Linea d'ombra - anno II - n. 9 - aprile 1985

30 STORIE/KASCHNITZ modo, ora, le apparivano, molto vaghi, i contorni della stanza. Non vide però suo marito, e questo la inquietò alquanto. Questa non era la verità, disse l'uomo. No, pensò la donna, ha ragione. Sono andata a passeggio con lui e la sera a ballare, e ogni volta cercavo, in segreto, l'uomo che avevo amato e che ll}iaveva lasciato. Volevo bene a Walther, però non l'ho sposato per amore, ma perché non volevo restare sola. Improvvisamente si sentì molto stanca, e il proposito di ammettere tutto ciò che aveva così a lungo negato le attraversò la mente. Forse,·se l'avesse ammesso, suo marito sarebbe uscito dalla penombra per venire verso di lei,e si sarebbe seduto sul bordo del letto. Lei gli avrebbe detto com'era stato tutto e com'era adesso, che ora lei lo amava e che l'altro uomo le era diventato completamente indifferente. Non dubitò che se solo avesse potuto mettergli le braccia al collo, sarebbe riuscita a convincerlo che un amore potesse nascere e crescere, giorno dopo giorno, mentre un altro morire ed essere, alla fine, nient'altro che un cadavere, davanti al quale si inorridisce. Walther, disse lei, non tesoro, e neppure caro, disse solo il suo nome, ma nell'oscurità allungò le braccia verso di lui. Però suo marito non si avvicinò, non si sedette sul bordo del letto. Restò dov'era, dove non le era possibile scorgere neppure i tratti della sua figura. All'epoca, disse lui, io era da poco a Monaco. Fu tua la proposta che prima di tutto dovessi imparare a conoscere bene la città. Siccome non avevamo ancora la macchina andavamo ogni domenica con un mezzo di trasporto diverso in una direzione diversa, scendevamo al capolinea e passeggiavamo. Ho sempre avuto l'impressione che, durante queste passeggiate, tu cercassi qualcuno. Voltavi sempre il capo verso destra e verso sinistra, come gli orsi polari che cercano la libertà, oppure qualcosa di cui non sappiamo nulla, e io spesso ti ho chiamata il mio orso polare. Sì, disse la donna con voce soffocata. Si ricordò che nei primi mesi di matrimonio suo marito le aveva dato questo nomignolo. Aveva creduto che lo facesse in ricordo del loro primo incontro al giardino zoologico, oppure per via dei suoi folti capelli color biondo chiaro, che a volte le ricadevano sulle spalle come una criniera. Ma ora capì che si trattava non di un affettuoso soprannome, bensì di un sospetto. Più tardi, disse lei, quando comprammo la macchina, la domenica andavamo fuori città. Camminavamo nel bosco e ci stendevamo a dormire sui prati, al sole, tu col capo sul mio seno. Quando ci svegliavamo eravamo completamente storditi dal sole e dal forte vento. Ci riusciva difficile ritrovare la direzione giusta, e una volta abbiamo impiegato parecchie ore prima di ritrovare la macchina. Te lo ricordi ancora, chiese. Ma suo marito non si lasciò prendere da questo ricordo. Una volta l'abbiamo incontrato, disse lui. Dài, smettila, disse la donna improvvisamente stizzita. Va' a mangiare qualcosa, oppure lascia che accenda la luce, che mi alzi e ti porti qualcosa da mangiare. C'è ancora mezzo pollo nel frigorifero e della birra. Ma mentre lo diceva sapeva già che suo marito non avrebbe voluto saperne. Rifletté µn attimo su come avrebbe potuto distoglierlo dai suoi pensieri, e non le venne in mente niente. Domani sarà una brutta giornata per te, disse infine, entro sera devi aver finito i conti, e se non avrai dormito a sufficienza, tutto ti sembrerà ancora più difficile. Una volta l'abbiamo incontrato, disse di nuovo suo marito. La donna strinse con forza la coperta, senza sapere cosa aggiungere. Se soltanto fosse chiaro, pensò. Per Natale lui le aveva regalato un tavolino da toeletta fatto con le sue mani, con una tendina di cretonne e una lastra di vetro, e lei gli aveva confezionato un paralume, ornato con erbe e muschi raccolti e fatti seccare durante l'estate. Era sicura che queste cose, se solo si fosse potuto vederle, l'avrebbero aiutata a convincere suo marito che lo amava, e che lui stesso aveva dimenticato da un pezzo il sospetto che nutriva. Una volta, disse suo marito per la terza volta, lo abbiamo incontrato; e lo disse con la voce di quella sera, che suonava così strana e monotona. Stavamo camminando per la Ludwigstrasse, verso la Porta della Vittoria, era una bella serata e c'era in giro molta gente. Tu non guardavi nessuno in particolare, e nessuno che si sia fermato o che ti abbia salutato. Io però avevo il mio braccio posato sul tuo e improvvisamente ho notato che cominciavi a tremare in tutto il corpo. Il tuo cuore aveva cessato di battere e le guance erano diventate mortalmente pallide. Te lo ricordi? Sì, sì, voleva gridare la donna, me ne ricordo bene. Era la prima volta che avevo rivisto il mio amante d'un tempo, e fu anche l'ultima. Il mio cuore ha veramente cessato di battere, ma poi ha ricominciato, come se si trattasse di un cuore diverso dal mio. Mentre il bel volto freddo del mio antico amante spariva tra la folla, si è come dissolto nel nulla, e da allora non sono più riuscita a ricordarmene le fattezze. La donna voleva dire tutto ciò a suo marito, e ricordargli pure che quella volta, per strada, lei si era stretta a lui e aveva cercato di baciarlo. Improvvisamente, però, dubitò che suo marito potesse crederle. Ebbe la sensazione che dietro le sue parole ci fosse un'inquietudine che lei non avrebbe placato, una paura da cui lei non poteva liberarlo, almeno non quella notte. Mi ricordo della nostra passeggiata, disse, e cercò di dare alla sua voce un tono indifferente. Non ho visto nessun conoscente. Ho sentito come un brivido, ho preso freddo e la sera mi è venuta anche la febbre. È vero, chiese l'uomo. Sì, rispose la donna. Era triste per non aver potuto dire la verità, che era molto più bella di quanto suo marito voleva sentire da lei. Ora era molto stanca e avrebbe dormito volentieri, ma soprattutto le interessava sapere cosa era accaduto a suo marito, e perché non voleva accendere le luce e andare a letto. Allora è vero anche il resto, disse l'uomo, con un filo di speranza nella voce. Cosa, chiese la donna.

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