Linea d'ombra - anno II - n. 10 - giugno 1985

GIUGNO 1985/NUMERO 10 LIRE 8000 llNEDA'OMBR rivistabimestraledi storie, immagini, discussioni VIRGINWIAOOL-FPETEHRANDKE CAPE-KIOSELIA-NZIUMTHOR PALE-YSTRAUS- SFLAIANO UNCINEMIANCERCDAIFUTURO LOYOLBARANDAGOO: AL! "ESSEREBREOI,GGI"

fl MONTEDISOPNROGETTOCULTURA fl LE SCIENZE "FRONTIEREL'ASCIENZADAMISTEROALINGUAGGIO Continua il Progetto Cultura Montedison. iniziato nel 1984pcrccle• brarc il centenario di fondazione della Edison. e affennatosi come uno dei momenti centrali del nuovo linguaggio d"impresa. Il Progetto Cultura sisvolgecomeprogrammaorganico.collegatoal pat1imonio scientificoaziendale. ispirato dalla ricerca, proiettato sull'infom1azione dei giovani, degli studenti. degli insegnanti. dei creatori di opinione. dei dirigenti della cosa pubblica. Presentiamo i terni principali del programma 1985 per la sezione '·Le Scienze", in corso di svolgimento a Milano presso il Palazzoex Stelline. Le altre due sezioni del Progetto Cultura Montedison sono .. La Scuola" e ··Le Arti". Il programma Fron1icrc è patrocinmo dall'Acc;1dcmia Nazionale dei Lincei. RICCARDOGIACCONI. HUBBLESPACETELESCOPE. Riccardo Giacconi è nato nel 1931 a Genova. Si è laureato in fisica a Milano con una tesi sulle particelle elementari. È all'A· merican Science and Engineering dal 1959. Realizza il lancio ciel satellite UHURU, del satellite astronomico HEAO 1(1977) e il progetto Einstein nel 1978. Oggi dirige lo Space Telescope lnstitute di Baltimora presso la John Hopkins University. Hubble Space Telescope. L'occhio nel cielo. E il più affascinante e rivoluzionario strumento cli osservazione astronomica mai concepito. Verrà installato su un satellite artificiale extra-atmosferico orbitante intorno alla Terra. Aumenterà di un fattore IO la nostra capacità cli '·vedere·• i fenomeni celesti. B~LJNO:ROSSL pENJ~~A l!_EIRAGGICOSMICI. •·Nato-a-. Ven4'21a nel -- ' I90~ Br.unl? 1~ossi si . ~aur~\ ,Prtt;\-So-.l'Uni- . ; "1/e~1tàdi Bol.o.gna in • 'fisica. tiene cattedra A afl'lJ.J1i:.versitàcli Paclovaclal 1932al 1938. Dal dopoguerra è professore al MIT cli Boston e consulente ASA. Dopo avere insegnato a Chicago, entra nel laboratorio cli Los Alamos dove progetta e dirige un esperimento per la misura del tempo cli reazione della prima bomba atomica. Da quando furono scoperti, nel 1912, i raggi cosmici costituiscono uno dei campi di ricerca più difficili e impegnativi per gli astrofisici. Qual è la loro origine? Quale la loro composizione chimica? Come si propagano nello spazio? Il tema è trattato da Bruno Rossi. Fin dagli anni Trenta il grande scienziato italiano si interessa alle ricerche sui raggi cosmici. A lui si deve la dimostrazione sperimentale dell'esistenza cli un '·vento di plasma'' proveniente dal sole, e la promozione di un programma cli ricerca nell'astronomia in raggi X. TOMASOPOGGIO. VERSOL'INTELLIGENZAARTI- i FICIALE. Come si sta lavorando, in concreto, per riprodurre artificialmente le funzio- - ni fondamentali del cervello umano? L'esperienza del Laboratorio dell'Intelligenza Artificiale del MIT nelle ricerche sulla visione. Relatore è Tomaso Poggio. Laureato in fisica teorica all'Università cli Genova, si trasferisce al Max Planck In· stitut fur Biologische Kibernetik cli Tubinga. Oggi lavora al dipartimento di psicologia del Massachusetts Insti• tute ofTechnology. RICHARDGREGORY. IL PIANETACERVELLO. Richard Gregory. &"' dopo la laurea a ~ Cambridge. vi resta ''! come insegnante e vi i , promuove la costitu- ,, zione di un laborato• rio dedicato alla ri- ' cerca sulla percezione e i suoi diversi aspetti, particolarmente acustici e visivi. Oggi dirige, a Bristol, il Brain ancl Perception Laboratory. I meccanismi della percezione sono alla base dell'attività cerebrale e la ricerca sul cervello dell'uomo apre nuove strade al tentativo cli ripro• durre artificialmente le t~~ funzioni. Cercando di riprodurreTintelligenza in un modo artificiale, aumente· remo la nostra conoscenza del cer· vello umano? li tema è trattato da Richarcl Gregory. STEVENROSE. LACHIMICADELLAMEMORIA. Quali sono le basi~ biochimiche e neurofisiologiche dell'atti· vità cerebrale? In che modo funzionano la , \ memoria e l'apprendimento? Questo è il tema svolto eia Steven Rose. Nato a Londra nel 1938, Rose si è laureato in biochimica a Cambridge nel 1959, specializzandosi successivamente in neurofisiologia. Studia in particolare le variazioni biochimiche che avven· gono nel cervello in funzione delle modificazioni ambientali e dell'ap• prendimento. Dirige il Brain Research Group della Open University. fl monTEOISOn

Bellaria lgeaMarina COSA OFFRE BELLARIA IGEA MARINA Un effetto turismo ben visibile anche dai dati sulle strutture ricettive e di svago: 445 alberghi e pensioni, oltre 2000 ville e appartamenti, 3 campeggi; sulla spiaggia 105 stabilimenti con 1600 cabine; e poi oltre 50 tra ristoranti e pizzerie, 5 Dancings e altrettanti cinematografi. Adagiata lungo il litorale adriatico (romagnolo), dispone di un'ampia spiaggia con finissimo arenile, che si estende per una lunghezza di circa 7 Km.; dotata di una sviluppatissima e moderna attrezzatura turistica, la rende meta preferita di numerosa clientela nazionale ed estera. Vita notturna e diurna dunque, con tutte le opportunità più appetibili a seconda dei gusti. Il tutto arricchito da un fitto calendario di manifestazioni estive. Per quest'anno, l'iniziativa di maggior spicco è: "ANTEPRIMA" per il cinema indipendente italiano, manifestazione cinematografica giunta alla sua terza edizione, in programma dal 31 luglio al 4 agosto. Per informazioni e materiale gratuito rivolgersi presso: AZIENDA SOGGIORNO DI BELLARIA IGEA MARINA Palazzo del Turismo via L. da Vinci 1O 47041 BELLARIA-Tel. 0541/44108 Uffici turistici estivi: BeIlaria - via L. da Vinci 1O- Tel. 0541/44574 lgea Marina - viale Pinzon 190 - Tel. 0541 /630052

EMPORlO~ARlVlAl\fl

