76 DISCUSSIONÈ/SPLENDORE tore della produzione letteraria, quello del cosiddetto romanzo letterario o d'arte, che appariva inesorabilmente schiacciato dall'editore commerciale. Ma se il romanzo fondato sulle vecchie convenzioni, il romanzo che imitava la realtà, stava davvero morendo o era già morto, il genere romanzesco era più vivo che mai, e non solo nelle pallide imitazioni del romanzo commerciale che la massa del pubblico leggeva avidamente. Si stava affermando infatti un romanzo diverso, gradito agli intellettuali e non, un romanzo che rendeva antiquato il dibattito tra impegno e evasione, e che sembrava aver risolto la frattura tra generi 'colti' e generi 'popolari', un romanzo che mentre esaltava il gioco e l'invenzione favolistica, non scordava di essere fatto di parole, di essere 'letteratura'. L'elemento comune, che consentiva di parlare di 'tendenza' era il forte impulso verso la narratività che ne era alla base, un andamento quasi favolistico della narrazione che mescolava comico ed epico, realtà e irrealtà. Gli autori erano tutti bestsellers di qualità: Lawrence Durrell, Kurt Vonnegut, Vladimir Nabokov, Iris Murdoch, John Barth, Terry Southern, John Fowles. Questo raggruppamento veniva proposto da un autorevole critico americano, Robert Scholes (noto in Italia soprattutto per il volume, scritto con Robert Kellogg, La natura della narrativa, Il Mulino, 1970), il quale non solo non condivideva la visione necrologica della letteratura, ma ravvisava nell'opera di questi autori, da lui definiti in un saggio del 1968i 'favolisti', una tendenza vitale e innovativa. In un volume successivo, Fabulation and Metajiction (1979) egli riprende l'analisi di quegli stessi autori e con maggiore ampiezza di riferimenti ribadisce sostanzialmente la stessa tesi. Secondo Scholes la risposta più valida sul piano artistico al tramonto del realismo era stato il ritorno a forme più antiche di narrazione, quali ad esempio l'allegoria e il romance, che si rilevava in molti romanzi di successo degli anni sessanta · e settanta. Il fenomeno non consisteva soltanto nel recupero dei modi tradizionali, ma implicava un'abile opera di commistione di questi con modi popolari e di consumo: il picaresco, il fantastico o il mitico comparivano accanto all'horror, la fantascienza o la pornografia. I romanzi così concepiti riuscivano a soddisfare esigenze diverse, offrivano intrecci, personaggi, humor, suspence e allo stesso tempo rappresentavano una riflessione sui modi e sulle tecniche narrative. Nel discorso di Scholes i due termini 'favolismo' e metaracconto finiscono così col sovrapporsi. Si pensi ad esempio al Quartetto di Alessandria di Lawrence Durrell (recentemente riproposto da Einaudi): ciò che ha affascinato due generazioni di lettori è il gusto di raccontare storie che muove tutta la narrazione, carico di suggestioni esotiche ed erotiche. Ma c'è dell'altro. Riprendendo l'antichissima tradizione del romance, il racconto magico e d'avventura, Durrell scrive un testo che si oppone deliberatamente alla scrittura realistica; abolito il narratore onnisciente le sue storie si dipanano raccontate dai personaggi stessi e da prospettive sempre mutevoli, in un gioco aggrovigliato di simmetrie e rispecchiamenti, per rivelarsi via via intricati tessuti di falsità. In tal modo l'opera, mentre mina alla base le convenzioni realistiche, esplora i meccanismi più antichi della narrazione. 11 ,, Non a caso è solo all'ultimo rigo dell'ultimo volume che si legge "C'era una volta ... ": "Sì, un giorno mi sorpresi a scrivere con mano tremante le quattro parole (quattro lettere! quattro volti!) sulle quali ogni narratore all'inizio del mondo ha puntato il suo debole diritto all'attenzione dei suoi simili. Parole che presagiscono semplicemente la vecchia storia di un artista divenuto maggiorenne. Scrissi: 'C'era una volta ... ' E mi parve che l'universo intero mi avesse dato una lieve spinta". È in questo senso dunque che Durrell svolge un discorso metanarrativo e che cede alla tentazione narcisista, ma lo fa non tanto rispetto a sé, quanto rispetto al 'testo' che gioca con il suo essere 'letteratura', in modo non dissimile dal Buon soldato, ad esempio, o da Lolita. Un'accezione ben diversa da quella utilizzata da Lasch. nncora più recentemente, e con maggiore incisività, il diWscorso sul narcisismo nella letteratura contemporanea è stato ripreso in un volume di Linda Hutcheon, pubblicato nel 1984(ma uscito in una prima edizione in Canada nel 1980), intitolato Narcissistic Narrative. The Metajictional Paradox (London, Methuen). Sarebbe forse il caso di riflettere sull'atteggiamento di tipo consumista che è alla base dell'abuso di Narciso nella critica letteraria (e non solo) di questi anni, da cui in parte l'autrice si riscatta proponendo una lettura ironica del mito. In realtà L. Hutcheon sembra consapevole dell'usura del termine e soprattutto delle connotazioni essenzialmente negative che lo circondano. Per questo ella si richiama brevemente a Freud che con i suoi scritti sul narcisismo aveva tentato di ripristinare un significato del termine privo di connotazioni morali, essendo il narcisismo - l'amore di sé - necessario in ciascun individuo alla costruzione della propria identità. Anche Jervis, in un suo intervento su "Quaderni Piacentini" (3, 1981), aveva fatto notare il modo improprio in cui, in alcuni scritti americani degli anni settanta, una serie di atteggiamenti individuali e sociali caratteristici di quegli anni, venivano riportati in maniera generica al 'narcisismo' che finiva così con l'assumere i connotati di una categoria di ordine morale. Il mito di Narciso è stato ripreso negli,ultimi anni soprattutto in questa chiave; in letteratura tale ripresa si è accompagnata al dibattito sulla morte del romanzo e alla diffusione di forme di scrittura metanarrativa. Anche Pavese aveva detto in un noto passo del diario che quando l'autore non ha più nulla da dire, si mette a parlare della forma. L'interesse ossessivo del romanzo per sè è stato sempre r:itenuto un segno di morte, o almeno di decadenza. Recentemente Enzensberger sull' "Illustrazione italiana" passando in rassegna una serie di romanzi" appena usciti in Germania osserva che essi "Non hanno materia, non hanno tema, non hanno personaggi, hanno solo un loro bisogno di esprimersi monologico, il maniacale impulso privato di realizzare se stessi. Rendono nota la loro. nullità con una sorta di orgoglio. Unico loro materiale è il narcisismo ... " Leggendo il saggio di Linda Hutcheon ci si rende conto di quanto riduttivo sia questo uso corrente del termine. Se è vero
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