Linea d'ombra - anno II - n. 9 - aprile 1985

vani ebreucci, con quei loro capelli e le loro acconciature" (gennaio 1934, p. 399). Zweig riconosceva la propria identità ebraica, ma le suepdici ebraiche erano poco profonde, mentre Roth detestava le proprie, che erano molto più profonde. 20E questi sentimenti ambivalenti erano ancor più esasperati dalla mortificante immagine di sé come piccolo ebreo dell'Est europeo che veniva aiutato dal suo "grande fratello" occidentale, un sentimento di vergogna, che egli tentava di esprimere vituperando la loro comune identità. Nello stesso tempo, Roth non voleva che Zweig si illudesse che gli ebrei fossero perseguitati a causa di motivi individuali, per aver commesso qualche specifico peccato. Quando Zweig gli propose di scrivere un articolo sulle colpe dei padri che ricadono sui figli, Roth gli rispose ironicamente: Falso è anche il presupposto che lei attribuisce ai mostri hitleriani: gli ebrei non sono perseguitati perché hanno commesso qualche peccato, ma perché sono ebrei. Sotto questo aspetto, i figli sono tanto "colpevoli" quanto i padri. (maggio 1933, p. 264) Nonostante il disprezzo che aveva per sé, Roth comprendeva la questione ebraica, dal punto di vista esistenziale, molto meglio dell'integrato Zweig. Tali erano i caratteri dei protagonisti di questa corrispondenza tra contrari. Lo stesso Roth concepiva il loro rapporto come una contrapposizione binaria che drammatizzava e acuiva le divergenze esistenti tra i due. Secondo Roth, Zweig possedeva il bene della ragione che allo stesso Roth mancava (p. 353), ed era un autentico Weltburger (p. 213) o Weltkind (p. 511), mentre Roth non lo era. Zweig, a giudizio di Roth, era nato nella felicità e per la felicità, mentre lui, Roth, era stato gettato nell'infelicità per la semplice forza delle circostanze (p. 353). La differenza tra loro era essenzialmente quella che esisteva tra gli sradicati ebrei orientali e gli assimilati occidentali, una contrapposizione a cui Roth si riferisce spesso nei suoi romanzi. 21 E nella corrispondenza tra loro, questo diventò il contrasto tra un ebreo in "fuga senza fine" (Flucht ohne Ende, uno dei romanzi di Roth) e un ebreo espulso dal suo contesto culturale e reale. Roth lasciò lo Shtetl, ma non mise mai radici altrove. Zweig portò con sè in esilio il mondo di ieri come un omogeneo paradiso perduto. Roth si rappresentava come una sorta di Ahriman, dio delle tenebre e responsabile di tutti i mali, oppure, in alternativa, come una sorta di Ahasuerus, l'ebreo errante,22 ma anche come vittima degli implacabili demoni di Pan (come testimonia il suo frequente uso della parola Panik).23 Zweig era rappresentato invece come una sorta di Ormuzd, dio della luce e fonte di ogni bene. L'incarnazione delle tenebre, come il Satana di Milton, anelava la "sacra luce", mentre l'angelo del bene era affascinato dalle forze del tormento e della desolazione. D a gamma degli argomenti affrontati in questo dialogo epistolare è molto ampia, ed è abbastanza strano che, tp questi, la letteratura ab~ia un ruolo di secondaria importanza. 24 Tuttavia, l'ascesa del nazionalsocialismo in Germania DISCUSSIONE/SHAKED creò un'atmosfera che imponeva agli intellettuali di dichiararsi e di far conoscere il loro atteggiamento nei confronti del regime. Il dialogo tra i due corrispondenti diventò quindi sempre più politico, mentre ciascuno di essi esprimeva opinioni totalmente divergenti sulla "Nuova Germania". Zweig, forse a causa dei suoi numerosi interessi in Germania, pensava ottimisticamente che il nazismo fosse soltanto un episodio effimero nella storia della Germania, 25e si sforzò di mantenere i contatti con la casa editrice lnsel Verlag fino all'ultimo.26 Roth, dal canto suo, deprecava gli ingenui tentativi di Zweig di mantenere rapporti con i nazisti come se fossero stati esseri umani razionali, perché lui non si era fatto illusioni fin dall'inizio.27 A questo punto, la loro corrispondenza diventa un drammatico dialogo tra il realistico e scettico Ebreo errante dell'est europeo e l'ingenuo, assimilato e liberale ebreo mitteleuropeo che credeva nella fondamentale bontà dell'uomo. Roth dubitava che le semplici parole potessero modificare le tendenze storiche, al contrario di Zweig (pp. 286-90). Tuttavia, al di sotto del discorso ideologico di superficie, si può vedere la fittizia rappresentazione del rapporto tra un figlio dipendente e il padre adottato o il padre confessore. In apparenza, Zweig era il mentore letterario e il mecenate di Roth, ma in realtà quello che Roth chiedeva era amore e attenzione. Ripetutamente, in una sorta di ricatto emotivo, continuava a ripetere a Zweig che stava morendo di fame nel suo Toten-bett (letto di morte), e che sarebbe morto se il suo protettore l'avesse abbandonato. "Io abuso di lei, questo è certo. Ma ho bisogno di lei, e non posso continuare a vivere senza di lei. Nel senso letterale: non posso continuare a vivere" (ottobre 1935, p. 430). A volte, Roth si appellava a Zweig come se fosse stato Dio, rivolgendosi a lui de profundis: "A chi devo rivolgermi, se non a lei? Lei sa che Dio risponde troppo tardi, perlopiù dopo la morte. Io non voglio morire, anche se non ho paura della morte" (dicembre 1935, p. 433. Si veda anche p. 447). A volte si rivolgeva a Zweig come una creatura impotente, che chiede benevolenza e protezione, altre volte, invece, gli parlava come un "figlio smarrito" che confessa al padre di amarlo teneramente e devotamente: "Non ho altro da dire, ora, se non le ultime parole che si pronunciano sul letto di morte. Io la amo, e non voglio perderla, questo le dico" (marzo 1936, p. 463. Cfr. anche pp. 467, 506, 509). Sia che si prendano queste frasi per quello che sono, oppure con un grano di sale, sono il ruolo immaginato dal mittente e la funzione interiorizzata del destinatario che determinano la retorica di queste patetiche confessioni d'amore. Sono "lettere a un padre adottivo", mentre il referente esterno reale, lo stesso Zweig, diventa sempre meno importante. Per questo motivo, le lettere di Roth esprimono le continue richieste e lamentele di un figlio abbandonato, mesto e malinconico, che si rivolge ardentemente al padre e protettore, e sono sempre sulla difensiva, senza mostrare quasi mai quel meraviglioso senso dell'umorismo di cui Roth diede prova in numerosi racconti e in romanzi come Die Buste der Kaisers (Il busto dell'imperatore, in francese, 1934) e Die Geschichte von der Jdo2 Nacht {La milleduesima notte, 1939). 39

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