Direttore Goffredo Fofi Comitato di redazione Alfonso Berardinelli,Gianfranco Bettin, SeverinoCesari,Grazia Cherchi, Pino Corrias, PiergiorgioGiacché,Filippo La Porta, Claudio Lolli, Maria Madcrna, Claudio Piersantì,Marino Sinibaldi, Paola Splendore,Giorgio van Straten Direzione editodole Lia Sacerdote Progeuo Grafico Andrea Rauch/Graphiti Ricerchefotografiche Fulvia Farassino Hanno collaborato olla pref)(lrazionedi questo numero: Luigi Barbcrini,Marìsa Borio, Maurizio Buscarino,SylvieCoyaud, Stefano De Matteis, Costanzo Di Girolamo, Amina Di Munno, Rosetta Flaiano, Giovanni Giudici, Laura Gonçalez, Pilin Hutter, Laura Lepctit, Uliano Lucas, Grazia Neri, Sara Poli, Georgctte Rinaldi, Mariolina Vana, la libreriaFeltrinellidi Via Manzoni (Milano). Editore Media Edizioni (staff editoriale: Edoardo Fleischne"rL, ia Sacerdote) Via Gaffurio, 4 - 20124 Milano Telefono 02/2711209-273891 Pubblicità Media Edizioni Abbonamenti Paola Barchi Composizione e montaggi Monica Ariazzi Distribuzione nelle edicole MessaggeriePeriodiciSpA aderenteA.D.N. Via Giulio Carcano, 32 - Milano Telefono 02/8438141-2-3 Distribuzione nelle librerie PDE - Viale ManfredoFan1i,91 50137 Firenze - Tel. 055/587242 Stampa Litouric sas- Via Puccini, 6 Buccinasco (Ml) - Tel. 02/4473146 LINEA D'OMBRA rivista bimestrale di storie, immagini, discussioni Iscrizioneal tribunaledi Milano in data 5.2.1983 numero 55 Direttore responsabileSeverino Cesari Sped. Abb. Post. Gruppo IV/700/o Numero 10• lire 8.000 Abbonamento annualea sci numeri: ITALIA: L. 30.000 da versaresul c/c p. n. 25871203 intestatoa "Linea d'Ombra" o a mezzo ass. banc. intestatoa Media Edizioni. EUROPA: L. 50.000 - ALTRI PAESI: L. 60.000 a mezzo ass. banc. intestato a Media Ediz.ioni. I manoscritti non vengono restillliti. Si risponde a discrezione della redazione. Si pubblicano poesie solo su richiesta. LINDE'AOMBRA Sommario APERJURA 6 Karel éapek Il credo di Pilato STORIE Virginia Woolf Tre quadri Grace Paley Tre racconti Ivan Kulekov Questa non è ironia anno II giugno 1985 numero 10 14 16 32 34 70 80 88 lgnacio Loyola Brandào Goal! (Amici tifosi, buon pomeriggio) Ennio Flaiano La notte porta consiglo Sergio Lambiase Dalle memorie di una guida turistica Rolando Zorzi Storie di Ganz POESIA 42 Botho Strauss BOJTEGA 22 45 51 64 Croce Paley Peter Handke Paul Zumthor Otar loseliani DISCUSSIONE 8 9 Il 25 39 57 98 Vittorio Dini E. Vinassa de Regny Alessandro Baricco Maria Schiavo Gad Lerner Franco Brioschi Gianni Volpi INCHIESTA 91 l01 MarioMaffi Paola Candiani Goffredo Fofi (a cura di) SCHEDE Incolmabile prossimità La vita di ogni giorno a cura di Sara Poli Fantasie della ripetizione Verso una scienza della voce a cura di Mario Barenghi French Comedy a cura di Miche! Cimem Un mito antico per problemi attuali Verde "Brazil" Il pubblico della musica Carmen, ovvero: Della seduzione Essere ebrei, oggi La semiotica vestita di nuovo La marginalità attiva dei film-makers Lower East Side / Loisaida Ultime leve Un questionario ai film-makers italiani: P. Bologna, A. Chiantaretto e D. Pianciola, G. Fumagalli, M. Mauucco, P. Rosa, G. Rosaleva, D. Segre, G. Soldi, S. Soldini, K.Stella 84 Storie - Milan Kundera (G. Bettin), Roberto Paui (M. Sinibaldi), Marguerite Duras (P. Splendore), Giovanni Levi (A. Tarpino). Saggi - Jean Starobinski (L. Clerici), Remo Ceserani (8. Falcetto), David Punter e altri (M. Del Sapio). Teatro -Carmelo Bene (P. Giacchè), G. Sansone, Amanti e E. Robutti (G. Piccioli), Leo De Berardinis (S. De Matteis). Cinema - Milos Forman (A. Barbera). IMMAGINI L'immagine di copertina è di Pablo Echaurren. Le immagini da pag. 8 a pag. I3 sono di Antonio Sabatelli. 129 Libri da leggere 130 Gli autori di questo numero

ILCREDDOIPILATO Karel Capek Rispose Ges,ì: "Per questo sono venuto al mondo, per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla parte della verità ascolta la mia parola." Gli disse allora Pilato: "Che cos'è la verità?" E, dello questo, usci'di nuovo davanti ai Giudei e disse loro: "lo non trovo in lui nessuna colpa". (Vangelo secondo Giovanni 18, 37-38) a ul far della sera giunse da Pilato un uomo piuttosto stimato in città, di nome Giuseppe d'Ari ma tea, anch'egli discepolo del Cristo, e lo pregò di consegnargli il corpo di Gesù. Pilato acconsentì e disse: "È morto innocente." "Tu stesso l'hai mandato al supplizio" replicò Giuseppe. "Sì, l'ho mandato a morte" rispose Pilato "e la gente è convinta che l'abbia fatto per paura di quel branco di chiassoni con il loro Barabba, mentre cinque soldati sarebbero bastati a calmargli i bollori. No, non è questo il motivo, Giuseppe d' Arimatea." "Non è per questo" riprese a dire dopo un istante. "Ma parlando con lui mi sono reso conto che non sarebbe passato molto tempo prima che i suoi discepoli ne crocifiggessero degli altri: in nome del suo nome, in nome della sua verità crocifiggeranno e tortureranno tutti gli altri, annienteranno ogni altra verità e alzeranno sulle loro spalle altri Barabba. Quest'uomo parlava della verità. Che cos'è la verità? "Voi siete un popolo strano, che si perde molto in parole. Tra voi non ci sono che farisei, profeti, salvatori e altri settari. Chiunque trovi una qualunque verità bandisce tutte le rimanenti. Come se un falegname che ha fabbricato un nuovo tipo di sedia proibisse alla gente di sedersi sulle seggiole costruite prima di lui. Come se per il semplice fatto d'aver trovato una nuova sedia venissero distrutte tutte le vecchie. Ovviamente è possibile che la nuova sedia sia migliore, più bella e più comoda delle precedenti, ma perché, diamine, a un uomo spossato deve essere impedito di riposare su non importa quale misera panca, magari anche rosa dai tarli o in pietra? Si sente a pezzi, sopraffatto dalla fatica, ha bisogno di riprendere fiato, e voi vorreste proprio farlo sloggiare a forza da dove s'è appoggiato sfinito perché si trasferisca sulla vostra sedia. Non vi capisco, Giuseppe." "La verità" ribattè Giuseppe d' Arimatea "non si può paragonare a una sedia o a una sosta; somiglia piuttosto a un ordine che dica: va' qui o là, fa' questo o quello, abbatti il nemico, espugna questa città, punisci il tradimento e altre cose come queste. Chi non ascolta tale ordine è un traditore e un nemico. Ecco come stanno le cose con la verità." "Ah, Giuseppe!" disse Pilato. "Eppure sai bene che sono un soldato e che ho passato la maggior parte della mia vita tra i soldati. Ho sempre obbedito agli ordini, ma non perché fossero la verità. La verità era semmai che mi sentivo stanco o assetato, che avevo nostalgia di mia madre o desideravo la gloria, che quel soldato stava giusto pensando alla sua donna e quell'altro al suo campo o alla sua pariglia di cavalli. La verità era che se non avessero ricevuto ordini, nessuno di quei soldati sarebbe mai partito per andare a uccidere altri uomini affaticati e infelici come loro. Che cos'è dunque la verità? lo credo di esserle almeno un poco vicino se penso ai soldati invece che agli ordini." "La verità non è un ordine del comandante" rispose Giuseppe d' Arimatea, "ma un ordine della ragione. Tu vedi bene che questa colonna è bianca; se io sostenessi che è nera, ciò andrebbe contro la tua ragione e non saresti d'accordo." "Perché