114 SCHEDE/STORIE storico. Sarebbe interessante indagare le ragioni di questa passata latitanza. Pazzi stesso le ha indicate nel prevalere (''grazie ai nipotini di Moravia") di un realismo un po' scolastico, privo di fantasia e di inventiva narrativa. Forse ha ragione: e basta pensare non tanto al "realismo magico" sudamericano, quanto ai due libri di Salman Rushdic e anche al recente La scoperta della /e111ezza di Nadolny per capire quale ricchezza narrativa esista in vicende e personaggi ..storici" (e perfino '"politici'"). Questa riapertura di uno spazio narrativo è senz'altro un merito del libro di Pazzi. Ma Cercanti() /'imperatore, al di là di questo valore "strategico", ne ha uno diretto, immediato e intrinseco: la ricchezza e l'intensità di scrittura - per la quale e assai giustamente è stato richiamato il fauo che Pazzi, prima che narratore, è poeta. È una scrittura all'altezza della struggente nostalgia che anima il racconto, e che dà vita ad alcuni ritratti davvero straordinari: come quello dello zarevic, che ha davvero la lucidità dolente dei grandi sconfitti; quello del principe Ypsilanti e della sua favolosa 1ruppa. che vivono un'epopea da "deserto dei tartari" itinerante nelrallucinato paesaggio russo; quello del mongolo Kaigiar, che ricorda il Platon Karataev di Guerra e pace. Ma più ancora nel libro impressiona l'atmosfera allucinata in cui le vicende si svolgono. Molto più che non il rovesciamento del valore e dello spessore dei personaggi protagonisti della storia, è quest'atmosfera a dare il senso d~lla tragedia storica che si sta consumando e a restituirne la materialità: una materialità visionaria ma non meno reale, fatta com"è di solitudine e prigionia, di freddo e malattia, di brutalità degli uomini e violenza della natura. AUTOBIOGRAFIA EROMANZO Paola Splendore La prima a confondere in maniera consapevole i codici e le convenzioni della scrittura autobiografica è stata Gertrude Stein. ManiJX>lando le dimensioni tempo, memoria, identità - gli elementi di base per chi si accinge a raccontare la propria vita - riuscì per prima a separare l'autobiografia dal'suo fine tradizionale, la ricerca-di-sé. Scrisse così l'Autobiografia di Alice Tok/as (1933) in cui parla di sé in terza persona per bocca dell'amica Alice Toklas con un effetto di doppia prospettiva tipico del romanzo di finzione. Da Gertrude Stein in poi il bisogno di Morguerite Duras a diciouo anni. raccontarsi si è espresso attraverso codici e figure che travalicano le strettoie del racconto autobiografico convenzionale: per mezzo di travestimenti, di scissioni dell'io narrante, di oscillazioni pronominali si è affermato un nuovo modello di scrittura ·autobiografica che nega la fissità del ritratto allo specchio e che attinge all'immaginazione oltre che alla memoria, in bilico tra il piacere segreto della rivelazione e l'angoscia dell'occultamento. Luogo privilegiato dell'auto-rivelazione, del resto, è sempre stato il romanzo. Nessun altro modo di scrittura è in grado di consentire la libertà espressiva e insieme la protezione dell'artificio che è alla base di tante autobiografie "travestite'', la proiezione dell'autore in un personaggio fittizio. Pensiamo a Malcom Lowry/il console Firmin di Sol/o il vulcano o a Sylvia Plath/Estherdella Campana di vetro: forse né Lowry né Plath sarebbero mai riusciti in un'autobiografia a dire del proprio segreto trafficare con la morte con la stessa lucidità (o forse sarebbero riusciti a venirvi a pani?). Il "pauo di verità" di cui parla Lejeune -tratto distintivo della vera autobiografia -è a sua volta una convenzione retorica il cui oggetto è pur sempre una rappresentazione fittizia. Come mostrano le recenti autobio• grafie di alcuni dei pionieri dell'antiromanzo, questo patto non è più occasione imprescindibile della moderna prosa di confessio• ne. Uno dopo l'altro, Nathalie Sarraute, Marguerite Duras, Philippe Sollers, Alain Robbc-Grillet sembrano aver ceduto alla tentazione autobiografica in testi che sono quasi dei romanzi, la cui materia narrativa è cioè un miscuglio di finzione e memoria. È un modo nuovo di riproporre la questione del rapporto dell'arte con il reale e questa volta non più attraverso le esperienze radicali di linguaggio di romanzi come le gomme o Ifrulli d'oro. bensì attraverso l'adozione di una forma accessibile a un pubblico più ampio di lettori. È tuttavia necessario un aggiustamento delle abitudinì di lettura: l'adozione polemica di una scrittura della verità serve in questo caso a smentire la presunta verità della scrittura. L'autobiografia è così sottratta al dominio della scrittura fattuale e collocata giustamente tra le forme d'immaginazione. In sede critica, d'altro canto, sono molte le voci autorevoli a legittimare l'autobiografia come "arte", esplorandone i dilemmi formali e il suo apparato retorico. Northrop Frye in Anatomia della critica (1957) considera la "prosa di confessione" una modalità interna alla fiction; dopo di lui Starobinski e Lejeune - per citare i più noti - hanno appro-. fondito l'analisi formale e stilistica di questo genere. Paradossalmente l'autobiografia sembra prestarsi in modo particolare a esprimere l'artificio della scrittura. In le miroir qui revient (Editions de Minuit, 1984) Robbc-Grillet, mentre utilizza un modello narrativo che per convenzione racconta ciò che è vero, dichiara di non credere alla "verità" e tuttavia di non essere un uomo di menzogna, ma un compagno di strada e di invenzione che si esprime per finzioni: "È per questo che provo oggi un certo piacere a utilizzare 13 forma tradizionale dell'autobiografia ... questo piacere equivoco mi interessa proprio in quanto mi conferma da una parte che mi sarei messo a scrivere dei romanzi per esorcizzare quei fantasmi di cui non venivo a capo, e mi fa dall'altra scoprire che la scappatoia del romanzo è in fin dei conti molto più personale della pretesa sincerità della confessione". (pp. 16-17). Il racconto della propria vita è infatti attraversato da altre storie, e soprattutto dalle vicende del conte Henri de Corinthe (una proiezione fantastico-mitica dell'autore?), personaggio forse in parte reale e in parte inventato, che domina il suo immaginario e con il quale si creano misteriose associazioni, come nell'impresa dello "specchio che ritorna" cui allude il titolo del volume. Come accade negli altri romanzi di Robbe-Grillet, ciò che viene proposto non è dunque la rappresentazione di un'esperienza ma una messa-in-scena del reale, la costruzione di una finzione. Anche l'amante di Marguerite Duras(Feltrinelli 1985) è un testo sospeso nella stessa indeterminatezza, nella stessa
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