Linea d'ombra - anno II - n. 10 - giugno 1985

esitazione tra autobiografia e romanzo che cattura il lettore nel gioco ambiguo di verità e finzione. Il racconto in prima persona dispone fin dal primo rigo a una storia vera; ma la costruzione scenica è subito evidente, la narrazione si muove insieme allo scorrere dello sguardo da un'immagine fotografica all'altra, ma le fotografie risultano spesso inesistenti, inventate: "Penso spesso a un'immagine che solo io vedo ancora e di cui non ho mai parlato. È sempre lì, fasciata di silenzio, e mi meraviglia. La prediligo fra tutte, in lei mi riconosco, m'incanto". (p. 11). È sulla base di questa finzione, di questa fascinazione dello sguardo che il racconto procede per recuperi parziali e frammentari del passato capaci di restituire una serie di immasini nitide come foto, ma a cui sembra sia stato tagliato un pezzo, private di qualcosa. L'attraversamento del fiume Mekong; l'autobus per gl~ indigeni in cui siede la ragazza bianca; la quindicenne che va a scuola con un cappello da uomo e scarpe di lamé~ il cinese della limousine nera; la garçonnière di Cholcn. Immagini di trasgressione che corrispondono al desiderio eversivo, scandaloso che è la materia di questo libro. Se da un lato il testo si sottrae all'uso tradizionale dell'autobiografia - ripercorrere un itinerario di idCntità - d'altra parte eccelle su un piano tipico del genere - l'uso della prospettiva e del contrasto diacronico, del presente che indaga il passato per comprendere il presente: "Ora so che da giovanissima, a diciotto, quindici anni, il mio viso era una premonizione del viso che mi sarebbe toccato poi, per il troppo bere ... In me c'era posto per questo, l'ho saputo come lo sanno gli altri, ma, stranamente, anzitempo. In me c'era anche posto per il desiderio, a quindici anni avevo il volto di quel piacere che ancora non conoscevo ... Tutto è cominciato cosi per mc, con quel volto leggibile, esausto, quegli occhi cerchiati prima del tempo, dell'esperimento". (pp. 16-17). Chi parla è dunque al di qua della soglia della conoscenza, ma è lo stesso soggetto identificabile come la "ragazzetta della storia" o la "piccola prostituta bianca di Sadcc". L0 alternanza io/lei in cui si dissocia l'io narrante dell'Amaflle fa ripensare a Infanzia di Nathalie Sarraute (Feltrinelli 1984) perché anche lì si comunica attraverso un analogo device un'esperienza intensa di distacco e di lacerazione dell'io, il "rito di passaggio" all'età adulta. Per Sarraute, ancora bambina, è rappresentato dalla separazione forzosa dalla madre a Mosca per raggiungere il padre risposato a Parigi; per Duras è la pri.ma esperienza sessuale con un ricco cinese, a soli quindici anni, da bianca povera nella situazione coloniale dell'J ndocina francese. Ma- la diversa partecipazione al proprio vissuto fihra l'esperienza in linguaggi affatto diversi. 11dissidio interno, la lacerazione di Sarraute sono drammatizzati nel dialogo a due voci in cui l'io narrante si sdoppia per inquisire, ironizzare, contestare l'atto che si sta compiendo quasi a proteggere se stesso dall'immersione dolorosa nel passato. Duras oppone invece uno sguardo distaccato e impudico, ostenta indifferenza. Se il ricordo è di per sé struggente, non così la rappresentazione. C'è infine la nascita della scrittura collegata in ambedue i testi al rapporto con la madre. La madre è per la piccola Natasa una privazione, un'assenza devastante e incomprensibile; per Duras una presenza disperante anche se complice, una figura di dolore che bisogna esorcizzare. La scrittura nasce dal bisogno di rimuovere il dolore attraverso le parole. Una lenta e faticosa conquista per Serrautc: imparare a controllarsi, impedire la trasfigurazione del proprio dramma nei personaggi della fiaba di Cenerentola. Per Duras, all'inizio, quasi una pulsione cicca: "Innanzitutto volevo scrivere, solo scrivere, null'altro" (p. 30); significherà poi affaticarsi, per tutta la