Linea d'ombra - anno II - n. 10 - giugno 1985

100 DISCUSSIONE/VOLPI lettuali, in opposizione all'autoritarismo dell'Opera Alta. Più precaria, più contrastata è invece la trasposizione dei suoi stretti nessi con la scena musicale (anche per quello che, in fatto di interpreti, essa ha rappresentato), ché da altrove (dalle video-clip, dall'industria discografica) vengono i rari esempi nostrani, più o meno interni e ironici. • L'altra lezione di rilievo sembra essere quella, mai fino in fondo sfruttata nelle ~ue implicazioni e potenzialità, del cinema-verità, come prodotto di un cinema agile, di un cinema imperfeuo ma vitale. Come tentativo di apertura al reale, ma senza più fideismi di vent'anni fa sulla "rivelazione" della verità dell'esistenza. Come scoperta di realtà in allo o progetto di riflessione. Dietro c'è il tanto utile quanto poco praticato metodo dell'inchiesta (che, per inciso, sarebbe forse servita, anche a proposito del cinema indipendente, più di queste osservazioni esterne), metodo finalizzato a un'idea di affabulazione che nasca dall'interno della realtà stessa (con tutto ciò che, anche in termini cinematografici, permette questo gioco di rifrazioni e rapporti tra documentario e finzione), di racconto di figure e situazioni vere. Si apre qui quello che negli ultimi mesi si è venuto proponendo come il problema centrale per i film-makers, il problema della narrazione, dei contenuti, dell'immaginario, secondo un nesso tra i tre piani che è più stretto di quanto non appaia. Che nessuno abbia sinora mostrato un forte segno personale, una vera visione del mondo, è un fatto che va oltre un problema di talento (di cui alcuni non sono davvero sprovvisti) o di modi di produzione, tocca più profonde ragioni generazionali. A metà anni '60 Bellocchio poteva esordire a Piacenza (a Bobbio) senza essere provinciale, e da Parma Bertolucci s'imponeva come uno dei capifila delle nouvelle vague europee: eppure raccontavano storie radicate in realtà precise, anzi d'ispirazione autobiografica. Ma la perentorietà del loro stile, della loro visione, nasceva anche dalla presenza di una storia e una cultura cui sapevano riferirsi (niente di più). Già la generazione del '68 non ha prodotto nulla in campo artistico e cinematografico: perché più interessata a distruggere le Istituzioni culturali del Potere, perché la sua cultura era una cultura politica, o subordinata, mediata dalla politica. Oppure c'era, più o meno cosciente, il senso di un'impossibilità, una volta distrutte le morte forme, di consenso o di opposizione, di una cultura che nella sostanza affondava le proprie radici negli anni venti-trenta, a produrne una nuova, organica, forte? È un'ultima, decisiva assenza, quella di esperienze storico-culturali precise di cui magari costituire le varianti eterodosse, critiche, se non la negazione, in cui si trovano a operare i film-makers di oggi. La scomparsa della metafora, di forme capaci di penetrare le realtà soggiacenti e prime, ne è un altro segno. I soli fenomeni veramente impostisi nel cinema di questi anni sono la Nuova Spettacolarità americana e il Giovane Cinema tedesco (meglio ancora, Wenders e di riflesso Handke). L'uno e l'altro, infine, improponibili. L'uno per ragioni strutturali, oltre che di ruolo, di statuto dei cineasti. Il secondo, dopo essere stato acutissima espressione di una nuova sensibilità, di uno stile di vita che si fa stile di racconto, rischia nei suoi stessi prototipi di chiudersi su se stesso, nella proposta di una forma (se non di una maniera). Proprio una forma è il vero punto di forza e valore che percorre il lavoro di questi giovani video-cineasti; è la forma di un diverso sentire, in sé significativo, compresi la sua frammentarietà e i suoi caratteri indotti, mutuati da altrove, ed è la forma documento che, più che analisi (tranne rarissime eccezioni, in fondo di un'altra generazione), è rapporto, esperienza. È il loro dato più nuovo e originale. Ciò che gli si può chiedere è di essere più radicalmente se stessi (è l'esatto contrario di un meschino privato), senza rimozioni, anzi puntando, secondo la classica funzione attribuita a ogni esperienza artistica, a portare alla luce ciò che in sé e negli altri è rimosso: di essere capaci di uno sguardo (temi, toni, ritmi, stili, e uno stile rigoroso non è nient'altro che un modo di pensare rigoroso, sapeva già Flaubert) e di un'intelligenza proprie. Fuori dal limbo attuale. Di assenze si può vivere: se non altro, permettono di cantare canzoni non cantate sul piano produttivo come su quello espressivo. Permettono il rischio e la curiosità; insomma, di mettersi in questione e di cercare soluzioni nuove per problemi reali. Nel merito, si vedrà. AL4CE/CINEMA 1. Maria Schiavo, Margarethe von Trotta monografia, dichiarazioni, filmografie pp. 80, 10 foto, L. 3.500 2. Guido Chiesa, Ribelli con causa. La new wave newyorkese. saggio, filmografie, interviste pp. 96, 16 foto, L. 3.500 Fuori collana Pinter e il cinema, a cura di Paolo Bertinetti e Gianni Volpi saggi di G. Nowell-Smith, G. Fink, G. Almansl, S. Henderson, F. Marenco, G. Davico Bonlno, L. Termine filmografia/biografia critica pp. 96, 8 foto, L. 6.000 I volumi possono essere richiesti all'A.I.A.C.E.: Galleria Subalpina 30, Torino inviando l'importo corrispondente.

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