Linea d'ombra - anno II - n. 10 - giugno 1985

STORIE LA PESANTEZZA CHEDOBBIAMO REGGERE Gianfranco Bettin La storia si gioca nei rapporti di forza, provocati dalle diverse, confliggenti "'volontà di potenza .. , e si abbatte su popoli, nazioni, individui che appartengono alla sterminata schiera dei "deboli". La nostra vita quotidiana, anche nella sua banalità, nella sua sfuggente fragilità, è condizionata - più di quanto ne siamo forse consapevoli - da questo pesante, opprimente sfondo storico che sempre ritorna. Anzi, che non trascorre mai e, pur mutevole nelle forme, non allenta un istante la presa sui destini, grandi e piccoli che siano. l'insostenibile leggtrezza de/l'essere, il romanzo più recente di Milan Kundcra, accolto entusiasticamente dalla più parte della critica europea, muove da questa premessa, tornandovi poi continuamente nel corso di oltre trecento pagine (Adelphi, 1985, pag. 318, lire 20.000). Il richiamo, dichiarato, è a Nietzsche e alla sua leuura del corso storico come, appunto, "gioco di forze" e manifestazione della "volontà di potenza" (soprattutto il Nietzsche successivo alla prima pubblicazione di Zara1hustra, dal 1883 fino all'89, l'anno in cui cadde preda della malattia mentale). Dello stesso periodo è anche, in Nietzsche, l'elaborazione della teoria dell"'eterno ritorno" con la quale il filosofo tedesco nega la linearità del tempo, il suo andare dal passato al futuro attraverso un presente irripetibile e unico. Nietzsche negava, in fondo, che vi fosse un senso ultimo, un fine, contenuto Ilei movimento storico, in polemica con la tradizione giudaico-cristiana (e anche col nascente socialismo, sia pure, questo, lontano -almeno a parole - da ogni metafisica). Le cose non sono effimere, in verità ritornano -anzi, debbono tornare, al di fuori della loro relatività storica, eternamente: solo chi rende possibile questo ritorno, smascherando il gioco delle forze, sottraendovisi, potrà godere di una vita piena, felice, carica di significato. Altrimenti, saremo condannati all'eterno ritorno dell'oppressione, della mistificazionefauasi potere, forza bruta. Kundera muove da questa posizione, an• che se, sulla soglia di uno sviluppo ulleriore (il romanzo vero e proprio), esi1a in una domanda. Qual è il peso della nostra vita in relazione all'idea dell'eterno ritorno, vera o falsa che essa sia? Se la si ritiene fondata, se cioè pensiamo che un giorno ogni cosa si ripeterà cosi come l'abbiamo già vissuta, all'infinito, aJlora su ogni nostro gesto grava ''il peso di una insostenibile responsabilità". Invece, se l'idea, anzi il mito dell'eterno ri• lorno, non ha consistenza, si può affermare, "per negazione, che la vita che scompare una volta per sempre, che non ritorna, è simile a un'ombra, è priya di peso, è morta già in precedenza, e che, sia s1ata essa terribìle, bella o splendida, quel terrore, quello splendore, quella bellezza non significano ou!la". Kundera parla, a questo proposito, di "circostanza auenuante" conferita alla vita dalla fugacità dell'esistenza: "Questa circostanza attenuante ci impedisce infaui di pronunciare un qualsiasi verdetto. Si può condannare ciò che è effimero?" "In un mondo simile- conclude Kundera - tutto è già perdonato e quìndi tutto è cini• camente permesso". Kundera infine non risponde in modo certo a questa domanda, non sa dire se la vita è .. leggera·· o ..pesante", anche se pare propendere soprattutto per la "leggerezza". In questo senso, l'ossimoro del utolo sintetizza più significati: la vita è insostenibile perché effimera, sfuggente, troppo fragile - e proprio perciò diviene pesante, pesantissima. Il dilemma "leggero• pesante" è un falso problema. La vita è pesante nella misura' esatta della sua fugacilà. "Insostenibile leggere~za": gravità e fragilità stanno insieme, scritte nella struttura psichica