Linea d'ombra - anno II - n. 9 - aprile 1985

38 DISCUSSIONE/SHAKED danna collettiva. In effetti, il problema e il significato dell'identità ebraica costituiscono uno dei principali argomenti delle lettere a Zweig; con nessun altro corrispondente Roth trattò la questione così intensamente. Il loro dialogo diventò così sempre più una discussione sul d<::stinoebraico, ed è in questo contesto che Roth assumeva quel ruolo autodegradante che connotano le due parole ebraiche. In Zweig egli vedeva un ebreo integrato· che, almeno nelle sue lettere, non sembrava tormentato dalla sua identità e non se ne sentiva in colpa. Zweig ribadiva continuamente la sua innocenza e la sua incapacità di comprendere i motivi della persecuzione. Nei suoi rapporti con i tedeschi, in occasione della faccenda di Richard Strauss, egli affermò anche di chiamarsi Stefan Zweig, e non Arnold, sottintendendo che la persecuzione di Arnold Zweig poteva essere giustificata a causa delle sue idee politiche di sinistra, mentre lui era apolitico e innocente come un bambino (aprile 1933, p. 261). Non riusciva a capire, o non voleva accettare il fatto di essere perseguitato semplicemente per le sue origini ebraiche. Roth invidiava questa incapacità di Zweig di comprendere il suo destino, perché lui invece l'aveva interiorizzato, giungendo alla conclusione che l'aveva meritato e che la sua infelicità era causata principalmente dalla sua origine e identità ebraica. Si sentì quindi offeso e umiliato quando Zweig lo definì "un povero piccolo ebreo" (marzo 1936, p. 464), simile a milioni di altri che dovevano adeguarsi alla loro difficile realtà. Roth rispose affermando che si sentiva orgoglioso delle sue umili origini ebraiche: Stefan Zweig (xilografia di Franz Masereel). Che cosa sia un povero piccolo ebreo non c'è bisogno che lo spieghi proprio a me, tra tutti. E dal 1894che lo sono, e ne sono orgoglioso. ~ono un ebreo orientale credente di Radziwillow. Lasciamo perdere. E da trent'anni che sono povero e piccolo. E sono sempre povero. (aprile 1936, p. 465) Ma in generale (nella sua corrispondenza, così come in altre sfere della sua vita), Roth negava strenuamente le sue origini ebraiche, tentando perfino di far credere che era figlio illegittimo di un padre non ebreo. 13 Affermava puntigliosamente di opporsi al nazismo, così come a ogni altra minaccia politica o esistenziale, in quanto essere umano, e non come ebreo (luglio 1935, pp. 417-18). Eppure, queste sue dichiarazioni dicosmopolitismo non gli impedivano di trasformare il disprezzo per se stesso, con tutte le sue cause personali e psicologiche, 14 in Selbsthass ebraico, odio per sé in quanto ebreo. Questo personale odio per se stesso lo esprimeva affermando di essere un fastidio per lo stesso Zweig, 15 di essere figlio dell'inferno e delle tenebre, prigioniero dei fantasmi della sua anima caotica: "Come sono circondato dalle tenebre!" scrive nel luglio 1934 (p. 349). Si mostrava assillato dalla paura di finire pazzo come suo padre, ma tutti questi sentimenti si trasfiguravano in odio di sè in quanto ebreo, sentimento che assumeva l'aspetto familiare dell'enfatico ripudio. Roth ripeteva che la sua "ebraicità" non era più importante, nella definizione di se stesso, del colore biondo dei suoi baffi 16: "La mia ebraicità mi è sempre sembrata una caratteristica puramente accidentale, più o meno come i miei baffi biondi" (luglio 1935, p. 417). Si sforzava di dare l'impressione di essere stato un ufficiale austriaco, e alla fine degli anni Trenta si atteggiava anche a cattolico monarchico. 17 Questo intenso odio per sé arrivava al punto, in effetti, di indurlo ad equiparare il sionismo al nazismo: "Un sionista è un socialista nazionalista, un nazista è un sionista" (agosto 1935, p. 420), frase che scrisse nel respingere la proposta di Zweig di invitare l'esponente sionista Chaim Weizmann a firmare un manifesto antinazista. Negli anni Trenta, Roth aspirava a quel tipo di universalismo e di internazionalismo che Zweig aveva conseguito molto tempo prima senza fatica, e poi perduto a causa delle mutate circostanze storiche. Roth reagì alle stesse circostanze in modo molto strano, con il rimpianto della monarchia asburgica, pur sapendo bene che era scomparsa per sempre. Si rendeva conto, però, che soltanto in questa terra immaginaria e utopica egli poteva convivere con la sua detestata identità, e senza di essa. Era questo il principale filone del suo dialogo con Zweig. Anche se espresse opinioni del tutto diverse in Juden auf Wanderschaft (1927), 18 e rappresentò gli ebrei con molta simpatia, 19 come perseguitati e non come persecutori, nella sua corrispondenza con Zweig Roth assume ben altro atteggiamento e arriva a fare violente affermazioni antisemite come queste: " ... un ragazzotto ebreo, bastonato (fuori) e viziato (in casa) ... " (febbraio 1929, in una lettera a Felix Berteaux, p. 148), "Gli ebrei sono molto stupidi, e soltanto gli ancor più stupidi antisemiti possono credere che siano pericolosamente astuti" (dicembre 1932, p. 243); "Non li sopporto, questi gio-

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==