no?" disse Pilato. "Direi che devi davvero essere terribilmente tetro e infelice per vedere nera una colonna bianca, tenterei di distrarti un po', m'interesserei sincera• mente di te più di prima. E se poi in definitiva non fosse nient'altro che uno sbaglio, mi direi che anche nel tuo errore c'è tanto della tua anima quanto nella tua verità." "Non esiste una mia verità" disse Giuseppe d' Arima tea. "Non c'è che una sola e unica verità valida per tutti." "E qual è?" "Quella in cui credo." "Ecco, vedi" riprese lentamente a parlare Pilato, "non è altro che la tua verità. Siete come dei bambinetti che credono che tutto quanto il mondo finisca dove arriva il loro sguardo e oltre quel limite non ci sia più nulla. li mondo è grande, Giuseppe, e c'è spazio per molte cose. Cosi penso che anche nella realtà ci sia posto per molte verità. Guarda me: io sono straniero in questo paese e la mia casa paterna è lontana oltre l'orizzonte, pure non dirò che questa contrada non è vera. Altrettanto straniero è per me l'insegnamento di questo vostro Gesù; ho forse di conseguenza motivo d'affermare che è falso? Per quanto mi riguarda, Giuseppe, penso che tutte le terre sono vere, ma bisogna che il mondo sia enormemente vasto perché tutte vi possano entrare l'una accanto all'altra. Se l'Arabia si stendesse là dove c'è il Ponto non sarebbe affatto giusto. Lo stesso accade con le verità. li mondo dovrebbe farsi immensamente grande, accogliente e libero perché possano trovarvi posto tutte le verità che esistono. E io penso, Giuseppe, che il mondo è realmente così. Salendo sulla cima di una montagna molto alta si vedono tutte le cose fondersi e quasi livellarsi in un'unica pianura. Anche le verità, da una tale altezza, si fondono. L'uomo non è fatto per vivere sulle alte montagne, gli basta avere accanto la sua casa o il suo campo, entrambi pieni di verità e di cose: li è il suo vero posto e il centro del suo operare. Ma di tanto in tanto può alzare gli occhi a una montagna o al cielo e dirsi che di lassù le sue verità e cose non cessano certo d'esistere e niente viene loro tolto, ma si fondono con qualcosa di estremamente più vasto e libero, che non è ormai più sua proprietà. Tendere con affetto a questa ampia visione e nello stesso tempo coltivare il proprio piccolo campo, questo, Giuseppe, è qualcosa di simile alla devozione. E io penso che il Padre celeste dell'uomo di cui parliamo esista veramente da qualche parte, ma vada d'amore e d'accordo con Apollo e gli altri dèi. In parte si compenetrano e in parte confinano tra loro. Guarda: nel cielo c'è un'infinita quanti-

tà di spazio. Sono felice che ci stia anche il Padre celeste." "Tu non sei né caldo né freddo" disse Giuseppe d'Arimatea alzandosi. "Sei soltanto tiepido." "Non è così" rispose Pilato. "lo credo, credo, credo ardentemente che la verità esiste e che l'uomo la conosce. Sarebbe insensato pensare che la verità esista solo perché l'uomo la ignori. La conosce, si; ma chi di noi? lo, tu o un po' tuui? Cr_edoche ognuno ne possieda una parte, chi dice sì come eh, dice no. Se i due si unissero e si comprendessero, appanrebbe la verità tutta intera. Ceno, il sì e il no non posCRITICA LETTERARIA/NOVITÀ Lorenzo Renzi Come leggere la poesia Con esercitazioni su poeti italiani del Novecento Friedrich Ohly Geometria e memoria Lettera e allegoria nel Medioevo Ezio Raimondi Le pietre del sogno Il moderno dopo il sublime Jurij M. Lotman Il testo e la storia L'«Evgenij Onegin» di Puskin ~ il Mulino APERTURA/CAPEK sono unirsi, ma le persone ci possono sempre riuscire: c'è più verità nelle persone che nelle parole. Ho più simpatia per le persone che per le loro verità; ma anche questa è una forma di fede, Giuseppe d'Ari matea, anche per questo c'è bisogno di mantenere dentro di sé entusiasmo e fervore. lo credo. Credo fermamente, al di là d'ogni possibile dubbio. Ma che cos'è la verità?" {1920; traduzione di Danilo Manera) Guida editori s:1Fi '.'.:.1poh ,1.1 \1.:nt.1gl11,;n s, Id. (:81) HIX-1\ ARCHIVIO DEL ROMANZO Adelbert von Chamisso VIAGGIO INTORNO AL MONDO A cura di E. Bernard Con un saggio di Thomas Mann pp, 184 Lire 15.000 Francesco Algarotti IL CONGRESSO DI CITERA Montesquieu IL TEMPIO DI GNIDO A cura di A. Marchi pp. 118 Lire 18.000 SAGGI Giuseppe Antonio Di Marco MARX NIETZSCHE WEBER pp. 218 Lire 20,000 Gianpiero Cftvaglià L'IDENTITA PERDUTA Romanzo e idillio pp. 104 Lire 10.000 Aonun V()fl' CN4MIUO ~~ " """""' 7

8 DISCUSSIONE/DINI UNMITOANTICO PERPROBLEMAITTUALI Vittorio Dini L'individuo e i suoi sentimenti e comportamenti di fronte alle regole e norme astratte della società; diritto naturale, leggi morali "eterne" e sempre sentite e diritto positivo, leggi scritte e rese valide da una autorità che ne impone il rispetto; i valori dell'uguaglianza e quelli della giustizia; la forza e la violenza in rapporto alla norma e al diritto; la pietà ed il perdono contro la oggettività e "neutralità" del sistema giuridico e delle sue regole; la colpa, il suo fondamento soggettivo (la colpevolezza), e la legittimità della pena e del carcere. Temi quasi "eterni" della rinessione, ma che diventano in determinati passaggi storici dibattito concreto, che riguarda giudizi o scelte pressanti e urgenti. Problemi di filosofia del diritto, ma insieme categorie di giudizio su eventi e circostanze, che vedono larghe fette della società implicate ed impegnate. Gli anni dell'emergenza e questi nostri della lenta e faticosa uscita dall'emergenza impongono la centralità di questi temi, erichiedono di superare l'ottica riduttiva, tutta "politica" - e di una assai discutibile politica - di una circolarità tra ruoto repressivo dello Stato borghese e lotta contro tale repressione. È una prospettiva questa che, facendo di necessità virtù, non soltanto riduce lo scontro a un livello militare, carcerario e solo in questo senso politico, ma fa perdere la complessità e la generalità dei problemi investiti. Impedisce di ripercorrere il cammino dal carcere alla pena, le motivazioni J?iùampie e generali, di filosofia del diriuo. E la logica, appunto, dell'emergenza, tulta stretta nel circolo - viziosoterrorismo/attacco allo Stato/situazione d'emergenza/leggi eccezionali. Non si tratta soltanto di una questione di tempi, bensì di una vera e propria logica, di una struttura e di un modo di funzionamento teorico e pratico. Perciò nessuna illusione storicistica, e neppure alcuna ammonizione del tipo: "l'emergenza non è finita, quindi non si deve ancora abbassare la guardia!". Si tratta infatti di capire fino in fondo le "ragioni" di quel circolo vizioso, di risalire alle sue cause più profonde, anche quelle più squisitamente ideologiche e di mentalità. Soltanto così si può pensare di rimuovere - ma veramente - quelle false "ragioni" e impedire che esse possano costituire la base di un "nuovo" diritto, di una "costituzione materiale" soltanto rinnovata ma in realtà fondata prorio su quelle "false" ragioni. Che il terrorismo non sia del tutto finito, non vuol dire che si debba continuare con le leggi eccezionali, con il "pentitismo", ecc. A parte la diversa natura - e la diversa incidenza - del terrorismo di oggi, è la logica generale che va messa in questione, il nesso di specularità stesso tra terrorismo e Stato (di eccezione). Alla critica dell'emergenza dedica il proprio sforzo teorico la nuova rivista "Antigone" e lo dichiara fin dal sottotitolo: "bimestrale di critica dell'emergenza". Perché Antigone? Si sforza di spiegarlo il saggio centrale del primo numero di Massimo Cacciari. In effetti, qualche ambiguità il riferimento al mito sofocleo può presentarla, se è vero che - come è stato notato in uno dei migliori saggi di analisi del mito (Simone Fraise, Le mythe d'Antigone, Paris 1974, p. 16) - "oggi Antigone non è più con, essa è contro. Le virtù di compassione cedono il passo di fronte alla resistenza a un potere ingiusto. Questa Antigone ... è stata adottata dal XX secolo per fare intendere la voce del debole contro il potente. Ai nostri giorni ogni riferimento al suo nome rinvia ad un problema di ordine politico". Eppure non sempre è stato così: non è questa l'interpretazione che ha dominato la storia del mito (puntualmente e acutamente descritta da Cesare Molinari in Storia di Antigone, Bari 1977). Ma in una direzione non molto diversa sembra rivolgersi la stessa interpretazione più generalmente accettata: il mito come rivendicazione delle ragioni del diritto naturale (Antigone) contro la dura autorità autofondantesi del diritto positivo (Creonte). Ed ecco allora le inevitabili - e perfino comprensibili - grida ad avvertirci che, in fondo, anche le ragioni di Creante sono ... ragioni, che senza leggi non c'è città, non c'è organizzazione, non c'è Stato. Lo sostiene con vigore anche Hegel (Lezioni sulla filosofia della religione, Bologna 1974, p. 133): "Creonte non è un tiranno, ma rappresenta qualcosa che è anche una potenza morale. Creonte non ha torto, egli ritiene che la legge dello Stato, l'autorità del governo debbano essere rispettate, e che il castigo sia la conseguenza della loro violazione. Ciascuno di questi due lati non ne realizza che uno, ha per contenuto solo uno. E cioè la unilateralità e il significato dell'eterna giustizia è che ambedue hanno torto perché sono unilaterali, ma perciò anche ambedue hanno rag.ione. Ambedue vengono riconosciuti nel corso non intorbidato della moralità, qui ambedue hanno il loro valore, ma conciliato. La giustizia si eleva solo contro l'unilateralità". Ma è lo stesso Hegel a vedere in Antigone e Creante degli individui in conflitto che "si presentano, secondo la loro concreta esistenza, ognuno in se stesso come totalità, cosicché in sé stessi si trovano in potere di ciò che combattono, violando quindi ciò che, conformemente alla loro esistenza, dovrebbero onorare ... Così in entrambi (Antigone e Creonte) è immanente ciò contro cui si ergono rispettivamente, ed essi vengono presi ed infranti da ciò che appartiene alla cerchia stessa della loro esistenza" (Hegel, Es1e1ica, Torino 1967, p. 1360). Infatti, Antigone morirà prima di raggiungere il compimento naturale del proprio essere donna, prima cioè di gioire della danza nuziale, mentre Creante realizzerà nella morte della moglie e del figlio la tragica manifestazione del passaggio - e della involuzione - della propria posizione da rappresentante del diritto positivo a sostenitore della mera ragion di Stato, una volta che gli viene a mancare ogni consenso, e da parte del popolo e da parte della sua stessa famiglia. li tragico sta proprio in questo: non nell'opposizione di due astratte figure, né nella lotta di un diritto contro un altro diritto, ma nel fatto che dentro ognuna delle figure si rappresenta e si sviluppa il connitto stesso tra la pietà e la ragion di Stato, tra il "diritto delle ombre" della natura femminea

di Antigone e il "diritto del giorno", la legge dello Stato e del governo di Creonte. Goethe addirittura ha visto nella tragedia di Sofocle, contro l'interpretazione hegeliana, piuttosto uno scontro di umane passioni che non di figure del diritto. Dunque, non ha senso assumere un punto di vista di Antigone, del diritto naturale, contro Creante, il diritto positivo e la legge scritta dello Stato. Dobbiamo invece capire le ragioni - e rimuoverle per quanto ci è possibile - per le quali Creante, che inizialmente, per riprendere i termini hegeliani, non è un tiranno, ma proprio una forza morale, diventa invece nello sviluppo della propria - apparentemente del tutto coerente - posizione appunto un tiranno. Lo diventa esanamente perché non è capace - e quando lo sarà, è ormai troppo tardi - di capire ed assumere nel proprio punto di vista le ragioni di Antigone, ragioni che non sono immediatamente contro Crconte, ma che si riferiscono ad una sfera diversa - la pietà, la nonviolenza, l'amore - cta quella rappresentata nella legge scritta. Fin qui il mito, o meglio l'interpretazione del mito. Venendo a noi, allora riferirsi ad Antigone non può voler dire ingenuo schieramento (e riconoscimento esclusivo) delle ragioni del diritto naturale contro la legge dello Stato. Né tantomeno vuol dire identificarsi con la posizione, per esempio, della dissociazione dal terrorismo. Certo, queste posizioni e la relativa prospettiva di una legislazione favorevole alla dissociazione sono obiettivamente quelle più idonee a una soluzione politica - e nonviolenta - della fuoriuscita dal terrorismo. Soprattutto, si tratta di una soluzione politica in cui viene superata la soluzione, tutta militare, poliziesca, carceraria propria della fase della crisi decisiva del partito armato e della legge sui pentiti. Riferirsi ad Antigone signifi ca, allora, assumere un atteggiamento affatto razionale, risalire dal carcere alla pena alla colpa, per capire e modificare i processi che ad esiti tragici hanno condotto. Più che nei dissociati dal terrorismo, un' Antigone moderna preferiamo ravvisarla in Simone Weil, la quale del resto esplicitamente si identifica nell'eroina di Sofocle. È comunque inaccettabile, e privo di ogni autentica motivazione morale, che