Quando scriveva queste parole, Zweig aveva già perduto il paradiso riconquistato, ma nel suo immaginario paradiso un personaggio turbolento, instabile, nevrotico come Roth rappresentava sicuramente una presenza estranea, se non indesiderata. È forse per questo motivo che Zweig non citò mai Roth nelle sue memorie. Zweig rimpiangeva i fasti ormai sbiaditi di un mondo del quale egli era autentico rappresentante; Roth, dal canto suo, si struggeva per un mondo di ieri al quale, in realtà, non era appartenuto. Zweig si sforzò sempre, fino all'ultimo, di essere coerente con se stesso, e metteva in guardia Roth sui pericoli mentali ed emotivi che comporta l'adattamento alle mutevoli circostanze: l'individuo non doveva adeguarsi alle sfide del tempo, doveva categoricamente rifiutarsi di sintonizzarsi con la disgustosa realtà della vita, come predica a Roth in una lettera del settembre 1937 (p. 513): No, Roth: indurirsi insieme con la durezza dei tempi significa accettarla e rafforzarla. Non diventi bellicoso e intransigente, perché gli intransigenti trionfano grazie alla loro brutalità. Compito dell'uomo, ribadiva Zweig, è quello di affrontare le asprezze della realtà rimanendo fedele agli ideali dell'umanesimo. Zweig ambiva a essere considerato l'erede e la reincarnazione del suo nume Erasmo, a difesa di un solo e unico ideale: "L'assoluta inviolabilità della libertà individuale" (autunno 1937, p. 514). Tuttavia, a giudicare dalla sua corrispondenza, egli non sempre rispettava i canoni del suo nume, né quelli del personaggio che egli tentava di rappresentare. Il fatto è che Zweig non diede prova di grande coraggio nella polemica con i tedeschi. Nella sua corripondenza con Roth, egli sosteneva di svolgere un ruolo apolitico nel caos politico in cui doveva vivere, IO ma il fatto è che i suoi tentativi di entrare nella lizza politica e intellettuale furono in realtà piuttosto ridicoli. L'illustre destinatario delle lettere di Roth era per questi un personaggio del suo dramma interiore, molto più che una persona reale, era uno spirito armonioso affascinato dalle demoniache forze delle tenebre. Il Eppure, a modo suo, Roth comprendeva realmente Zweig, e sapeva bene che era attratto dalla sua natura caotica quanto lui stesso, Roth, lo era dalla chiarezza e dalla razionalità di Zweig. Capiva che Zweig era consapevole degli aspetti oscuri della vita, ma non era persona capace di venire a patti con questi. Quando Zweig si sentì deluso e tradito da Romain Rolland per la sua defezione al comunismo, Roth gli scrisse: "Nel vedere calare il crepuscolo, lei rimane turbato dal fenomeno della notte, che scenderà molto presto, e oltre a ciò lei pensa che essa scenda a suo dispetto" (luglio 1937, p. 496). Roth dà prova della sua acuta comprensione del problema di Zweig quando afferma che l'angelo della serenità, di fronte al crepuscolo, è altrettanto impotente quanto lo stesso Roth quando è preda del suo spirito turbolento. Il resto della tragica esistenza di Zweig sta a dimostrare la verità di questa intuizione. DISCUSSIONE/SHAKED D 1protagonista, tra i due corrispondenti, dev'essere tuttavia considerato Joseph Roth. Il suo dialogo con Zweig era prevalentemente occupato dalle lamentele sulle sue donne, "il giogo intorno al collo", 12 sulla salute, e per ultimo, ma non per importanza, sulla sua situazione economica. In questo rapporto, Roth era in una posizione subordinata, perché era lui ad aver bisogno di Zweig come benefattore, padre confessore e consolatore. Le sue lettere a Zweig possono essere interpretate come lettere a un padre putativo o adottato, e la complessa ambivalenza di queste lettere è la comprensibile conseguenza di questo atteggiamento di fondo. Roth odiava se stesso perché si considerava uno Schnorrer, un accattone, incapace di correggersi, come scrive nel febbraio 1936: "Correvo qua e là bruciando di sete, come uno Schnorrer con la lingua penzoloni e la coda dimenante" (p. 450). Questa sua immagine di cagnolino affamato e supplicante era soltanto una delle sue umilianti autorappresentazioni. Altrove, Roth si rappresentava anche come ipocondriaco: "Ogni giorno sono umiliato, e il disprezzo che provo per me stesso si trasforma in ogni sorta di malanno fisico" (dicembre 1935, p. 443). Roth era consapevole degli aspetti psicosomatici delle sue malattie, e capiva che un senso di inferiorità e il disprezzo di se stesso erano una delle cause delle sue condizioni fisiche. Attribuendosi espressioni yiddish come Schnorrer e Nebbich (agosto 1937, p. 502), che stanno a denotare impotenza, dipendenza, miseria, Roth vuole evidenziare la sua appartenenza alla comunità ebraica, e la propria partecipazione alla sua autoconJoseph Roth. 37
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