58 STORIE/PIERSANTI "Era qui da una settimana, un'intera settimana tra le montagne ... E lei come fa", aggiunse prendendo un tono scherzoso, "a essere un vecchio amico di Angelo? Quanti anni ha?" Me lo chiese guardandomi con una franchezza che accentuò la mia impressione positiva. Anche il suo italiano sterilizzato non era spiacevole. "Ho quarant'anni", risposi. "E ci conosciamo da ... quindici, più o meno". "Alla vostra età non si hanno ancora vecchi amici. Qualche amico vecchio, forse, ma è un altro discorso. Ci vediamo tra mezz'ora, scusateci. A tra poco". L'uomo aveva raccolto il segnale della moglie e con lei attraversò il salone. Salì la scala per primo, come salisse i gradini di un albergo, o andasse al lavoro: voglio dire che non si guardava attorno, non si compiaceva delle sue proprietà. Chissà come avrebbe reagito alla notizia, pensai. Ma censurai questo genere di fantasia e sorrisi ad Alessandra, seduta accanto ad Angelo, mano nella mano. Parlavano di Monica. "Avete litigato di nuovo?" gli chiese lei divertita. "Esatto". Lei sorrise e si rivolse a me: "Impossibile non litigare con lei, io ci litigo da quando sono nata. Comunque adesso c'è lui" (guardò un secondo gli occhi di Angelo) "e tutte le stranezze di Monica toccano a lui. Tu non la conosci, mia sorella?" ~'No", ammisi a malincuore. Mi spiaceva non avere neppure questo argomento di discussione, in comune con lei. "L'ho vista in foto, mi è sembrata molto bella". "È bella, sì, ma se la conosci non ci pensi, è un maschio, mia sorella. Ci diamo del tu, vero?" Alessandra mi piaceva, mi piaceva il suo viso dalle gote un po' alte, mi piacevano le sue gambe e le sue mani lunghe. Quando mi guardava, negli occhi le si specchiavano le luci lontane della stanza. Continuava a stringere la mano di Angelo, e ogni tanto giocava con le sue dita. Il che, mi vergogno a confessarlo, mi riempiva di gelosia. Poi sollevò il bicchiere di Angelo, e le bastò avvicinarci il naso per rabbrividire. "Cos'è?" "Whisky, eccola là la bottiglia", le rispose Angelo. "Noi uomini ricorriamo ai liquori quando le nostre mogli se ne vanno". "Ma lei non è mica fuggita con un altro". "Questo non possiamo saperlo". "Ah, geloso, sei geloso!" E guardò me sorridendo, cioè guardò l'unico uomo davvero geloso presente nella stanza. Io mostrai le palme delle mie mani e esclamai: "M'intendo poco, di gelosia. Quando le coppie entrano in tribunale non ci sono più gelosi". "Sei avvocato?" "Sì. Faccio anche l'avvocato dei divorzi". Angelo mi sorrise. Forse d'istinto aveva colto un cambiamento appena avvenuto dentro di me: cominciavo a trovare comprensibile la sua decisione. D giorni che seguirono furono del tutto normali. Raggiunto presto un buon adattamento mi permisi anche qualche momento di noia. Quando mi sento a mio agio un po' mi annoio. Ottime passeggiate, splendidi pranzi, e qualche locale, con Angelo e Alessandra. Da soli, io e Angelo, non ci eravamo più incontrati. E certo non per caso. Gli ultimi a scendere per la prima colazione, gli ultimi a essere pronti per uscire ... Ci evitavamo, insomma. Per poi incontrarci con piacere, autentico piacere, insieme agli altri. I genitori di Alessandra passavano molto tempo con noi. L'anziano uomo d'affari continuava a stimolare la mia curiosità e la mia simpatia. Aveva il dono di saper guardare la gente. Molte storie di suoi dipendenti erano davvero divertenti, e ci facevamo delle gran belle risa te; a me piace ridere forte,~ anche al mio interlocutore svizzero piaceva ridere, in modo più soffocato, forse, ma con lo stesso scopo: distendersi un po', sciogliere nodi e crampi, migliorare l'appetito. (Alla governante si erano aggiunte altre due persone, e non avevamo niente da fare). Cercavo in ogni momento di coinvolgere Alessandra nell'allegria, e ci riuscivo, ma lei continuava a essere solo cortese, con me, non era mutata in nulla dalla prima sera. Da parte mia non potevo far altro che mostrarmi disponibile, ma lei non voleva accorgersene: troppo giovane, pensai, senza per questo rassegnarmi. Pensavo a lei prima di addormentarmi e tutte le mattine mentre scendevo a colazione; però dormivo bene, e avevo sempre appetito. Non voglio esagerare i miei sentimenti di allora. Per quattro giorni, come dicevo, non avvenne nulla di insolito, a parte una corsa folle di Angelo lungo un canalone, come fanno i ragazzi per spavalderia. In un attimo scese a valle, come un capriolo, e la cosa non stupì me soltanto. Il padre di Alessandra (e Monica, certo) fornì dell'impresa una sua interpretazione, legata al nuovo ruolo di Angelo nel lavoro: alla nostra età, cioè mia e di Angelo, si avverte come una fretta insensata che ci spinge verso l'eccesso di lavoro; il mondo si fermerebbe ai nostri occhi, appena cerchiamo di prendere respiro. E Angelo, come lui in gioventù, si fidava poco dei suoi collaboratori, doveva fare tutto lui. Per questo tornava in camera prima degli altri. "Starà lavorando", disse scuotendo il capo l'anziano signore, "l'ho visto teso sin dalla prima sera. Ne ha parlato con lei?" "Non mi ha detto niente", risposi, e continuai a leggere il giornale, come faccio tutte le sere. Quella sera (la sera stessa della corsa di Angelo lungo il canalone) rimasi solo con Alessandra. Lei si annoiava con un solitario imponente che occupava mezzo tavolo, e io la guardavo senza consigliarla, perchè non mi riusciva di capire la dinamica del gioco. Finito il solitario parlammo a lungo e a ruota libera, non ricordo neppure di cosa. Ricordo il mio crescente imbarazzo, il suo lento precipitare nel sonno. Mi disse: "È troppo giovane" almeno un centinaio di volte. Pensai addirittura di confessarle quel che sapevo della sorella per attirare la sua attenzione su di me. Se tacqui fu perché il mio scopo non l'avrei raggiunto, anzi, sarei scomparso per sempre dai suoi pensieri. La serata si. spense come un lumicino e salimmo anche noi in camera.
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