venga chiamata in causa la tragedia delle vittime del terrorismo e il dolore di parenti e amici delle vittime, ogni volta che si propone la discussione su questi temi e sull'uscita dall'emergenza. Ma il problema è proprio quello di andare oltre la logica puramente emotiva e penale: non la, sia pur motivata e giustificata, riparazione, ma innanzitutto la rimozione delle cause del delitto. Altrimenti lo Stato, lo stesso diritto finiscono con l'assumere questo carattere vendicativo e svelano, aggravandola, la propria origine nella forza e nella violenza. Del resto, non sono forse venute proprio da parenti delle vittime invocazioni all'amore ed alla pietà più che alla vendetta? Proprio come Antigone, che non era neppure cristiana. VERDE"BRAZIL" Emanuele Vinassa de Regny In poco più di un anno mi è capitato di lavorare al progetto e alla realizzazione di due libri strettamente legati ai temi degli ambientalisti. Uno, nuovissimo, Tempi storici. tempi biologici di Enzo Tiezzi, è uscito in dicembre e ha avuto un notevole successo; l'altro, di prossima uscita, è la riedizione critica (con il contributo di due "padri" dell'ecologia italiana, Giorgio Nebbia e Virginio Bettini) di un classico, Il cerchio da chiudere di Barry Commoner, il testo base dell'ecologia politica, ancora molto richiesto ma da tempo esaurito. Si tratta di due libri decisamente interessanti, l'uno affascinante rilettura in chiave storicoletteraria dei temi dell'ecologia e delle loro radici nelle culture popolari, l'altro folgorante intuizione sui condizionamenti ecoDISCUSSIONE/VINASSA nomici della politica ambientale, con in oiù un "ripensamento" sul tema a 13 anni di distanza dalla prima comparsa di questo testo, "ripensamento" dell'autore e dei curatori italiani. Mi è capitato anche di leggere un libro di una storica della scienza statunitense, Caroline Merchant, The death of nalllre (Harper & Row, New York 1984), che, con una stringata analisi di documenti storici, traccia un parallelo affascinante, anche se apparentemente stravagante: a partire dalla rivoluzione industriale, lo sfruttamento della natura è andato di pari passo allo sfruttamento della donna. Del paragone donna-natura non se ne può più, ha recentemente osservato Ida Magli ("la Repubblica", 23 aprile 1985), ma in questo caso il raffronto mi sembra azzeccato. Questo preambolo serve solo a dire che anche chi si occupa di saggistica scientifica, e non solo chi si occupa di romanzi, si lascia andare alle mode, anche se non sempre le condivide. D'altronde il mercato è quello che è (anche se meno stupido e più ricettivo di quanto non pensino gli editori e gli editoriali, e i tonfi di certi libri sulle tematiche ambientalistiche sono lì a dimostrarlo) e si deve pur vendere! Motivi "storici", ma anche affettivi, mi legano a una particolare visione dei temi ecologici, la visione che il "Sapere" di Giulio Maccacaro sintetizzava con l'endiadi ambiente e potere. Una visione scientifica e politica, non una fantasia verde. La collaborazione a "Sapere", appunto, e la lettura - purtroppo lontana - di un bellissimo libro, anche questo scritto da una donna ormai dimenticato: Primavera silenzios~, di Rachel Carson (Feltrinelli, I 966). A queste radici mi faceva pensare il boom dei verdi, e non quello politico (che è ancora da vedere) e neppure quello operativo-applicativo (genere "riappropriamoci della città"), ma semplicemente il boom della "filosofia" verde. Esemplifico cosa intendo per "filosofia" verde. Qualche tempo fa "il Manifesto" ha fornito un ottimo panorama in più parti del fenomeno verde e l'ha poi corredato di una scheda bibliografica (tra l'altro piena di citazioni errate) che definire demenziale è poco. L'unico che ha scritto rilevando carenze è un signore che ha lamentato l'assenza dalla scheda dei testi di Gandhi, Capitini, Lanza del Vasto ecc. Più chiaramente, nella "filosofia" verde ci sta tutto, così come tra i verdi c'è dì tutto, sotto l'etichetta "verde" passa di tutto. E a me sembra eccessivo. Naturalmente dò per scontato che non si tratta di malafede, ma semplicemente di ingenuità e confusione mentale. Del resto, e 9

IO DISCUSSIONE/VINASSA l'ha scritto Enrico Testa ("il Manifesto". 19 aprile 1985), è "certamente auspicabile, ma non decisivo in questa fase, ... chiedere ... al movimento ecologista in generale una coerenza e una complessità teorica". E Testa è un uomo d'onore. E a questo proposito val la pena di leggere il dossier Ecologi, ecologia, verdi sul n. 24 di "SE· Scienza Esperienza" (maggio 1985), in particolare l'articolo di Enrico Guazzoni: ti labiri1110degli incontri mancati: i verdi e laricerca. Insomma i verdi e le loro storie, i verdi e i loro problemi mi stufano non poco. I rossi (o i bianchi) che si dipingono di verde sono poi insopportabili: tra l'altro - così dipinti - si confondono con i neri, pure dipinti di verde, e magari con i radicali, ancorché vestiti di arlecchino e pronti per ogni evenienza. Quello che infastidisce di più è il fa. re tutto "verde", confondere tutto. L'impressione è che sia una moda, una moda in• dubbiamente vincente (oggi). Forse l'aspetto più noioso della questio• ne verde è proprio la combinazione, l'in. crocio tra la moda e il "tutto". Un incrocio che va dal jogging tra i tubi di scarico delle auto, tanto per "riprendersi la città", al ci• bo biodinamico coltivato in una fattoria che usa solo fertilizzanti naturali, quasi non si sapesse che gli insetticidi e i fertilizzanti chimici su quel cibo ci si ritrovano lo stesso perché li usa una fattoria vicina o, magari, una lontana parecchi chilometri ma "ben disposta" per quel che riguarda il vento: i pinguini dcli' Antartide erano pieni di DDT, eppure da quelle parti nessuno lo usava per debellare la malaria! Peraltro, ed è giusto riconoscerlo, si po• trebbero leggere i verdi e i loro temi come Starobinski in 1789. I sogni e gli incubi della ragione (Garzanti, Milano 1981) legge Bernardin de Saint•Pierre (uno dei tanti ingegneri.scrittori) che, osservatore finissimo del mondo naturale, era un ecologista ante•litteram. "... Bernardin de SaintPierre, associando la grandine, il gelo, e la gestione disastrosa delle finanze pubbliche, ci lascia intravedere un aspetto essenziale del sentimento che prevale nella primavera del 1789." E, come racconta Starobinski all'inizio dello stesso saggio (// gelo), "Quello del 1788-89 fu un inverno di gran freddo", proprio come quello del 1984-85 ! Coincidenza augurale? Speranza di una ri• voluzione estiva? Chissà. Resto un po' scet• tico perché con la "strategia