Linea d'ombra - anno II - n. 9 - aprile 1985

BORIS John Berger n volte per confutare una sola frase è necessario racWcontare la storia di una vita. Nel nostro villaggio, come in molti villaggi del mondo a quel tempo, c'era un negozio di souvenir. Il negozio era in una casa colonica riadattata che era stata costruita quattro o cinque generazioni prima, sulla strada che porta alla montagna. Vi si potevano comprare sciatori in bottiglia, fiori di montagna sotto vetro, piattini decorati con genziane, campanacci in miniatura, filatoi di plastica, cucchiai intagliati, pelle di camoscio, pelli di pecore, marmotte a carica, corni di capra, musicassette, carte dell'Europa, coltelli con manici di legno, guanti, T-shirts, pellicole fotografiche, anelli per chiavi, occhiali da sole, zangole in miniatura, i libri miei. La proprietaria del negozio faceva anche da commessa. Era a quell'epoca sui quaranta. Bionda, sorridente ma con occhi penetranti, era formosa, con piedi piccoli e caviglie sottili. I giovani del villaggio l'avevano soprannominata l'Oca - per ragioni che non fanno parte di questa storia. Il suo vero nome era Marie-Jeanne. Precedentemente, prima che Marie-Jeanne e suo marito arrivassero al villaggio, la casa apparteneva a Boris. Era da lui che l'avevano ereditata. Ora arrivo alla frase che voglio confutare. Boris è morto, disse Mare una domenica mattina appoggiandosi al muretto che attraversa il nostro paesino serpeggiando come l'ultima lettera dell'alfabeto, Boris è morto proprio come una delle sue pecore, abbandonato e affamato. Ciò che ha fatto al suo bestiame alla fine è successo a lui: è morto come uno dei suoi animali. Boris era il terzo di quattro fratelli. Il maggiore era stato ucciso in guerra, il secondo da una valanga e il più giovane era emigrato. Anche da bambino Boris si distingueva per la sua forza bruta. Gli altri bambini a scuola lo temevano un poco e allo stesso tempo lo prendevano in giro. Avevano scoperto il suo punto debole. Per sfidare la maggior parte dei ragazzi si scommette che non sanno alzare un sacco di settanta chili. Boris era in grado di alzare settanta chili con facilità. Per sfidare Boris si scommetteva che non sapeva fare uno zufolo da un ramo di frassino. Durante l'estate, quando i cuculi cessavano il loro canto, tutti i ragazzi avevano zufoli di frassino, qualcuno aveva persino flauti con otto fori. Si doveva trovare e tagliare un piccolo ramo di legno, diritto e del giusto diametro, poi lo si metteva in bocca per inumidirlo con la lingua, lo si picchiettava tutto intorno con il manico del temperino, rapidamente ma senza troppa forza. Questo picchiettare separava la corteccia dal legno così che si poteva tirar fuori il legno bianco, come un braccio da una manica. Infine si lavorava il pezzo per la bocca che andava messo di nuovo nella corteccia. Tutto il procedimento richiedeva un quarto d'ora. Boris metteva in bocca il rametto come se si apprestasse a divorare la vita stessa dell'albero. E il suo problema era sempre quello di dare colpi troppo forti col manico del coltello tanto da danneggiare la scorza. Tutto il corpo si irrigidiva. Provava di nuovo. Tagliava un altro ramo e al momento di picchiettare o colpiva troppo forte o, nell'intenso sforzo di controllarsi, il suo braccio non si muoveva affatto. Andiamo, Boris, facci un po' di musica! lo prendevano in giro. Quando fu completamente cresciuto, aveva mani insolitamente grandi e grandi occhi blu dentro orbite che sembravano fatte per occhi di vitello. Come se al momento del concepimento ogni sua cellula avesse ricevuto istruzioni di ingrandirsi molto; ma la spina dorsale, il femore, la tibia e la fibula si erano rifiutati. Per tutto risultato, era di altezza media ma aveva i lineamenti e le estremità come un gigante. I!] na mattina sulle Alpi, anni fa, mi svegliai e trovai tutti i pascoli bianchi. Non si può parlare realmente della prima neve dell'anno a un'altitudine di 1600 metri, perché spesso nevica ogni mese, ma questa era la prima neve che non sarebbe scomparsa fino all'anno seguente. Veniva giù a larghi fiocchi. Verso mezzogiorno bussarono alla porta. Aprii. In lontananza, quasi confuse con la neve, c'erano trenta pecore, silenziose, con la neve sul collo. Sulla soglia stava fermo Boris. Entrò e andò verso la stufa per scaldarsi. Era una di quelle alte stufe a legna e si ergeva isolata al centro della stanza come una postazione di calore. La giacca, sulle sue spalle gigantesche, era bianca come una montagna. Per un quarto d'ora rimase lì silenzioso, bevendo un bicchiere di gnole e tenendo le enormi mani sulla stufa. La chiazza umida sulle assi del pavimento intorno a lui si ingrandiva. Infine parlò con la sua voce aspra. La sua voce, qualsiasi cosa dicesse, era come trasandata. Non aveva cardini, le finestre erano rotte eppure in essa c'era una sfida, come un cercatore d'oro che vive in una capanna cadente ma che sa dov'è l'oro. Durante la notte, disse, ho visto che stava nevicando. E io sapevo che le mie pecore stavano nei pressi della vetta. Meno c'è da mangiare, più in alto si arrampicano. Sono venuto quassù in macchina prima che facesse giorno e mi sono avviato. Era da pazzi arrampicarsi da soli. Ma chi sarebbe venuto con me? Non riuscivo a vedere il sentiero a causa della neve. Se perdevo la presa con il piede, non c'era niente, proprio niente a fermarmi finché non avessi raggiunto il cimitero di sotto. Per cinque ore, dallo spuntar del giorno, ho giocato con la morte. I suoi occhi mi interrogavano dalla profondità delle orbite per controllare se avessi capito ciò che stava dicendo. I Non le parole ma quel che c'era dietro. A Boris piaceva restare misterioso. Pensava che ciò che non diceva gli avrebbe portato dei vantaggi. Eppure, a dispetto di se stesso, sognava di essere compreso. In piedi, in mezzo alla pozzanghera di neve disciolta, non somigliava affatto al buon pastore che aveva appena rischiato la vita per il suo gregge. San Giovanni Battista, che incoronò l'agnello con i fiori, era esattamente l'opposto di

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