Linea d'ombra - anno II - n. 9 - aprile 1985

'' Wielopole/ Wielopole'' (foto di Maurizio Buscarino, dal libro omonimo della Ubulibri, 1981). La questione del nuovo Il nuovo è una questione problematica. È collegato alla ripetizione. Per me la questione della ripetizione è quella di ripetere qualcosa che è già esistito prima. Parlo di mie concezioni molto personali usando delle immagini poetiche: la storia della cultura è giunta a un certo punto, tempo addietro, in cui qualcuno molto coraggioso aveva ripetuto per la seconda volta ciò che era già stato creato. Quello che era stato creato da Dio o dalla natura e ciò che era originale era stato ripetuto, e questo gesto doveva essere per forza blasfemo e sacrilego. Il primo ritratto dell'uomo doveva essere qualcosa di terribile. Sappiamo che in molte culture e in molte civiltà è proibito riprodurre l'immagine dell'uomo perché egli è creatura di Dio. Per me il gesto di rifare per la seconda volta quello che è stato creato è un atto di coraggio, e questa ripetizione non è una riproduzione: la riproduzione si associa subito a una concezione naturalistica, mentre ripetizione è un concetto, una nozione filosofica che ha in sé qualcosa di estremamente eccitante, sebbene questa ripetizione priverà l'oggetto o la persona che riproduciamo del suo senso utilitario. Riflettevo su un problema del genere: per esempio, ho un armadio dove dentro appendo dei vestiti. Se dipingo quell'armadio, ripeto per la seconda volta un oggetto. Ma quell'armadio riprodotto, volgarmente parlando, non potrà ospitare i vestiti, non posso appenderci nulla. È qui, è questo il senso dell'arte, perché l'armadio riprodotto, il secondo armadio è la stessa cosa del primo, di quello originario, ma è inutile, non interessante dal punto di vista utilitaristico. Questo riguarda la ripetizione come gesto blasfemo ma non nel senso di fedeltà alla natura: una riproduzione del genere è un sosia, e io infatti nel mio teatro uso i sosia, ci sono i doppi sia in La classe morta che in Wielopole-Wielopole. Non si sa mai qual è il secondo, qual è quello ripetuto, ma l'altro è sempre in qualche modo illegale, clandestino. Preferirei eliminare la parola nuovo perché non so cosa sia nuovo. Sono profondamente contrario a essa,non esiste la possibilità di un qualche fenomeno che anticipi la propria epoca. Chi lo sostiene dà una giustificazione troppo facile di una produzione creativa. Per me la creazione consiste in qualcos'altro. In realtà non ci sono cose nuove, si troverà sempre qualcuno che ci ha anticipato, che l'ha già fatto. Molti storici dell'avanguardia affermano che l'avanguardia crea valori nuovi, ma questa novità, questi elementi nuovi sono inafferrabili. Ho un'altra teoria in merito: l'unica realtà è nel passato, perché il presente è così fluido da non esistere, poiché tutto è in movimento; il futuro è a sua volta quasi un'illusione, una finzione. Quindi l'unica realtà vissuta, sperimentata, ricordata e scritta nella memoria è il passato, e l'artista che vuol creare un'opera d'avanguadia manipola il passato in modo tale che ne venga fuori una cosa tutta diversa. La realtà e l'illusione Alla realtà oppongo l'illusione, e cioè illusione, finzione e tutto ciò che l'immaginario contiene. La realtà è ciò che esiste nello spazio e nel tempo, nel tempo presente, nello spazio presente. Per me l'illusione è il dramma, la pièce. Questa è l'illusione. Lo spettacolo deve essere una realtà, è questa la mia idea, con questo non voglio dire che non ci possano essere altre concezioni. Quindi lo spettacolo deve costituire una realtà e il dramma, la pièce che verrà recitata durante lo spettacolo è un'illusione, non una realtà. Queste le premesse. Cosa fare allora con il testo, con il dramma? Queste le domande, le questioni che mi hanno tormentato da quando ho cominciato a fare teatro nel 1942. Però non sono stupido e ortodosso fino al punto di pensare che soltanto la realtà salverà il teatro. Su quell'arena da combattimento devono esserci due avversari: la realtà e l'illusione. Sono giunto alla conclusione che la realtà senza l'illusione non esiste. Sono giunto a questa conclusione dopo molte sconfitte. Nonostante tutto l'illusione esiste, e io come difensore della realtà devo manipolare, perché l'arte è in fin dei conti manipolazione e anche questo è reale, è una manipolazione e sarebbe sbagliato comportarsi da mistici durante il lavoro e in teatro in particolare. Durante il lavoro faccio di tutto perché vinca la realtà; a volte questo riesce e a volte no. Essendo presente in scena, cerco di dare una mano, di aiutare perché gli attori possano sempre in ogni momento dello spettacolo costituire un'illusione, perché l'illusione si crea e nasce indipendentemente e contro la nostra volontà, ma nel momento in cui sono presente sulla scena come una realtà, il mio avvicinarsi a un attore che comincia a essere un'illusione frena questa stessa illusione. La cosa più importante nella mia opera, ciò che la rende diversa e ciò che è la sua essenza, è la realtà e la quotidianità - una quotidianità in cui tutto è al suo po43

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