del tutto" la guerra è persa. Tanti anni fa, Primaverasilenziosa ebbe un impatto straordinario: in pochi anni il DDT fu messo al bando in (quasi) tutto il mondo. Oggi non succede più niente, nep· pure dopo Seveso o Bhopal. Non passa giorno che i quotidiani non raccontino Sto· rie terrificanti di veleni scoperti nei prati o nelle rogge, di autobotti che circolano allegramente piene di sostanze pericolosissime, ma nessuno si meraviglia ormai più che tan• to. Certo, la situazione si complica quasi ogni giorno per la continua immissione in natura di sostanze sempre più nuove e i cui effetti a lungo termine sono quasi sempre sottovalutati: ma l'assuefazione al sintetico e all'artificiale è anch'essa rapidamente cre• scente. "L'aria della città fà bene", come dicono quelli della Lega Ambiente, ma basta andare a spasso e ce se n'accorge! Qual• cuno ricorderà forse che fino a qualche anno fa i quotidiani pubblicavano regolar• mente (almeno a Milano) i dati ufficiali sulla concentrazione di anidride solforosa (S0 2 , indicatore dell'inquinamento da au• tomobili e da combustione "sporca" in ge. nere) relativi a una decina di punti chiave della città. I valori superavano spesso i limiti previsti dalla legge, sia in centro, sia in periferia (tanto per intenderci, in via Brera come in piazzale Zavattari). Oggi i dati non vengono più pubblicati: a) perché sono diventati "riservati"; b) perché non è bene pubblicarli (per decenza); c) perché non interessano più nessuno. Scegliete la risposta che più vi piace perché tanto il risultato è lo stesso. Ai verdi si potrebbe consigliare di anda• re a vedere Brazi/ (e di seguirlo attentamente), un film che mi è sembrato la più divertente e, perché no, intelligente lettura di 1984. Orwell descriveva il (suo) presente, Brazil descrive il nostro: i cartelloni pubbli• citari che impediscono di vedere, la buro• crazia sempre più invadente ... Il verde del paradiso agreste, immaginato • non a caso dalla stanza di tortura - è morto. L'unico vivo è Tuttle, il tubista, che è terrorista non perché mette le bombe (e infatti non le mette) ma perché ripara i guasti della tecnica al di fuori dell'ordine costituito e perché riempie . letteralmente - di merda i rappresen• tanti del suddetto ordine. Ai verdi manca solo lo sponsor: è l'ora che se lo trovino. P .S. Alexander Langer si è lamentato su "il Manifesto" del 23 aprile 1985 (mi accor• go di aver citato quasi sempre questo quoti• diano, ma è il solo che leggo sul serio, an• che se su questo tema la penso molto diver• samente) che ai verdi tutti danno consigli: mi scuso di esserci cascato anch'io! (Questo pezzo è stato scritto il mercoledì delle ceneri (3 aprile 1985) e consegnato il 29 aprile. Quindi non tiene conto dei risultati eletto• rali (che non potevo conoscere) né della querelle per gli spazi elettorali-TV tra i verdi e Pannella (che invece conoscevo). L'articolo di Guazzoni e il dossier di "SE· Scienza Esperienza" li ho ovviamente visti in dattiloscritto. A proposito di inquinamento e di scom• parsa dei dati relativi sui quotidiani, è an• che successo nel frattempo . e non mi sem• bra un caso • che il governo Craxi abbia mutato per decreto i valori di uno dei più importanti indici di inquinamento biologi• co, in modo da rendere "pulite per legge" quasi tutte le nostre coste. Ma in prima pa• gina ne ha parlato solo Mario Fazio su "la Stampa"; nelle altre nessuno. (Ma posso anche sbagliarmi.)

IL PUBBLICDOELLMAUSICA Alessandro Baricco C'è un libro uscito poco più di un anno fa su cui è bene ritornare. Si intitola Le ali di Wie/and, l'ha scritto Paolo Isotta. Quel libro contiene sette saggi di argomento musicale; ne associo il ricordo all'impressione, gradevole, di vedere all'opera un formidabile dissacra1ore di luoghi comuni. Nella mappa musicologica, come in ogni altra, sopravvivono radure di sensato errore, bonarie approssimazioni che l'analisi si porta dietro per il gusto, non condannabile a priori, di preferire la chiarezza alla realtà o il brillanle al vero. Fihrale dalla divulgazione e moltiplicate per i diversi canalì dell'educazione musicale, quelle piacenti trasgressioni del .vero finiscono per diventare col tempo dei nobili luoghi comuni che quasi nessuno si prende più la briga di stare a discutere. Dico quasi perché, appunto, qualche Isotta c'è ancora sempre a tener desta la coscienza critica del sistema. Ne Le ali di Wieland di ques1i luoghi comuni ne compaiono, puntualmente sbugiardati, numerosi. Alcuni appartengono a un orizzonte squisitamente musicologicostoriografico; quelli che non mi è accaduto di dimenticare dimorano piuttosto nell'orizzonte della prassi musicale: luoghi comuni del comportamento collettivo di fronte al fenomeno musica. Li raccoglierei sono due tiioli: I) il progressivo imporsi sul mercato delle "esecuzioni filologiche"; 2) l'antipatia per \.Vagner e la supina accettazione della musica d'avanguardia come facce di un medesimo fenomeno: Pincapacità del pubblico a una fruizione consapevole della musica "moderna". Fuori dai vincoli di una vera e propria recensione, esonerato dai relativi obblighi pubblicitari, vorrei "replicare", pur nella forma imperfetta del riassunto, quelle pagine di Isotta: un po' perché nella loro lucidità riescono a metter a fuoco almeno un paio di utili verità; e un po' perché, con rassicurante limpidezza, introducono alla comprensione del più intimo ésprit dell'attuale mondo della musica colta. Come si vedrà. Le esecuzionifllologiche. Il fenomeno è sotto gli occhi di tutti. Trattasi della tendenza, sempre più diffusa, a riportare l'esecuzione della musica antica e barocca alle sue caratteristiche originali. Strumenti d'epoca, dunque, e poi tutta una serie di purismi che Isotta diligentemente annota: "La norma del momento è che l'intonazione sia una variabile della quale aver cura eccessiva sarebbe neurotico. Che il suono non debba e non possa avere nulla di corposo: sia secco, nasale, di zanzara. Che oboi "naturali" all'unisono con i violoncelli li coprano del loro timbro: e non siano esattamente accordati con essi. Che gli archi non vibrino e che il loro suono sia coperto dalla ferraglia del basso cominuo, portato quasi a protagonista dell'esecuzione. Che nel canto la principale zona di risonanza della voce sia il naso. Che, nelle composizioni corali, le parti di soprano vengano eseguite da pueri cantores e quelle di con1raho da uomini falsenisti. Che quelle solis1iche di soprano e contralto, se scritte per castrati, siano monopolio dei falsettisti: oscene caricature della voce. Che