Linea d'ombra - anno II - n. 9 - aprile 1985

92 SCHEDE/SAGGI co-letteraria moderna un'idea fondamentale, il cui è assunto è pienamente accolto nella tesi di Marcuse, sino a diventarne il vero e proprio cardine ideologico. Ciò che caratterizza questa tradizione, infatti, è la particolare enfasi con cui, a partire dalla riflessione sul ruolo dell'estetica, viene accentuato il momento della rottura come momento prioritario e costitutivo dello spirito moderno, lo sgretolamento della Totalità come esperienza fondati va dell'epoca attuale. Tipica di questa tradizione è insomma una rappresentazione della storia del mondo che presuppone che qualcosa di catastrofico abbia smembrato una volta per tutte l'unità originaria dell'universo, spezzando ciò che l'umanità percepiva come immediata e irriflessa coincidenza di io e mondo. In ambito più specificamente estetico questa idea presupponeva che, con l'esaurirsi dell'universo stabile e integrato in ogni sua parte, anche il ruolo e la funzione dell'arte e dell'artista avessero subito un radicale mutamento. Se nel mondo organico e coeso l'arte rappresentava il canto di un'umanità indivisa e ignara di conflitti, il linguaggio incantato attraverso cui si esprimeva l'armonia dell'universo, e se l'artista, a sua volta, era considerato il portavoce dell'umanità, il cantore che, prescelto dal destino, esprimeva e dava forma a qualcosa che sia pur inconsapevolmente l'umanità già sapeva, con la fine della Totalità tutto questo cambia. L'armonia si spezza, il mondo si fa discorde e dissonante, la gioia si trasforma in dolore e l'arte cessa di essere un canto per trasformarsi in lamento e diventare l'espressione più pura di ciò che è separato e disintegrato. E anche l'artista si trasforma: è ancora un portavoce dell'umanità, ma da cantore si muta in martire, in una figura eroica e tragica che prende su di sé il fardello del dolore e della perdita. Se l'umanità si è separata, l'artista allora diventa l'espressione più completa della separazione e della solitudine. Su questo sfondo nasce il "romanzo dell'artista" studiato da Marcuse. Il quale, però, ha il merito di non sottrarsi a un elementare criterio di verifica storica e dunque di situare cronologicamente il punto di frattura in un momento preciso della storia culturale dell'Occidente. Il "romanzo dell'artista" nasce infatti nella seconda metà del Settecento con lo S!urm und drang e con la pubblicazione del Wer1her. Cioè la fine della Totalità coincide con la secolarizzazione e con la crisi mortale della dimensione religiosa concepita come insieme coerente e capace di "tenere insieme" entro un cosmo simbolicamente ed emotivamente pieno la sfera soggettiva e quella sovraindividuale dell'esistenza. Ed è nella crisi di questa unità (che Marcuse molto acutamente faceva coincidere con la crisi del pietismo, vale a dire del tipo di sensibilità religiosa più vicina all'idea moderna dell'interiorità) che nasce il romanzo dell'artista. Che riflette, dunque, il collasso simbolico del mondo moderno, percepito come qualcosa di intrinsecamente vuoto e inespressivo. Il "romanzo dell'artista", ricostruito da Marcuse nelle sue diramazioni in ambito romantico e nella sua espressione più compiuta nell'opera di Thomas Mann, crea quella figura che nei confronti di questo mondo si pone in un rapporto di antitesi radicale, come figura della ricchezza interiore contrapposta al grigiore sociale, della pienezza vitale contro l'inerzia della sfera pubblica. Ed è per questa funzione personificatrice e simbolica che nasce il mito dell'artista come figura capace di dire una verità essenziale del mondo moderno. Ciò che riflette il destino dell'artista è infatti l'idea tipicamente moderna che la personalità sia definibile esclusivamente nella sua unicità e irripetibilità e il cui contenuto più apprezzabile stia nel momento dell'originalità. L'idea, insomma, che la personalità sia tanto più ricca