice elementarietà della musica leggera, il pubblico cade vittima di una regressione che progressivamente riduce al minimo le sue capacità di ascolto. Risultato: un totale scollamento tra musica e pubblico. Scollamento esclusivamente linguistico, si badi, perché poi nella pratica il matrimonio tra i due continua felicemente, nel nome di un ascolto emozionale, impressionista, superficiale, tanto infondato da finire per essere tranquillamente e regolarmente indirizzato verso i luoghi comuni che l'industria culturale, di volta in volta, designa come ufficiali. Così è la storia, come - se ho ben interpretato - la racconta Isotta. Essa enuncia una verità tanto scomoda quanto sistematicamente elusa dall'esercito di gazzettieri che tiene su il gran circo della musica classica. Accostata alla brillante confutazione del neo-filologismo à la mode sopra riferita, offre lo spettacolo di una coraggiosa in-
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