Linea d'ombra - anno II - n. 9 - aprile 1985

44 "Wielopole/ Wielopole" (foto di Maurizio Buscarino, dal libro omonimo della Ubulibri, 1981). sto, dove non c'è nulla di strano, dove tutto succede come usa succedere normalmente nella vita, con tutte le attività spicciole e poco interessanti. Se si riesce ariprodurre in scena questa quotidianità neutra, inespressiva, allora forse non si presenterà l'elemento di rappresentazione, perché se voglio rappresentare qualcosa allora subito nasce l'illusione, e volendo io evitare la rappresentazione uso tutti quegli oggetti banali, stupidi e neutri. Il tutto deve dare lo stesso effetto che troviamo a Pompei: un uomo che è stato colto dalla catastrofe nel momento in cui correva, come in una fotografia scattata in quel preciso momento. Correre è un fatto normale, forse stava correndo al cesso e in quel momento l'ha colto la morte e in quel momento è stato reso eterno. Pensate quale possibilità teatrale è questa corsa verso la toeletta ... Qui sta il nocciolo, la fascination. Quando però ho accumulato questa realtà neutra, insignificante e inespressiva, che non ha la pretesa di essere qualcosa di grande, quando tutto questo è accumulato in scena, allora comincio a manipolare questo materiale. E avviene una certa deviazione di questa neutralità: questo nulla è trasferito su un piano superiore in cui cominciano a succedere cose strane. Comunque è sempre questa realtà "bassa" quella da cui scaturisce tutto. Un luogo così, in Wielopole, è la stanza dove si nasce, si muore, si eseguono una quantità di attività, dove ci si corica, si guarda dalla finestra, ci vestiamo, ci svestiamo, ci sediamo al tavolo, conversiamo, partiamo, piangiamo, ridiamo, amiamo, ci disperiamo ... Tutto dev'essere come una traccia, c'è soltanto la realtà senza l'effettualità. Da tutte queste azioni non viene fuori nulla dal punto di vista narrativo, perché nel teatro se moriamo non moriamo. Mi sembra che sia questo il senso del mio\teatro: ho privato le azioni reali della loro effettualità, le azioni non hanno nessun fine e non si compiono, come se il risultato non fosse il loro fine; di esse rimane soltanto la superficie. Tadeusz Kantor è stato ospite della manijestazion{! "Teatro polacco: identità di una cultura" svoltasi a Bologna dal 31 ottobre al 6 novémbre dello scorso anno (patrocinata dall'assessorato alla cultura, dal teatro Duse, dall'Eti, dal Centro di cultura teatrale, -dal centro Roselle, e organizzato da Gilberto Mora). Kantor ha presentato WielopoleWielopole, lo spettacolo realizzato con il Teatr Cricot 2 nel 1980, tutt'ora l'ultimo del regista. Il 6 novembre Kantor ha tenuto una conferenza all'università dove ha esposto temi, motivi di lavoro, stato della sua ricerca teatrale, riflessioni. Per un loro approfondimento rimandiamo a Il teatro della morte e Wielopole-Wielopole entrambi pubblicati dalla Ubulibri. Il testo che presentiamo è la trascrizione dell'incontro del 6 novembre. Ringraziamo gli organizzatori del convegno, detentori dei diritti, per averci permesso la trascrizione e la pubblicazione della conferenza. (a cura di Stefano De Matteis)

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