vita, sul silenzio, cercando di non dire quella "storia di rovina e di morte" che era la storia della sua famiglia ogni volta che parlava di sé, dei fratelli, della madre. Ma con L'amante il divieto che le.imponeva di tacere sembra caduto (è appena uscito in Francia un volume di racconti, la douleur, in cui si rivelano altri episodi sconvolgenti del passato di Duras appena trasfigurati dai filtri narrativi della distanza). Il buio della memoria è scomparso; il passato è s1a10 "ritrovato" ma forse solo per tenerlo definitivamente distante e poterlo osservare da lontano, come una storia inventata. LERELAZIODNIUNESORCISTA Antonella Tarpino È il 13 luglio \697. Giovan Ballista Chiesa vicario di un piccolo villaggio del Piemonte, Santena, viene convocato presso l"arcivescovado di Torino per rispondere dell'accusa di esorcismo. Una misera folla segue l'imputato a cavallo, "molti tra essi storpiati, zoppi, gobbi et altre persone difetose". Da quçsta vicenda prende le mosse l'indagine di Giovanni Levi, L'eredità immateriale, (Einaudi 1985, pp. 202, lire 18.000), Demoni e Madonne, medicina e magia: il doppio binario della cultura contadina prende a poco a poco forma nel calco di una realtà SCHEDE/STORIE complessa, quale quella piemontese del '600, segnata da profonde lacerazioni e dalla guerra. L'itinerario di ricerca procede così su piani multipli, per lince-concentriche: diii profilo dell'esorcista, dalle immagini degli sciancati e degli ossessi che emergono dai verbali del processo, il fuoco si sposta all'indietro, ricade sulle pieghe nascoste della comunità di Santena, ne indaga l'immaginario, le strutture economiche e sociali per poi estendersi al più vasto ambito delle relazioni sovracomunitarie e condensarsi al termine, in un serrato epilogo: qui i frammenti sospesi della vicenda iniziale, la messa al bando di· Giovan Battista Chiesa, si ricompongono sono una nuova, dilatata, luce. Scorci di vita, biografie, ritratti di famiglia, danno luogo a una lunga sequela di "diapositive", fissate sulla linea del racconto, e sistematicamente scandite da affondi nel vivo della realtà comunitaria. Al di sotto dell'affannarsi dei personaggi affiora il nucleo motore delle strutture familiari, delle reti di parentela, delle strategie economiche. Tra i nomi registrati sul nastro discontinuo dei documenti si intesse via via una fitta rete di relazioni: la trama di un ordito che, sola, illumina gli ambigui codici di comportamento e le regole della comunità, svelandone dall'interno le direttrici di senso. Un ordine fragile sembra attraversare ceti, gruppi, parentele, di continuo spezzato e riannodato, sullo sfondo di una delicata fase, che vede la piccola comunità di Santena in bilico tra , velata autonomia giurisdizionale e progressivo assorbimento entro le strullure sempre più centralizzate del regno sabaudo. È su questo paesaggio dai contorni politici e istituzionali incerti, esposti a esiti divaricati, che muovono le strategie dei gruppi: dalle famiglie nobiliari dei Tana e dei Senso a notabili come i Tesio o i Griva, alla famiglia Chiesa, a Giulio Cesare soprattutto, padre di Giovan Battista, il grande "mediatore" dei conflitti giurisdizionali di Santena, nella prima metà del '600. Dentro questo cosmo in rapido movimento si aprono politiche innovatrici, non solo legate ai tradizionali veicoli quali la terra e il denaro, ma affidate altresì alle cariche pubbliche, all'iniziativa personale; nel solco di questi "varchi" dischiusi dal travaglio di una piccola comunità, si consuma lo stesso destino dell'esorcista, Giovan Battista Chiesa, investito da una difficile eredità: l'eredità "immateriale" del prestigio disgiunto dal possesso, che il padre Giulio Cesare aveva avventurosamente perseguito, offrendosi all'ostilità di quello stesso fronte da cui ora proveniva la denuncia alle autorità ecclesiastiche contro il figlio, Giovan Battista. 115

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