Linea d'ombra - anno II - n. 10 - giugno 1985

IL PUBBLICDOELLMAUSICA Alessandro Baricco C'è un libro uscito poco più di un anno fa su cui è bene ritornare. Si intitola Le ali di Wie/and, l'ha scritto Paolo Isotta. Quel libro contiene sette saggi di argomento musicale; ne associo il ricordo all'impressione, gradevole, di vedere all'opera un formidabile dissacra1ore di luoghi comuni. Nella mappa musicologica, come in ogni altra, sopravvivono radure di sensato errore, bonarie approssimazioni che l'analisi si porta dietro per il gusto, non condannabile a priori, di preferire la chiarezza alla realtà o il brillanle al vero. Fihrale dalla divulgazione e moltiplicate per i diversi canalì dell'educazione musicale, quelle piacenti trasgressioni del .vero finiscono per diventare col tempo dei nobili luoghi comuni che quasi nessuno si prende più la briga di stare a discutere. Dico quasi perché, appunto, qualche Isotta c'è ancora sempre a tener desta la coscienza critica del sistema. Ne Le ali di Wieland di ques1i luoghi comuni ne compaiono, puntualmente sbugiardati, numerosi. Alcuni appartengono a un orizzonte squisitamente musicologicostoriografico; quelli che non mi è accaduto di dimenticare dimorano piuttosto nell'orizzonte della prassi musicale: luoghi comuni del comportamento collettivo di fronte al fenomeno musica. Li raccoglierei sono due tiioli: I) il progressivo imporsi sul mercato delle "esecuzioni filologiche"; 2) l'antipatia per \.Vagner e la supina accettazione della musica d'avanguardia come facce di un medesimo fenomeno: Pincapacità del pubblico a una fruizione consapevole della musica "moderna". Fuori dai vincoli di una vera e propria recensione, esonerato dai relativi obblighi pubblicitari, vorrei "replicare", pur nella forma imperfetta del riassunto, quelle pagine di Isotta: un po' perché nella loro lucidità riescono a metter a fuoco almeno un paio di utili verità; e un po' perché, con rassicurante limpidezza, introducono alla comprensione del più intimo ésprit dell'attuale mondo della musica colta. Come si vedrà. Le esecuzionifllologiche. Il fenomeno è sotto gli occhi di tutti. Trattasi della tendenza, sempre più diffusa, a riportare l'esecuzione della musica antica e barocca alle sue caratteristiche originali. Strumenti d'epoca, dunque, e poi tutta una serie di purismi che Isotta diligentemente annota: "La norma del momento è che l'intonazione sia una variabile della quale aver cura eccessiva sarebbe neurotico. Che il suono non debba e non possa avere nulla di corposo: sia secco, nasale, di zanzara. Che oboi "naturali" all'unisono con i violoncelli li coprano del loro timbro: e non siano esattamente accordati con essi. Che gli archi non vibrino e che il loro suono sia coperto dalla ferraglia del basso cominuo, portato quasi a protagonista dell'esecuzione. Che nel canto la principale zona di risonanza della voce sia il naso. Che, nelle composizioni corali, le parti di soprano vengano eseguite da pueri cantores e quelle di con1raho da uomini falsenisti. Che quelle solis1iche di soprano e contralto, se scritte per castrati, siano monopolio dei falsettisti: oscene caricature della voce. Che gli slacchi di tempo siano senza alcuna varietà tendenti verso una sorta di allegro moderato buono a tutti gli usi. E che, soprattutto, essi siano coerenti con la secchezza assoluta del suono e del fraseggio. Dal pun10 di visla sonoro, o più generalmente musicale, si tratta di un'au1en1ica fiera dell'orrore. (Il ca1alogo, nel testo, è anche più lungo e impietoso: per brevità mi sono permesso di sfrondarlo qua e là). DISCUSSIONE/BARICCO Il fatto che tutto ciò sia vissuto da una larga fetta del pubblico come emozionante ritorno alle origini e rigeneratrice purificazione dalle scorie della Storia, cos1i1uisce il luogo comune che Isotta si perita di smontare sistematicameme, con argomentazioni che non lasciano grandi margini di dubbio: I) L'illusione che sia possibile ri1ornare all'immagine originaria delle opere è un falso e un feticcio. "Giacché per ottenerla, ben prima di aleatorie condizioni materiali, quel che andrebbe ripristinato è il rapporto psichico ed emotivo fra l'opera musicale eseguita e l'ascoltatore." Rapporto che risulta, ovviamente, irrecuperabile. 2) Quand'anche il ritorno alle origini fosse possibile, non per questò sarebbe poi tanto augurabile. Se obbienivo dell'interprelazione (e dunque dell'esecuzione) è quello di "realizzare l'essenza dell'opera" certi purismi non possono che boicottarne l'efficacia. Esempio: gli strumenti originali, per loro limiti costitutivi, finiscono per sbiadire le linee portanti delle strutture musicali, rendendone problematica, all'ascolto, una decifrazione esatta. 3) Quand'anche proprio il recupero dell'origine fosse l'obiettivo dell'esecuzione, per lo pili infondata sarebIl

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