gli slacchi di tempo siano senza alcuna varietà tendenti verso una sorta di allegro moderato buono a tutti gli usi. E che, soprattutto, essi siano coerenti con la secchezza assoluta del suono e del fraseggio. Dal pun10 di visla sonoro, o più generalmente musicale, si tratta di un'au1en1ica fiera dell'orrore. (Il ca1alogo, nel testo, è anche più lungo e impietoso: per brevità mi sono permesso di sfrondarlo qua e là). DISCUSSIONE/BARICCO Il fatto che tutto ciò sia vissuto da una larga fetta del pubblico come emozionante ritorno alle origini e rigeneratrice purificazione dalle scorie della Storia, cos1i1uisce il luogo comune che Isotta si perita di smontare sistematicameme, con argomentazioni che non lasciano grandi margini di dubbio: I) L'illusione che sia possibile ri1ornare all'immagine originaria delle opere è un falso e un feticcio. "Giacché per ottenerla, ben prima di aleatorie condizioni materiali, quel che andrebbe ripristinato è il rapporto psichico ed emotivo fra l'opera musicale eseguita e l'ascoltatore." Rapporto che risulta, ovviamente, irrecuperabile. 2) Quand'anche il ritorno alle origini fosse possibile, non per questò sarebbe poi tanto augurabile. Se obbienivo dell'interprelazione (e dunque dell'esecuzione) è quello di "realizzare l'essenza dell'opera" certi purismi non possono che boicottarne l'efficacia. Esempio: gli strumenti originali, per loro limiti costitutivi, finiscono per sbiadire le linee portanti delle strutture musicali, rendendone problematica, all'ascolto, una decifrazione esatta. 3) Quand'anche proprio il recupero dell'origine fosse l'obiettivo dell'esecuzione, per lo pili infondata sarebIl

12 DISCUSSIONE/BARICCO be comunque la pretesa degli attuali neofilologi di realizzarlo compiutamente: "il Barocco 'filologico' di Harnoncourt, colleghi e concorrenti, non è la verità. È il falso." Due esempi, tra i tanti: l'allegro uso di sopranisti e contraltisti vari per sostituire le voci dei castrati (ovviamente al momento irreperibili): "Quale rosse in effetti la voce dei castrati nessuno oggi sa: una cosa sappiamo con certezza, che la voce di un soprano o un contralto femmina le è di gran lunga meno lontana di quella dei vari signori Alfred Deller, Paul Esswood, Russe! Oberlin, ecc." E poi: la scelta degli organici, sempre ridotti al minimo: "Oramai non siamo afflitti che da sorta di orchestrine da caffè cui è affidata l'esecuzione di Corelli, Bach, Handel, Vivaldi. Si finge di dimenticare l'elementare considerazione che, durante il Barocco, la musica veniva eseguita in teatri piccoli oppure in camere, la più grande delle quali poteva essere un principesco salone delle feste, laddove oggi la si esegue in sale da concerto le cui dimensioni sono infinitamente maggiori.". li riassunto, come sempre, svilisce: creda il lettore che le argomentazioni di Isotta non si fermano qui e suonano, se lette integralmente, anche più precise, ironiche e violente. Personalmente le custodisco nella memoria come bastevole risarcimento a tante serate annegate nella noia di esecuzioni filologiche fino alla stupidità. Secondo luogo comune: l'errata fruizione della musica "moderna". Qui l'argomento è scottante e, come deno precedentemente, bifronte: da una parte la diffusa antipatia per Wagner, dall'altra la supina accettazione della musica contemporanea. Mi permetto di ricostruire il discorso di Isotta ricomponendo frammenti di scritti diversi. Punto di partenza, Wagner. "Oggi Wagner non è più simpatico. Al fatto che gli vengano preferiti compositori che un tempo gli erano di gran lunga posposti, concorrono molti fattori. Presso il pubblico, uno dei principali è l'assai decaduta capacità di ascolto concentrato, o semplicemente dell'ascolto, di brani che non siano strofici, con melodia evidente e simmetrica, ridotti alle funzioni armoniche elementari e caratterizzati da formule ritmiche marcate e ripetute. Oggi si ride, e non senza ragione, del vecchio wagneriano tutto teso, nell'ascolto, a riconoscere il Leitmotiv e solo quello: sta di fatto che tale vecchia razza è stata sostituita da un pubblico che, nel novanta per cento dei casi, è incapace di riconoscere in un atto d'opera di \Vagner un discorso, e men che meno di coglierlo, ma vi vede solo una - rada - serie d'immagini in cinemascope galleggianti in un pelago d'indecifrabile che si cerca di attraversare con le orecchie tappate - il cervello no, quello nacque tappato - sperando che duri il meno possibile. Lo stesso Puccini non continuerebbe a essere l'operista più popolare se in lui, che questo fenomeno già aveva intuito traendo le conseguenze sul pubblico del suo tempo, non si alternasse al grande compositore la puttana: la seconda a costituir da lasciapassare al primo, disseminando l'opera di opportune zone di melodia che nella mente del pubblico si imprimano. Al di fuori di esse, in Puccini la gente non coglie mollo di più di quel che non colga in Wagner." Dunque: regressione della capacità di ascolto, cretinismo collettivo, fruizione impressionista e sostanzialmente falsa della musica, collezione di miti fondati su una serie di equivoci. Okey. Vediamo l'altra faccia del problema. Nell'ultimo saggio del volume (li linguaggio della musica) Isotta annota, a proposito delle avanguardie musicali: "Ciò che rende illusorio il sistema di composizione seriale è che esso non tiene conto d'un fatto fondamentale: che la sua complessità esorbita di mollo dalle capacità di assorbimento (vogliam dire di decodificazione?) dell'orecchio umano. La percezione dell'orecchio umano è semplice. Esso non riesce a cogliere quelle che si presentano per strutture ma che in realtà tali sono esclusivamente da un punto di vista grafico: intendo dire, non riesce a coglierle per tali, ad attribuire loro un senso." E ancora: "La dodecafonia è vecchia più di mezzo secolo, e tuttavia la vera e propria intimidazione culturale massiccia con la quale la cultura ufficiale e i mass-media l'impongono non riesce a rimuovere nell'orecchio di chi ascolta ostacoli in realtà nei suoi confronti irremovibili." Dove Isotta dice due cose cristalline e troppo taciute: che la serialità pone all'orecchio un enigma irrisolvibile; che la cultura ufficiale da anni cerca di far credere il contrario a un pubblico che col tempo ha finito per farsi convincere. Si mettano ora insieme le due facce della questione e verrà fuori un panorama tutt'altro che tranquillizzante: da \Vagner in poi i meccanismi linguistici della musica colla occidentale hanno intrapreso la via di una sempre maggiore complessità contraddistinta da