108 INCHIESTA/SOLDINI / Giancarlo Soldi (foro di Fulvia Farassino). non tutti lo sapevano, veniva da anni di metodo e rigore, passati disegnando una delle più importanti serie western mai apparse su un giornalino. Ecco, forse noi siamo partiti da lì, dal Garage, folgorati dall'estetica e dall'ermeticità, e non dalla saga western. Inutile appigliarsi agli anni di piombo, ai rapidi cambiamenti comportamentali, alla colonizzazione delle "issime" televisive, alla fragilità dei discorsi giovanili; d'altro canto il cinema s'impara facendolo e la maturità stilistica si acquista sul campo e non grazie ad alchimie programmate. 7/8) In tempi di contaminazione totale non posso che essere favorevole alla collaborazione tra settori diversi. Ormai non c'è Polsi sottili di G. Soldi (foca di scena di Fulvia Farassi110). piu nessun specifico filmico da difendere: pubblicità, video musicali e cinema si sgraffignano idee a vicenda. Ma non tutto è così tragico e devastato. Da tutti i settori arrivano segnali di nuove avventure che riescono serenamente a ricollegarsi con un immaginario che ci interessa, ma soprattutto ci appartiene. Da difendere abbiamo solo la freschezza e l'onestà. Giancarlo Soldi (Cremona, I954) ha frequentato corsi di cinema ENAIP e nel '75 un corso a Marly Le Roy. Ha realizzato Paranaia (1979, super 8, col., 20') durante il servizio militare; No Future (1980, 16mm, col., 20'); ed è stato aiuto regista nel film Piso pisello. li suo primo lungometraggio è Polsi sottili (1985, 16mm, col., 54'). Vive a Milano dove lavora come regista di documentari e spot pubblicitari. SILVIOSOLDINI I) Credo che sia soprattutto qualcosa che riguarda le immagini. E il movimento. La capacità del cinema di raccontare attraverso delle immagini, con il loro ritmo, il loro tempo, la loro forza di trasmissione emotiva specifica. Collegate le une alle altre raccontano una storia: la storia le tiene insieme, dà loro un senso, e le immagini danno vita alla storia. Ho sempre inteso il cinema come un mezzo per raccontare con delle immagini e allo stesso tempo per raccontare delle immagini. Non ho iniziato a fare del cinema perché lo ritenevo il mezzo più adatto per esprimere quello che avevo da esprimere -non sapevo neanche che cosa "avevo", in realtà. Semplicemente, il passo successivo al fascino che provavo per una forma di espressione è stato provare a impadronirmene, vedere se riuscivo anch'io a descrivere, raccontare, suscitare, trasportare, trasmettere. Un'esigenza: dettata in parte da un'attrazione, in parte dalla voglia di raccontare delle immagini mie. Sia per capire se si ha qualcosa da esprimere attraverso il cinema, sia per esprimersi attraverso il cinema, bisogna imparare a farlo; e per imparare bisogna farlo - al di là di scuole o gavette. Mi è capitato di imparare a farlo assieme ad altra gente che imparava nello stesso momento, sia tecnici che attori; o che comunque imparava qualcosa di nuovo. Sono nati dei film. Senza l'entusiasmo non sarebbero mai esistiti, perché finché esistono solo parole che raccontano una storia sulla carta (una sceneggiatura) esiste ben poco. Un film è tale quando può essere proiettato su uno schermo, quando sì vede e si sente, quando degli spettatori lo vivono e reagiscono - e a seconda di come reagiscono si può dire che il film "funziona" o funziona in parte o non funziona. È a questo punto che chi l'ha fatto può trarre delle conclusioni. Non è più tempo di cercare produttori per anni con il film-dellapropria-vita nel cassetto. Vale quello che vale per le altre forme di espressione: la differenza è che nel cinema per arrivare a un prodotto finito ci vogliono investimenti economici ben maggiori. Ho aggirato l'ostacolo. È cosi che sono nati dei film che nella maggior parte dei casi non sanno come collocarsi nel mercato attuale - o non ancora. A loro difesa posso solo portare l'interesse nuovo che riscuotono sia in Italia che all'estero (Festival di Locarno, Berlino, ecc.), ma a questo punto è chiaro che il discorso di mercato è necessario. L'obiettivo è quello di poter continuare a produrre dei film. Per quanto mi riguarda, come per molti altri, non sarà certo del cinema commerciale, ma commerciabile sì. 2) Non posso dire di aver trovato molti riferimenti nel cinema italiano. Se c'è qualche legame credo che risalga al neorealismo, ai primi Antonioni, quel tipo di sensibilità. Devo anche ammettere di non conoscere cosi approfonditamente la storia del cinema italiano; d'altra parte quando ho cercato un cinema contemporaneo, pill vicino, che mi parlasse del mio tempo e col mio tempo non l'ho trovato in Italia ma fuori. I film che mi hanno spinto a fare io stesso del cinema appartengono per la maggior parte a cinematografie come quella francese degli anni '60 e quella tedesca dei '70 - che per altro sento come strettamente collegate. 3/4) Si può parlare di un nuovo cinema se si crede innanzitutto che quest' "invenzione senza futuro" avrà ancora un futuro; se riuscirà a esprimere cose non esprimibili con altre forme di espressione, e quindi avrà ancora una sua autonomia e una sua specificità. Questo non significa che non debbano esserci rapporti col resto della produzione audiovisiva attuale, né che il cinema debba rimanere quello che è sempre stato: significa tenere presenti le particolarità che ancora oggi lo distinguono e lo differenziano, e che sono alla base del fascino che esercita - su un pubblico che nonostante tutto ancora esiste, che sta forse diminuendo ma sta anche modificandosi, cambiando, o forse rinascendo. Non credo che il futuro del cinema sia solo quello dei film "spettacolari", a base di effetti speciali e grosse manipolazioni emotive. C'è spazio anche per altri film,
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