quanto più si discosta dalle norme sociali, tanto più autentica quanto più riesce a preservarsi dalla forza contamìnante della società. Il tema dell'artista che entra in conflitto con un mondo che non ha più nessuna presa simbolica è dunque l'espressione della crisi della norma sociale laddove indica, come condizione per salvarsi da una mediocrità insignificante, la necessità del separarsi dalla comunità e dell"'individuarsi" nell'opposizione e nel rifiuto. Il motivo dell'artista in guerra contro il mondo incolore ha dunque delle implicazioni storico-sociologiche che Marcuse non si è lasciato sfuggire. A maggior ragione, però, non si riesce a capire quale nesso, quale necessità leghi l'idea che l'estetica esprima e condensi la drammaticità della separazione che il moderno porta con sé con l'ottimismo palingenetico con cui più tardi Marcuse investirà il ruolo dell'estetica. Si è visto infatti come la separazione dell'artista alluda alla scissione del mondo moderno. Alluda, cioè, a qualcosa che va nella direzione opposta a quella che dovrebbe condurre alla società omogenea, "unidimensionale" descritta da Marcuse negli anni Sessanta. La modernità che rompe l'armonia del mondo è cioè qualcosa di eminentemente distruttivo, qualcosa che, irrompendo, genera scompiglio e disordine e che quando si stabilizza dà invece vita non a un mondo oppressivo, quanto piuttosto a un universo anomico, atomistico, intrinsecamente disorganico. Così come il "romanzo dell'artista" prende a bersaglio non la costrittività del codice sociale, ma la sua opacità, la sua cronica assenza di emozioni e sentimenti pieni: che è tutt'altra cosa dal mondo integralmente "amministrato" di stampo francofortese, la cui principale caratteristica è quella di invadere con la sua eccessiva presenza i campi dell'interiorità. Non c'è quindi nessu,1a relazione logica e culturale tra la separazione studiata da Marcuse nel I 922 e l'omogenei1à deprecata da Marcuse nei dintorni del 1968. E, di conseguenza, non c'è nessuna coerenza tra l'analisi del progressivo "autonomizzarsi" della sfera estetica nel mondo moderno e disgregato e la progettazione, o il vagheggiamento, di una società in cui il codice dominante sia rappresentato dall'estetica. E allora? Allora l'unica cosa possibile è leggere lo studio sul "romanzo dell'artista" facendo finta di ignorare che il suo autore diventerà il paladino di una forma di melenso integralismo estetico. Fare, insomma, come si fa con Lukacs quando si legge quel libro bellissimo che è L'anima e le forme: dimenticare che è stato proprio lui a scrivere la Dis1ruzione de/la ragione. NELLEVENEDI NEWYORK Bruno Cartosio Il vecchio, alto edificio del "Jewish Daily Forward" è ancora dov'era. Bisogna alzare gli occhi oltre le cime degli alberi per leggere le maiuscole incise sotto il cornicione di là della strada: FORWARD, avanti! E così quella è la sede del glorioso quotidiano ebraico che il socialista Abraham Cahan pubblicava a New York e che vendeva 130.000 copie al ·giorno alla fine della prima guerra mondiale. Dal cuore del Lower East Side, diventato tra il 1880 e il 1920 la maggiore concentrazione di immigrati ebrei dall'Europa orientale, il "Forward" andava a finire nelle case, nelle fabbriche, nei caffè, nei circoli ebraici di tutta la città. Era il più diffuso quotidiano "etnico" degli Stati Uniti. Adesso gli ebrei se ne sono in gran parte andati dal Lower East Side, come gli italiani da Little Italy. E infatti è proprio questo ~he dicono i due grandi cartelloni bianchi a lettere rosse, in cinese, attaccati di fianco alla scritta incisa là in alto e le altre scritte al livello della strada e i negozi nella zona. Chinatown si è espansa oltre gli antichi confini, occupando quello che i vicini ebrei (e italiani) hanno lasciato libero. Più dentro il vecchio quartiere sono invece gli Hispanics, portoricani so-

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