Linea d'ombra - anno II - n. 9 - aprile 1985

tramenti industriali inquinanti, della produzione consumistica di automobili e di acciaierie"? Si può rispondere'con il consueto richiamo alla politica dei due tempi, perchè, si dice, ci vuole prima un potere politico reale per cambiare in profondità i processi. Ma c'è tempo per i "due tempi"? La catena delle possibili domande e risposte si allunga di molto. Nel libro di Tiezzi, va detto, non vi sono suggerimenti precisi a questo che è "il" problema teorico-pratico più complesso. Una strada possibile, però, viene indicata -meglio, una direzione nella quale trovare materiale per nuove ipotesi. Si può infatti ragionare, oggi, molto più accuratamente di quanto fosse possibile fino a pochi anni fa, sulle possibilità occupazionali e produttive delle energie alternative in particolare e degli interventi ecologici in generale. Un capitolo intero e molte osservazioni sparse in tutto il libro sono dedicati a queste opportunità. Siamo ovviamente lontani, come si è detto, dalle dimensioni teoriche necessarie a una nuova strategia di trasformazione economica. Il guaio è - perché altrimenti si starebbe tutti più tranquilli - che non si può parlare di limiti dell'autore quanto della cultura di un intero momento storico. MARCUSE'22 Pierluigi Battista Nel 1922 - l'anno in cui scrisse la sua tesi di laurea sul "romanzo dell'artista" (Il "romanzo de/l'artista" nella /ettera1ura 1edesca, Einaudi, pp. 450, lire 30.000)- Marcuse non era ancora ciò che sarebbe diventato solo molti anni più tardi: l'unico teorico "ottimista" della scuola di Francoforte. Laddove l'ottimismo, naturalmente, va inteso non nell'accezione psicologico-esistenziale ma in quella filosofico-culturale del termine. Il giovane Marcuse del 1922 non possedeva ancora quella particolare propensione ideologica che gli altri francofortesi non avranno mai, e che consiste nella speciale inclinazione a intravvedere nel buio più pesto uno spiraglio di luce trasfigurante e nella più cupa disperazione un principio di speranza e di consolazione. Il Marcuse del 1922, insomma, era un giovane studioso che rifletteva, nel solco della più pura tradizione tedesca, sul grande vuoto provocato dall'irruzione del moderno. Non aveva ancora trovato il modo di riempirlo, quel vuoto, e di riacquisire, pur nella compiuta "degradazione" •.dell'ilniverso borghese, il senso di un'esistenza autentica e non alienat~ Quando Malcuse troverà questo,.principio, allora il suo destino comincerà a differenziarsi da quello di un Adorno o di un Benjamin, e Marcuse sarà considerato il teorico del radicalismo giovanile, di cui diventerà il "santone" e a cui impresterà formule culturali, modelli di ragionamento, espressioni sintetiche e condensate - come quella, famosissima, dell'uomo a una dimensione - che per la loro efficacia funzioneranno egregiamente come slogans facilmente memorizzabili. E tuttavia, pur non essendo ancora "ottimista", il Marcuse del 1922 aveva già eletto come oggetto principale della sua riflessione storico-filosofica il mondo dell'estetica. Il che costituisce un particolare importante , giacché è proprio nell'es1e1ico che il Marcuse "ottimista", alcuni decenni più tardi, situerà il luogo del riscatto e della salvezza. A differenza di Adorno e Horkheimer - che rimarranno sempre fedeli a quella visione eminentemente pessimistica del mondo moderno in base alla quale era d'obbligo scorgere nel gesto apparentemente pi,µ innocuo, nel dettaglio più inavvertito il sintomo di un mondo "malato", capillarmente controllato da un potere tanto più occhiuto e invadente quanto più nascosto e mimetizzato - Marcuse, che pur condivideva il giudizio sulla capacità onnipervasiva e insinuante del mondo malato, era invece fermamente convinto che attraverso l'estetica le cose si sarebbero nuovamente raddrizzate. Ed è in questa peculiare distorsione ideologico-metafisica dell'estetica che consiste l'ottimismo di Marcuse. In un duplice senso, In un senso "letterale", perché, secondo Marcuse, l'uomo sot-, tomesso al principio di prestazione e mortificazione dall'universo della "quantità" e del calcolo razionale soltanto nell'attività propriamente artistico-estetica avrebbe potuto riattingere una dimensione di pienezza espressiva e di autorealizzazione. In un senso più "lato", giacché i caratteri della società che, secondo il Marcuse di Eros e civil!à, avrebbe dovuto prendere il posto della società etico-repressiva (quantunque tollerante) erano i caratteri di una società interamente intrisa di sensibilità estetica, dominata a tal punto dal principio dell 'irresponsabilità ludica da cancellare ogni parvenza di principio etico, interiorizzato e vissuto come obbligante e necessario. L'ottimismo di Marcuse è dunque l'idea del primato dell'estetica, il quale però, lungi dal risolversi in puro estetismo, diventa con Marcuse un potentissimo ordigno ideologico nelle mani di un radicalismo giovanile che chiedeva fondamentalmente prnprio le due cose che il marcusianesimo poteva offrire. Da una parte la totale delegittimazione e negazione del codice culturale esistente, la SCHEDE/SAGGI critica dell'etica borghese. In secondo luogo la legittimazione teorica del principio di autorealizzazione individuale al di fuori e al di là di ogni vincolo sociale. Ciò che, tra l'altro, ha fatto sempre considerare con diffidenza il radicalismo giovanile e il marcusianesimo da parte del movimento operaio, sos petroso e timoroso di ogni degenerazione "individualistica" del suo programma di emancipazione. Torniamo al 1922. Appare chiaro quanto possa risultare di un certo interesse seguire questa prima incursione marcusiana nei territori dell'estetica. Risulta di un certo interesse perché dimostra quanto Marcuse fosse intensamente attratto sin dagli inizi della sua impresa intellettuale dai temi che attengono alla sfera dell'estetica. Risulta soprattutto interessante perché permette di cogliere nella sua forma, per dir così, aurorale l'impianto concettuale del pensiero di Marcuse, le sue ascendenze genealogiche più !on tane e i suoi debiti teorici più prossimi. E infatti, non risulta affatto secondario notare come l'impalcatura teorica che sorregge tutta la ricostruzione marcusiana del "romanzo dell'artista" poggi su tre pilastri esse'nziali: l'Es/elica di Hegel, le opere del giovane Lukàcs e soprattutto, onnipresente benché raramente citato, lo Schiller delle Lettere sul/' educazione es/elica. Come è facile capire, non c'è nulla di incoerente o di casuale nei riferimenti del giovane Marcuse. Schiller, Hegel e il giovane Lukàcs delineano una tradizione priva di discontinuità. Una tradizione che ha elaborato e propagato nella cultura filosofi-_ Herbert Marcuse (foto di C/aude Wherlé-Camma, Agenzia Grazia Neri). 91

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