Linea d'ombra - anno II - n. 9 - aprile 1985

<",z': -~-~ _··_,:,.--./ -.- L. -, , , ~,•:\..a. •• - •- . Mercato di Cuzco (foto di Giovanna Borgese, Agenzia Grazia Neri), . .,. i. Aguarunas e Huambisas, e nella spedizione c'era un posto, che io occupai grazie a un'amica. Quelle settimane nell'Alto Maranòn, a visitare tribù, casali e villaggi, furono un'esperienza indimenticabile, che mi mostrò un'altra dimensione del mio paese (il Perù, ormai è chiaro, è il paese dai mille volti). Passare da Lima a Chicais o a Urakusa era come saltare dal ventesimo secolo all'età della pietra, entrare in contatto con compratori che vivevano seminudi, in condizioni di estremo primitivismo e che, inoltre, venivano sfruttati senza misericordia. Gli sfruttatori, a loro volta, erano poveri mercanti scalzi e semianalfabeti, che commerciavano in caucciù e pelli comprate alle tribù a prezzi irrisori, esseri che punivano selvaggiamente qualsiasi tentativo degli indigeni di emanciparsi dalla loro tutela. Quando arrivammo al casale di Urakusa, venne a riceverci il capo, un aguaruna chiamato Jum, e vederlo e ascoltare la sua storia fu terribile, poiché quell'uomo era stato torturato da poco per aver cercato di creare una cooperativa. Nei villaggi perduto dell'Alto Marafion vidi e palpai la violenza cui poteva arrivare la lotta per la vita nel mio paese. Ma l'Amazzonia non era solo sofferenza, abuso, aspra coesistenza di peruviani di diverse mentalità ed epoche storiche. Era, anche, un mondo di esuberanza e forza prodigiose, dove chi veniva dalla città scopriva una natura selvaggia e incontaminata, il superbo spettacolo dei grandi fiumi ricchi d'acque e dei boschi vergini, animali che sembravano usciti dalle leggende e uomini e donne dalle vite arrischiate e liberissime, simili a quelle dei protagonisti dei romanzi d'avventura che erano stati la felicità della mia infanzia. Credo di non aver mai fatto un viaggio più fertile di quello, a metà del 1958. Molte delle cose che feci, vidi e udii, fermentarono più tardi in racconti. Durante quel viaggio ebbi per la prima volta l'intuizione di ciò che lsaiah Berlin chiama "le verità contraddittorie". Fu a Santa Maria de Nieva, piccola località dove, negli anni quaranta, si era installata una missione. Le monachelle aprirono una scuola per le bambine delle tribù. Ma poiché queste non accorrevano volontariamente, ve le trascinavano con l'aiuto della Guardia Civile. Alcune di queste bambine, dopo qualche tempo nella missione, avevano perduto ogni contatto con il loro mondo familiare e non potevano più riprendere la vita dalla quale erano state riscattate. Che ne era di loro, allora? Venivano affidate ai rappresentanti della "civiltà" che passavano per Santa Maria de Nieva - ingegneri, militari, commercianti - che le prendevano con loro come serve. Il drammatico era che le missionarie non solo non si rendevano conto delle conseguenze di tutta l'operazione, ma, per portarla a termine, davano prove di vero eroismo. Le condizioni in cui vivevano erano molto difficili e il loro isolamento praticamente assoluto durante i mesi di piena dei fiumi. Che con le migliori intenzioni del mondo e a costo di sacrifici illimitati si potesse causare tanto danno, è una lezione che tengo sempre presente. Mi ha insegnato quanto sia sottile la linea che separa il bene dal male, quanta prudenza sia necessaria per giudicare le azioni umane e per trovare le soluzioni ai problemi sociali, se si vuole evitare che i rimedi risultino più nocivi del male. Partii per l'Europa e non tornai a vivere nel mio paese in maniera stabile fino al 1974. Tra i ventidue anni che avevo quando me ne andai e i trentotto che compivo ritornando, accaddero molte cose e, per molti versi, io ero al ritorno completamente un'altra persona. Ma per quanto riguarda la relazione con il mio paese credo che continui a essere quella della mia adolescenza. Una relazione che potrebbe definirsi più con l'aiuto di metafore che di concetti. Il Pen'.i è per me una specie di male incurabile e la mia relazione con esso è intensa, aspra, piena della violenza che caratterizza la passione. Il romanziere Juan Carlos Onetti disse una volta che la differenza fra lui e me, come scrittori, era che io avevo una relazione matrimoniale con la letteratura, e lui una relazione adulterina. Ho l'impressione che la mia relazione con il Peru sia più adulterina che coniugale: impregnata, cioè, di timori, di fiammate di passione e furori. Coscientemente lotto contro ogni forma di nazionalismo, che mi pare una delle più grandi tare dell'uomo e che serve sempre da alibi per il perggior tipo di contrabbando. Ma è un fatto che le cose del mio paese mi esasperano o mi esaltano più di altre e che ciò che in esso accade o cessa di accadere mi riguarda in modo intimo e inevitabile. È possibile che se facessi un bilancio potrebbe risultare che, al momento di scrivere, quel che ho più presente del Peru siano i suoi difetti. E anche, che sono stato un critico severo fino all'ingiustizia di tutto ciò che lo affligge. Ma credo che sotto quelle critiche palpiti una profonda solidarietà. Anche se mi è capitato di odiare il Peru, quell'odio, come nel verso di César Vallejo, è sempre stato intriso d\ tenerezza. Copyright Mario Vargas Uosa 1985. (traduzione di Ernesto Franco) 25

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