Linea d'ombra - anno II - n. 9 - aprile 1985

I temi di fondo, su cui oggi si strutturano le nuove acquisizioni, erano già stati chiaramente percepiti da Darwin e da Freud. Il darwinismo moderno ci dice che l'uomo è assai meno lontano dall'animale di quanto ami abitualmente credere, e porta in sé strutture comportamentali e schemi mentali che sono lo sviluppo di premesse appartenenti alla sua ascendenza biologica. Così, si conferma oggi che la distanza che separa la mente umana da quella dello scimpanzè è probabilmente molto minore della distanza che separa la mente dello scimpanzè da quella - poniamo - di un primate inferiore o di un carnivoro. Del resto, l'uomo adulto è assai meno lontano dal bambino di quanto ami credere, e porta in sé senza saperlo strutture comportamentali, schemi mentali e risposte emozionali che sono lo sviluppo di premesse appartenenti alla sua prima infanzia. Così, sappiamo oggi che - ancor più radicalmente di quanto pensasse Freud - sia gli aspetti relativamente fissi, sia gli aspetti individualmente variabili delle vicissitudini tipiche dei primissimi mesi e anni di vita del bambino sono destinati a condizionare tutta la vita affettiva dell'adulto e le sue scelte. Anche lo studio comparato delle varie culture e dei rapporti sociali r~ a gli animali ci conferma che le strutture di base del comportamento e dell'esperienza, cioè i mattoni con i quali la specie umana costruisce l'edificio delle vite individuali e dei rapporti collettivi, non sono né privi di caratteristiche, né in numero illimitato o di qualità infinitamente variabili. Tutto questo non implica dunque una drastica riduzione al biologico degli aspetti più complessi e articolati del comportamento individuale e sociale. Niente ci obbliga a perdere di vista il valore della storicità di cui l'essere umano è capace, cioè la coscienza di quella memoria collettiva in cui ciascuno di noi coglie il rispetto dell'altro come persona, e in se stesso il senso del proprio essere-nel-mondo. Parallelamente, nulla ci induce di necessità a perdere di vista l'ipotesi secondo cui le differenze nei modi di vita che distinguono una cultura da un'altra non sono affatto il risultato dei diversi patrimoni biologici caratterizzanti i pools genetici di ogni gruppo (come vorrebbero i razzisti): bensì sono qualcosa che rileva soprattutto della storia stessa di ogni specifica cultura, cioè del modo in cui essa ha prodotto e riprodotto i propri equilibri in quel dato ambiente attraverso le generazioni. D n realtà ciò che va scomparendo è proprio la vecchia contrapposizione fra biologia e ambiente, fra natura e cultura. Il concetto di istinto, ad esempio, criticato oggi sia dagli etologi che dagli psicologi, è divenuto superfluo o sviante, e tende rapidamente a non essere più usato: oggi non si ritiene più che gli animali e l'uomo siano guidati da oscure e impalpabili energie pulsionali, e neppure che sia serflpre possibile identificare comportamenti animali rigidamente pre-programmati come tali nel patrimonio genetico. Piuttosto, si va chiarendo che per lo più i singoli comportamenti -soprattutto nelle specie più complesse - sono il risultato di una intricata e variabile interrelazione fra individuo e ambiente, fra pre-programmaziane interna e eventi-chiave DISCUSSIONE/ JERVIS esterni, fra predisposizioni innate e apprendimento. Così, anche l'idea di una intelligenza razionale, separabile dalla cieca istintualità, è venuta meno, e il concetto stesso di intelligenza si è fatto criticabile e obsoleto; anche ciò che appariva tradiziom~lmente come razionalità è oggi visto come una serie di procedure di analisi e di decisione che non sono affatto esclusive dell'uomo, e che non sono neppure necessariamente legate alla coscienza. Le capacità psicologiche più complesse come il linguaggio, l'astrazione, la progettazione a medio e lungo termine, vengono considerate come espressione di una serie di funzioni modulari, ill parte separate e in parte integrate fra loro, e non più come manifestazioni di un'unica coscienza o intelligenza "superiore". L'autocoscienza stessa non è più considerata come una facoltà umana data a priori, ma come il risultato di una complessa operazione cognitiva, di cui oltretutto la nostra specie non è verosimilmente affatto l'unica a essere proprietaria. Analogamente, la trasmissione intergenerazionale di comportamenti appresi, la fabbricazione e l'uso di utensili, la presenza di gruppi strutturati secondo norme e sanzioni, fenomeni che non sono strettamente esclusivi dell'uomo e della sua società, ci appaiono oggi come attività in cui non è possibile distinguere ciò che è biologico da ciò che è culturale, ciò che è istintuale da ciò che è razionale. Così, anche l'idea tradizionale di atavismo è andata dissolvendosi. Secondo un modello tradizionale di cui dovrebbe essere evidente la matrice ideologica e moralistica, si riteneva che la mente umana, e anche il cervello umano, fossero strutturati secondo strati gerarchici: gli strati sottostanti, atavici o primitivi, determinavano le passioni; quelli soprastanti, indipendenti o poco dipendenti dall'eredità biologica, erano preposti alla valutazione razionale e alla coscienza morale, e se ben regolati sottomettevano e governavano le spinte "dal basso" portatrici di retaggi animaleschi. Oggi, anche questo modello sta rapidamente tramontando (con buona pace di Luciano Gallino, il quale difende le vecchie teorie di Mac Lean sui "tre cervelli"). Il complesso repertorio delle abilità comportamentali, e il mondo della soggettività (cioè quello che taluni continuano a entificare come "la mente") non appaiono più riportabili a una questione di livelli; le funzioni del cervello di ogni specie, e anche della nostra, vengono viste come interrelate, cioè assai più simili a una rete che secondo l'immagine di una disposizione scalare. Le affinità del cervello umano, e delle sue funzioni, con i cervelli di altre specie vengono oggi considerate senza separare artificiosamente le passioni ("inferiori") della intelligenza ("superiore"); bensì esaminando gli aspetti biologici e la logica evolutiva presenti così nelle manifestazioni più. "nobili" dell'uomo, come il linguaggio, come in quelle tradizionalmente considerate più rozze. (Più in dettaglio su tutti questi temi, e per una bibliografia essenziale, rinvio a Presenza e Identità, Garzanti.) Considerazioni analoghe potrebbero riguardare altri temi più specifici, come quello dell'aggressività e della cooperazione. Anche qui, è andato in pezzi il vecchio modello secondo cui la parte istintiva dell'uomo è portata solo all'aggressione, alla competitività e all'egoismo più cieco, mentre la coopera73

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