un uso sempre più generalizzato e radicalizzato del cromatismo. Al termine di questo processo si incontra la dodecafonia intesa come ipostasi di un assoluto e finale dispiegamento delle potenzialità cromatiche del linguaggio musicale. Parallelamente a questo processo se ne realizza un altro, simmetricamente contrario: fors'anche perché sedotto dalla felice elementarietà della musica leggera, il pubblico cade vittima di una regressione che progressivamente riduce al minimo le sue capacità di ascolto. Risultato: un totale scollamento tra musica e pubblico. Scollamento esclusivamente linguistico, si badi, perché poi nella pratica il matrimonio tra i due continua felicemente, nel nome di un ascolto emozionale, impressionista, superficiale, tanto infondato da finire per essere tranquillamente e regolarmente indirizzato verso i luoghi comuni che l'industria culturale, di volta in volta, designa come ufficiali. Così è la storia, come - se ho ben interpretato - la racconta Isotta. Essa enuncia una verità tanto scomoda quanto sistematicamente elusa dall'esercito di gazzettieri che tiene su il gran circo della musica classica. Accostata alla brillante confutazione del neo-filologismo à la mode sopra riferita, offre lo spettacolo di una coraggiosa in-

telligenza critica al lavoro. È, in verità, uno spettacolo curioso: l'impressione è che quanto più il critico colleziona frammenti di verità sottratti alla mistificazione, tanto più il quadro complessivo a cui lavora prende il sapore del falso e del nuovamente mistificatorio. Singolare dialettica di lucidità analitica e cecità sintetica. Letta da vicino essa tradisce i contorni di una situazione che va ben al di là della specificità del caso lsolla. Nel suo doppio movimento verso e lontano dalla verità lsoua non fa che mimare istintivamente il paradossale nonprocedere della cultura propria della musica colta. Le sue diagnosi sono a loro volta leggibili come sintesi. Parlano di vecchi mali, insopportabilmente tenaci. Il fatto è che questo affiora sempre in questo libro quando è tirato in ballo il presente: una sostanziale riluttanza per la modernità. Isotta mi ricorda il tipico intellettuale che vede tull 'intorno sfasciarsi l'impero, che ne denuncia lo sfascio e che pure altro non saprebbe vivere che quell'impero. La sua sistematica denuncia degli equivoci a cui si concede la prassi musicale attuale ha sempre il sapore della restaurazione. Tende a leginimarsi in base ai modelli consegnati dalla tradizione senza mai attingere la propria verve polemica dalla rivendicazione di un nuovo sistema di modelli. Si veda la sua brillante confutazione del neofilologismo sopra registrata: tra tutte le argomentazioni, certo legittime e puntuali, manca proprio l'un_ica ~he davv~ro sarebbe decisiva: la rivendicazione, anche in campo musicale, di quel concetto di interpretazione che la rinessione propria della modernità ha messo a fuoco e che proprio nulla ha a che vedere col ritorno alle origini e con un pedissequo rispetto per la Storia. Non è un caso che là ove sfiora l'argomento, Isotta si avvalga di due riferimenti, Adorno e Pareyson, che rappresentano di fatto l'epoca aurorale dell'ermeneutica contemporanea: il punto in cui l'elaborazione di una nuova normativa dell'interpretazione ancora cercava di coniugare il proprio palese carattere eversivo con l'esigenza di salvare lo status quo del regime culturale, o quanto meno le apparenze. Tutto sommato, Isotta ci salva da Harnoncourt per riconsegnarci nelle mani di Furtwa.ngler e Karajan: meglio che niente, ma noi si sarebbe sperato, magari, qualcosa di più ardito. Analoghe riOessioni dettano le pagine sul rapporto tra pubblico e musica postwagneriana. Mai come qui risulta evidente il rischio che si corre a fidarsi troppo di Adorno. A leggere Isotta ci si fa l'impressione che da qualche decennio a questa parte il pubblico della musica sia caduto preda di un progressivo e inarrestabile rincretinimento. A me sembra che la cosa meriterebbe di essere enunciata in modo leggermente diverso: da qualche decennio in qua accade sempre più spesso che siano i cretini a scegliere la musica colta come propria passione personale. Nel senso: il pubblico intelligente - voglio dire quello consapevole del proprio tempo - si è rivolto altrove. Il Senso è nomade e il pubblico, che in questo ha un istinto infallibile, sa seguirlo: sa essere, di volta in volta, dove il Senso accade. Nell'ottocento riempiva i teatri d'opera, oggi preferisce i cinematografi e la televisione: alcuni dei luoghi, appunto, in cui più genuinamente accade la modernità. In un'epoca che si è consegnata felicemente alla cultura dell'immagine - in un tempo in cui chiunque sa cos'è una dissolvenza incrociata e anche un ragazzino sa distinguere un filmetto spazzatura da un film d'autore - suona stonato stracciarsi le vesti perché quasi nessuno ha un'idea decentemente approssimativa di cosa sia il contrappunto. Addirittura comico, poi, mi pare desumerne, adornianamentc, un movimento di regressione collettiva. Semplicemente accade che la gente faccia propri altri tipi di linguaggio: e lasci decadere quelli a cui, in passato, aveva affidato la propria domanda di un Senso. Isotta, che tanto acutamente ha inquadrato 11 tipo sociale del filologo exsessantottino, non può non accorgersi di DISCUSSIONE/BARICCO chi realmente è l'appassionato di musica classica dei nostri giorni: è l'animale braccato dalla modernità. Le sale da concerto, e in massimo grado i teatri d'opera, stanno diventando i dorati rifugi per chi conta di sfuggire all'esplosione del moderno. Lì, al concerto, l'ottocento è a portata di mano. Lo stesso passivo ed ormai entusiastico concedersi al tedio della musica contemporanea fa parte del gioco: è un modo di esorcizzare il nemico. Come se il sorbirsi un po' di avanguardia una volta al mese valesse ad assolvere il dovere del moderno: quando invece nulla manca tanto radicalmente la modernità, oggi, come gran parte della Nuova Musica. Più leggo Isotta più mi pare di riconoscervi tutti i vizi di quel mondo che lui, a volte genialmente, racconta. Se posso dir così, la sua mi sembra una riflessione critica a trazione posteriore: in ciò rincttc alla perfezione l'andatura con cui il mondo della musica colta va verso il suo futuro. Mi chiedo quanto un simile falso movimento possa portare lontano. Lontano dal gran minuetto che sta trasformando quel mondo in una ridicola festa postuma. Le illustrazioni di questa sezione sono di Amonio Sabatelli. 13

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