110 INCHIESTA/STELLA senso il discorso sia piuttosto pericoloso. Il rapporto con le forme di espressione nuove è in genere più delicato che con le altre. Deve esistere, ma è più difficile, p·erché in apparenza più immediato (e spesso commercialmente più proficuo), più diretto. È quasi pericoloso quanto il rapporto del cinema col cinema stesso. Forse questa difficoltà (almeno, io la sento così) deriva dal fatto che sono forme di espressione derivate in un modo o nell'altro dal cinema stesso, e c'è ancora un po' di confusione, un po' di polverone, mentre i rapporti con le forme di espressione che bene o male hanno generato il cinema esistono da "sempre". Nel mio piccolo, il contatto con queste ultime lo sento come fondamentale. Schematizzando, credo che narrativa, pittura/ fotografia e musica, siano, in modi diversi, alla base di ogni mio film. E che il cinema avrà sempre molto da imparare dalle forme di espressione 'tradizionali', e forse solo avendo un legame profondo con queste potrà avvicinarsi alle "nuove" senza scottarsi. 8) Fino ad ora gli unici rapporti di collaborazione con persone della mia generazione li ho avuti con altri film-makers o con gente che lavora nel campo cinematografico-pubblicitario-televisivo. Ha funzionato e stanno funzionando, ma è importante e auspicabile anche un'apertura verso gente che si occupa d'altro. È un'esigenza comune, credo. E un cinema nuovo potrà forse nascere anche,non solo, in questo modo. Silvio Soldini (Milano, 1958) ha frequentato un corSo di cinema a New York dove ha vissuto per due anni, e dove ha realizzato Drimage (1982, 16mm, b/n, 20'). Insieme ad alcuni suoi collaboratori ha fondato la società di produzione Bilicofilm, per la quale ha realizzato Paesaggio con figure (1983, 16mm, b/n, 78'), e Giulia in ouobre (I 985, 16mm, col., 60'). Vive a Milano dove lavora come regista in campo documentaristico e pubblicitario. KIKOSTELLA I) Pigrizia come attitudine del corpo. Spettatori si nasce: cinema-relax. Curiosità come attitudine della mente. Registi si diventa: cinema-giocattolo da smontare e rimontare. Certo fare un film non è obbligatorio per nessuno, ma è bello come da piccoli rubare la marmellata o da ragazzi scappare di casa: si agisce d'istinto dentro uno stato di necessità e una buona dose di incoscienza. Purtroppo fare un film costa; un film si dà in quanto prodotto; un prodotto si dà nella sua compiutezza solo nel momento del suo consumo. C'è di che riflettere ... e velocemente maturare! Per questo tra noi a Milano abbiamo costituito un'Agenzia di produttori indipendenti che distribuisce e promuove i nostri film. Con l'obiettivo - basso - di incassare. 2) La lunga pratica cinefiliaca mi ha progressivamente portato a privilegiare l'autore rispetto ad una qualsiasi cinematografia nazionale; successivamente il film all'autore; infine la sequenza al film. Qui si ferma la perversione. Lascio ad altri l'inquadratura ed il fotogramma. Credo quindi che i riferimenti del mio specifico agire cinematografico assumano una connotazione di trasversalità non confinabile. Rimane ovviamente il dato non puramente geografico di essere nato, cresciuto ed avere fatto dei film in Italia. 3) Per ora, cinema nuovo in quanto indipendente e nuovo in quanto negazione di ciò che lo precede. Troppo lunga la sequela di film cattivi contenitori ben al di qua dei contenuti. Un cinema, per ora, ossessionato dalla cifra stilistica, dall'appropriazione di una tecnica, dalla contaminazione del moderno e post e dalle sue forme espressive. Insomma cinema diverso e d'apprendistato contro un cinema omologato, nepotistico e di stato (non c'è film italiano prodotto senza il contributo determinante dello Stato o di sue emanazioni. Non c'è produttore nostrano che non sia principalmente faccendiere di basso cabotaggio alla corte di un influente uomo politico). Un cinema che mi piace pensare endogeno - che parta cioè dalle proprie ossessioni - e contemporaneamente trasversale - disponibile alle suggestioni che gli vengono suggerite dall'esterno -. Dai nostri incontri ai margini, ne leggo i primi sintomi positivi che negano la rigidità della tendenza in favore della "simpatia" e nel rispetto dei singoli autori; sia che abbiano una vocazione da "chierico" a farsi guida morale, sia che si sentano pasticceri e amino tirare le torte in faccia. E solo questione di mire. 4) Statistiche alla mano ... li futuro lo preferisco come sogno di lunghe code, al botteghino delle sale cinematografiche, in attesa di replica. È un altro vedere. È un altro sentire. Il rito sognato si ripete tuttora a New York a Parigi a Berlino. Ritorno al cinema come fatto sociale, luogo d'incomro, momento di discussione. Rivendico la compagnia della piazza ...la televisione, disgregando, satura. Monica Scat1ini e Stella sul set di Rosso di sera. 5) No. Mai. 6) In una fase ancora di "gavetta", "fare un film" conta molto più di "che film fare"; omologamente Hcome dire" più di "cosa dire". Fragilità dei contenuti!!! Spesso la sceneggiatura eccede sulle possibilità produttive. Taglieggiata in fase di ripresa, ricucita in moviola, alla fine ci viene restituita sì, ma traumatizzata. Imparando si sbaglia. In Questo contesto credo che la riflessione vada centrata sul rapporto ottimale che deve sussistere tra mezzi produttivi e '"fedeltà" di realizzazione. Dò per scontato che mentre da una buona sceneggiatura può derivare un cattivo film, difficilmente se non quasi mai da una cattiva sceneggiatura può scaturire un buon film. Che cosa sia poi buono o cattivo rimane la questione di fondo. 6) Le iscrizioni a parlare sono aperte. Chi sa per favore lo dica o meglio "lo scriva" e in fretta. Vivendo in un periodo di grande disagio culturale si cercano affannosamente delle convinzioni. 7) Fautore di un cinema trasversale e strabico cioè privo di modello proprio perché alimentato da frammenti di molti, mi sento molto vicino ad un cinema contaminato anche se o forse proprio perché alla ricerca della sua catarsi. 8) "Linea d'ombra" potrebbe esserne un primo veicolo? Kiko Stella (Thiene, 1951) si è laureato in architettura a Venezia; ha frequentato il DAMS di Bologna, dedicandosi poi all'insegnamento del cinema in alcune scuole sperimentali di Milano. Ha fondato con un gruppo di film-makers e tecnici cinematografici la cooperativa Electricfilm per la quale ha realizzato Doppia paga ( I982, 16mm, col., 20'), Live (1983, 16!Jlm, col., 90') assieme a Bruno Bigoni, e con il contributo del Premio Film-maker Rosso di sera (1984, 16mm, col., 20').
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