Linea d'ombra - anno II - n. 9 - aprile 1985

96 SCHEDE/F~METTO suoi gusti che non indicazioni utili), ma è difficile trovare dei veri padri. Forse Ray per le cure dedicate agli attori, scelti in sintonia con un preciso "clima" culturale, provenendo dalla scena dell'avanguardia teatrale (Eszter Balint) o jazz-rock (John Laurie e Richard Edson, e si sente nell'intelligenza del commento musicale e in certe gustose scene in auto in cui si ascoltano e commentano cassette musicali). Forse, più di tutti, Wenders che gli ha anche passato pellicola. Si diceva, appunto, del rapporto con l'Europa. La nouvelle vague è un suo mito.espressivo. Il film è stato co-prodotto dalla ZDF, la televisione tedesca, e in effetti sembra un film tedesco nel suo grado zero di referto neutro, nei suoi vagabondaggi alla Wenders e alla. Handke. Ma con una differenza sostanziale, che lo rende così americano. I suoi viaggi non hanno nessun senso di "ricerca", né altro residuo romantico. Jarmush sembra invece riprendere la vecchia idea di Andy Warhol per cui l'America è un paese da percorrere nella sua estensione, in superficie, non da penetrare in profondità. Inutile cercare un senso ulteriore, non c'è. Si può discutere di queste scelte "minimali" (ma non troppo, come s'è visto), ma non se ne può negare il rigore e l'autenticità culturale, e la già precisa personalità di cineasta di Jarmush. FUMETTO FATTIEVIZI, TRAPARIGIEBRASILE FrancoSerra Il primo aggettivo che balza in mente per connotare il lavoro a fumetti di Gérard Lauzier è "spietato" e il secondo "qualunquista". Entrambi sgradevoli ed egualmente veri, ma falsi al tempo stesso, entrambi probabilmente troppo generici come generico è l'appellativo di "Brétecher di destra" appioppatogli da un settimanale francese: la realtà, come sempre, è più complessa di quanto sembri a prima vista. Quella dell'autore francese è inoltre una narrazione tutta costruita sulle cose, sulla concatenazione di azioni e di tipi psicologici definiti attraverso ciò che fanno, su fatti e situazioni ben palpabili e concreti. Una narrazione basata sui meccanismi dell'evoluzione, quindi di sostantivi più che di aggettivi, suscitata nel lettore da cose che semplicemente accadono, né belle né brutte, con una grande e persino a volte irritante pretesa di obiettività. Ma è proprio così? È probabilmente da questo tipo di domanda che nascono gli aggettivi di cui sopra. L'occasione per parlare di Lauzier nasce dalla presenza in libreria di due volumi editi da Bonelli-Dargaud, Cronache dell'Isola Grande e La testa nel sacco entrambi una sessantina di pagine a colori, entrambi 12.000 lire. Ma prima di entrare nel merito, vale la pena di accennare brevemente alla biografia dell'autore. Lauzier nasce a Marsiglia nel '32, studia a Marsiglia e Tananarive, Madagascar, poi a Parigi: Sorbonne e Beaux Arts, Successivamente si trasferisce in Brasile dove lavora come pubblicitario tra Rio e Bahia. Richiamato, combatte nella guerra d' Algeria e poi girovaga nuovamente in Brasile tra il Sertao e L'Ilha Grande-de Camamu dove fa il pescatore. Tornato in patria verso la fine degli anni '60, si stabilisce a Parigi dove inizia la sua fortunata attività di fumettista. I due libri sono rappresentativi dei due filoni ambientali tipici dell'opera di Lauzier, l'uno quello esotico sudamericano, l'altro quello assai più crudo dei giri parigini della pubblicifà. Cronache dell'Isola Grande è una2ccolta di brevi racconti, quasi dei flash che ruotano intorno alla figura evidentemente autobiografica di seu Geraldo, il "gringo" bianco europeo dedito a piccole attività commerciali, che pare perfettamente acclimatato tra le beghe, le ripicche, gli amori e le feroci gelosie di una popolazione indigena riottosa e chiacchierona. In realtà esiste sempre una linea di demarcazione abbastanza netta tra seu Geraldo, i suoi amici che di tanto in tanto lo vengono a trovare e la popolazione indigena, e a Lauzier bisogna riconoscere l'onestà intellettuale di aver sempre espresso, sia pure in maniera implicita, il fatto che il suo rimane comunque il punto di vista di un europeo medio-borghese. Più che una rappresentazione di una realtà sudamericana, c'è la satira del rapporto tra un bianco europeo di media cultura e mediamente frustrato e un mondo, quello così naturale degli abitanti dell'isola, che mantiene comunque delle valenze mitiche, soprattutto a livello sessuale. Seu Geraldo in fondo tenta di mettersi sullo stesso piano degli abitanti di Ilha Grande, ma vi riesce solo quando si porta a letto qualcuna delle bellezze locali o quando esercita il potere derivante dal suo commercio minimale. È, quello di Lauzier, il punto di vista di un bianco sradicato che cerca un'integrazione a priori impossibile. Dalla descrizione impietosa degli sforzi per realizzare questa impossibile possibilità derivano le occasioni comico satiriche. In fondo, il fascino del lavoro di Lauzier deriva anche dal fatto di fare un fumetto classico, con la superficialità e l'improntitudine tipica di questo mezzo di massa che, unico al mondo, può permettersi d'irridere non solo le situazioni tipiche che inventa, ma anche i prodotti della cultura colta che ci stanno intorno. E infatti Lauzier reinventa una narrazione di taglio paradossalmente realistico all'interno di situazioni tratteggiate per punti estremi, tirate come corde di un violino sempre sul punto di spezzarsi. È in questo senso che l'approccio di Lauzier appare "spietato", perché i personaggi sono sempre rappresentati in occasioni che mettono in luce aspetti estremizzati del loro comportamento: la bassezza, la volgarità, l'idiozia e la disarmante naturalità; ciò nonostante, è proprio l'attenzione con cui vengono tratteggiati i tic, i tabù, le manie, le fantasie di questi personaggi a svelare l'amore che l'autore sicuramente nutre nei confronti dei loro corrispettivi reali. Il passaggio dalle cronache dell'Ilha Grande de Camamu alla Parigi di La testa nel sacco, il mondo cinico delle grandi agenzie di pubblicità, è abbastanza violento, e seppure Lauzier si porti al seguito la sua tipica capacità di mettere a nudo le debolezze e le storture dell'umana natura, è abbastanza evidente che si passa da un ambiente profondamente amato a un altro sicuramente odiato. E in La testa nel sacco Lauzier sbaglia spesso bersaglio: i personaggi diventano macchiette e perdono di credibilità; assai migliore rimane, rispetto all'entourage dei grandi fallimenti umani del tout-Paris, La corsa del topo, edito qualche anno fa da Milano Libri. Lauzier suggerisce una serie di analisi della middle class parigina che sono inevitabilmente frettolose e poco calibrate. Nel momento in cui il racconto satirico affronta i prodotti di una società complessa, richiede una maggiore attenzione e un maggiorè approfondimento: la -scelta del taglio narrativ0 da telefilm, serrato, tutto cose.e azioni, la sceneggiatura tutta a primi piani e piani americani, non consentono di riferirsi, sia pure con valenze di satira, alle sfumature che sono in qualche modo il sale delle azioni narrate. E così la narrazione rimane monca, la satira diventa barzelletta e si ride per situazioni paradossali quasi da torte in faccia. La realtà, come spesso succede, è assai più complessa.

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