e biologica dell'uomo, non meno che nella sua esperienza storica. Fin qui, la premessa del libro di Kundera, contenuta in tre pagine scarse. Il resto, il romanzo vero e proprio, prosegue, in defini-: tiva, con una certa indipendenza dalla pre• messa. Vi sono ogni tanto delle note, dei richiami, al discorso filosofico d'apertura ma in fin dei conti le cose narrate avrebbero potuto benissimo svolgersi allo s-lessomodo comunque. Ed è giusto che sia così: il romanzo deve conservare un'autonomia relativa rispetto agli assunti filosofici . o eticopolitici - che lo-informano, così come la vi1a la mantiene rispc110 ai grandi destini descritti dai miti o prescritti dalle ideologie. La vicenda ruota attorno a un quartetto di persone: Tomas, Tereza (che occupano lo spazio maggiore, con più peso nell'economia del romanzo), Sabina e Franz. Lo sfondo è la Praga post '68, con le epurazioni seguite all'occupazione sovietica (che colpiscono anche Tomas) e lo smarrirsi delle spe• ranze suscitate dalla "primavera". È uno sfondo opprimente, dove si staglia una dillatura tetra e spietata, capace di insinuarsi anche negli ambiti privati, intimi, di spiarli e SCHEDE/STORIE condizionarli. La figura chiave è Tomas, medico chinirgo valente e scettico, nel quale si intuiscono elementi autobiografici. Lo incontriamo proprio sul finire della premessa filosofica, a raccordo tra questa e la storia narrata. L'autore lo descrive "alla finestra del suo appartamento, gli occhi fissi al di là del cortile sul muro della casa di fronte, che non sa che cosa deve fare". La sua esitazione investe un nuovo amorC che sente nascere in sé, inspiegabilmente, per una ragazza quasi scono• sciuta (Tereza). È davvero amore, questo? si chiede. O cos'altro? Devo chiederle di venire a stare con me? E come mai Tereza, una povera cameriera di provincia, incontrata casualment~ in una locanda per pochi momenti, sta ora entrando nella mia vita? Il dubbio sembra snervarlo, poi però "si disse che in realtà era del tutto naturale non sapere quel che voleva. Non si può mai sapere che cosa si deve volere perché si vive una vita sohanlo e non si può né confrontarla con le proprie vite precedenti, né correggerla nelle vite future". La riflessione di Tomas ci riconduce, negandola, all'idea dell'eterno ritorno. "È meglio stare con Tereza o rimanere solo?" si chiede qui. È meglio pronunciarsi pubblicamente a favore del dissenso antisovietico o starsene zitti? si chiederà più avanti. La vita quotidiana e personale, intima, non meno che le vicende storiche propongono di continuo scelte impegnative, per le quali non vi sono modelli predisposti o controprove. "Non esiste alcun modo di stabilire quale decisione sia la migliore, perché non esisle alcun termine di paragone. L'uomo vive ogni cosa subito per la prima volta, senza preparazioni. Come un attore che entra in scena senza aver mai provato. Ma che valore può avere la vita se la prima prova è già la vita stessa?" Tomas ripete spesso tra sé il proverbio tedesco Einma/ ist keinmal. che significa: "Quello che avviene soltanto una volta è come se non fosse mai avvenuto". La sciandoci tuttavia qualche dubbio, Kundera aggiunge: "Se l'uomo può vivere solo una vita, è come se non vivesse affatto". Pur procedendo, come detto, in relativa autonomia dagli assunti di fondo, la narrazione non riesce mai del tutto a liberarsene e ciò lo si avverte, più che nelle dichiarazioni esplicite, nel meccanismo stesso della scrittura. Milan Kundera non è mai parso così lento nella narrazione, cosi incline a spezzarne il ritmo inducendovi dubbi, disgressioni, semi-monologhi che non sempre convincono. Le parti più felici del libro sono quelle in cui la vena narrativa, la scrittura.si distaccano dal freno della tesi posta a mo' di premes-

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