Avevo capito dove, ma niente di più, ero d.avvero smarrito in un bosco alpino, e la notte era appena cominciata. "Non ti ho chiesto neppure come stai", si scusò interpretando chissà come il mio silenzio. "Stai bene, vero?" "Bene? No, adesso direi di no". "Spero non sia colpa mia", Disse proprio così. Ero sbalordito. E cominciavo a sentirmi irritato, soprattutto per l'aria assente della sua faccia, per quella sua sostanziale solitudine. "Mi hai chiamato perché sei diventato matto?" Il tono di voce che uscì dalla mia bocca era più debole del voluto, ma abbastanza forte per scuoterlo. "Sono molto egoista", ammise. I suoi occhi si erano riempiti di lacrime. Io bestemmiavo e gridavo, ma soltanto nel pensiero, non potevo prendermela con!ui così com'era. Non riuscivo a credere quel che mi aveva detto, non mi sembrava possibile. Per me Angelo era ammattito, e nel modo peggiore, se esistono davvero tante maniere di impazzire. Continuava a versare lacrime, ma rivolto verso la macchia scura del bosco, e di nuovo del tutto assente. "E perché l'avresti sepolta sotto un albero?" "Non voglio si sappia, che è morta". "Però ne stai parlando con me". Fece di no con la testa: non avevo capito. "Per questo, ti ho chiesto di venire". Tornò a guardarmi e continuò: "Se le persone di famiglia ... e gli amici più intimi non sanno niente lei non sembra più morta, quando parlo con loro e dico che Monica non c'è, che è partita, va tutto bene. Lei non riusciva a star ferma tanto a lungo, mi raggiungeva quando ero in viaggio, mi accompagnava. Era molto bello". "Perché lo racconti proprio a me?" "Perché tu conosci soltanto me, in questo ambiente. Io non posso mai dimenticare che Monica non c'è più, e sento che qualcuno oltre me lo deve sapere". "Angelo, devo dirti la verità. Non capisco quello che dici". Conoscevo già la capacità del dolore di rendere il cervello piccolo piccolo, e guardando Angelo nuovamente silenzioso me la figuravo, quella porzione ridotta di cervello, come un sottile cilindro incandescente, perpendicolare tra i due occhi. Io non potevo percepire il peso di una morte per me mai avvenuta: in quella casa non riuscivo a immaginare altre vite che le nostre due. "E come sarebbe morta?" gli chiesi. "È caduta in parete, a mezz'ora di cammino da qui. Lei arrampicava bene, era una earete ridicola per una come lei. Saranno stati venti metri ... E caduta a due passi da me. Si è piegata. È morta così, senza sentire niente. Poi l'ho portata in braccio fin qui. Ha perso appena poche gocce di sangue". Stropicciò il pollice sulle altre dita, per quantificare quel poco. "Come avesse preso uno schiaffo in faccia. L'ho seppellita assieme alle sue valige, le ho preparate io, ci ho messo dentro i suoi abiti, il trucco, gli anelli ... tutto". Continuava a guardare fuori. Allungai le gambe e presi anch'io a guardare quel poco di visibile che offriva la finestra. In qualche punto brillava un STORIE/PIERSANTI residuo di neve. Silenzio, in casa e fuori. Dovevo lottare contro una risa~a nervosa che mi pizzicava la gola, con una strana compassione per me stesso. Però neppure per un istante pensai che avrei dovuto andar via. Non sapevo se avevo a che fare con un occultamento di cadavere o con la crisi di follia di un giovane imprenditore, un tempo mio amico. O con tutte e due le cose insieme, che non si escludevano. Pensai anche: "Questo adesso mi ammazza e io resto qui in mezzo ai morti, con una valigia di camicie nuove e una giacca pelosa che fa schifo". Ritorno sul particolare della giacca perché quei peluzzi, non avendo altro da guardare, erano diventati il simbolo di disgusto che cominciava ad annaspare nel mio stomaco. El anno telefonato dal paese, stanno arrivando, Preparo qualcosa di caldo". "Va bene. Grazie". La voce era quella della signora tedesca della quale ho già detto qualcosa. Un'anziana signora in tailleur grigio. Non vivrei nella stessa casa con una signora come quella, dallo sguardo pieno di disprezzo. Al "Grazie" di Angelo la donna aveva girato subito i tacchi, con una certa eleganza. E noi riprendemmo a guardar fuori, stavolta con uno scopo preciso. Ammetto che feci una domanda cretina. "Con loro ... non ne vuoi parlare davvero?" "Certo che no", mi rispose stupito. E io non dissi altro. In fondo, da un punto di vista penale la mia posizione era irrilevante, cosa per me non secondaria, visto che lavoro in un ufficio legale. Potrà sembrare meschina, questa mia considerazione, ma io vivo del mio lavoro, e non posso rischiare di perderlo. Aspettammo, in silenzio, l'arrivo dei padroni di casa. Le luci dell'automobile che si fermava non giunsero da sinistra, come mi aspettavo, ma da destra; vedevamo soltanto il fascio di luce sugli alberi, non l'automobile. Cessata la luce sentii l'ansia prendermi il respiro, e solo l'espressione tranquilla di Angelo riuscì un poco a calmarmi. Angelo stava tornando normale, come se l'effetto della sbronza sfumasse d'incanto. Ma forse non era ubriaco come pensavo. Ora sedeva composto. "Sono persone simpatiche", annunciò, rafforzando l'aggettivo con un paio di oscillazioni della testa. Poco dopo i padroni di casa entrarono nel salone e ci raggiunsero. Mi piacquero tutti e tre: il gentiluomo svizzero, simpatico, pur emanando da ogni gesto una sorta di autorità naturale, !'ancor bella (come si dice) signora, e la molto bella Alessandra, sorella di una donna sepolta ai piedi di un abete che si poteva ancora distinguere dagli altri, nonostante il buio. Ma d'imbarazzo,,per quell'albero, ero l'unico a soffrire. Angelo parlava, e parlava di Monica. Con tono comprensivo. "Aveva bisogno di allegria, di amici ... era elettrizzata", spiegava offrendo le sigarette. Io ne presi una. L'anziano signore alzò le spalle a un evento che doveva trovare consueto. 57
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