Linea d'ombra - anno II - n. 9 - aprile 1985

22 Ragazze di Cuzco (foto di Carla Pallini, Agenzia Grazia Neri). casa. Ora, i poveri sono ovunque, nelle vesti di v~hditori ambulanti, di vag;bondi, di mendicanti, di aggressori. Con i suoi cinque milioni e mezzo o sei di abitaf!- ti e-i suoi enormi problemi - i rifiuti, i trasporti insufficienti, la mancanza di case, la delinquenza -, Lima ha perduto molti dei suoi incanti, come il quartiere coloniale e i balconi con le gelosie, la sua tranquillità e i suoi rumorosi e fradici Carnevali. Ma ora è veramente la capitale del Perù, perché ora tutte le genti e i problemi del paese sono in essa rappresentate. Dicono che l'odio si confonda con l'amore e deve essere così, perché io, che passo la vita dicendo peste di Lima, trovo molte cose della città che mi emozionano ancora. Per esempio, la sua foschia, quella garza che la ricopre da maggio a novembre e che impressionò tanto Melville quando passò di qui (chiamò Lima, in Moby Dick, "la città più triste e strana che si possa immaginare", perché "ha preso il velo bianco" che "accresce l'orrore dell'angoscia"). Mi piace la sua acquerugiola, goccerelline invisibili che si sentono come zampette di ragno sul volto e che fanno sì che tutto sia sempre umido e che noi, abitanti della città, ci si senta in inverno un po' batraci. Mi piacciono le sue spiagge di acque fredde e grandi onde, ideali per il surf. E mi piace il suo vecchio stadio dove vado alla partita, a tifare per l"'Universiatario de Deportes". Ma so che queste sono debolezze molto personali e che le cose più belle del mio paese non stanno nella città ma all'interno, nei suoi deserti o sulle Ande o nella selva. Un surrealista peruviano, César Moro, chiamò una delle sue poesie, aggressivamente, Lima, l'Orribile. Anni dopo un altro scrittore, Sebastiàn Salazar Bondy, riprese l'oltraggiosa espressione e scrisse, con questo titolo, un saggio des'tinato a demolire il mito di Lima, l'idealizzazione della città fatta nei racconti e nelle leggende e nelle parole della musica creola, e a mostrare i contrasti fra questa città presunta moresca e andalusa, di gelosie di filigrana, dietro le quali le tapadas, dalla bellezza misteriosa e diabolica, tentavano i cavalieri dalle parrucche impolverate, e la Lima reale, difficile, sporca e marciscente. Tutta la letteratura peruviana potrebbe dividersi in due tendenze: quella dei divinizzatori e quella dei detrattori di Lima. La vera città probabilmente non è così bella come dicono gli uni né così atroce come assicurano gli altri. Anche se, nell'insieme, è una città senza personalità, esistono in essa luoghi affascinanti, come certe piazze, certi conventi e chiese, e quel gioiello che è Acho, la Plaza de toros. Lima coltiva la passione taurina dall'epoca coloniale e il pubblico limegno è intenditore esperto come quello di Città del Messico o di Madrid. Io sono uno di quegli entusiasti che cercano di non perdersi nessuna corrida della Festa d'Ottobre. Mi inculcò questa passione mio zio Juan, un altro dei miei infiniti parenti dal lato materno. Suo padre era stato amico di Juan Belmonte, il grande torero, e questi gli aveva regalato uno degli abiti con cui aveva toreado a Lima. Quel vestito era conservato in casa dello zio Juan come una reliquia e a noi bambini della famiglia lo si mostrava nelle grandi occasioni. Limegne come le corride di tori sono le dittature militari. I peruviani della mia generazione sono vissuti più sotto governi autoritari che in democrazia. La prima dittatura che provai sulla mia pelle fu quella del generale Manuel Apolinario Odria, dal 1948 al 1956, anni in cui i peruviani della mia età da bambini si facevano uomini. Il generale Odria rovesciò un avvocato arequipegno, José Luis Bustamante y Rivero, cugino di mio nonno. Io lo conoscevo poiché, quando vivevamo a Cochabamba, fu ospitato a casa dei nonni e ricordavo il suo parlare forbito - lo ascoltavamo a bocca aperta - e le mance che mi lasciava scivolare nelle mani prima di partire. Bustamante fu candidato di un Fronte Democratico nelle elezioni del 1945, un'alleanza all'interno della quale aveva la maggioranza il Partito Aprista di Victor Raùl Haya de la Torre. Gli apristi<- di centro sinistra - erano stati duramente perseguitati dalle dittature. Bustamante, un indipendente, fu candidato dell'Apra perché questo partito non poteva presentare un candidato proprio. Appena eletto - con una grande maggioranza - l'Apra cominciò ad agire come se Bustamante fosse una sua marionetta. Nello stesso tempo, la destra - cavernicola e troglodita - scatenò un'ostilità feroce contro chi considerava uno strumento della sua bestia nera: l'Apra. Bustamànte mantenne la sua indipendenza, resistette alle pressioni di sinistra e di destra, e-governò rispettando la liber-tà d'espressione, la vita sindacale e i partiti politici. Durò solo tre anni, tra agitazioni di piazza, crimini politici e sommosse, fino al golpe di Odria. L'ammirazione che provai da bambino per quel signore dalla cravatta a farfallino che camminava come Chaplin, continuo a coltivarla, poiché di Bustamante si possono dire cose che sono rarità per la serie di governanti che ha avuto il mio paes-e: che lasciò il potere più povero di quando lo prese, che fu tollerante con i suoi avversari e severo con i suoi amici di partito affinché nessuno potesse accusarlo di parzialità, e che rispettò le leggi fino all'estremo del suo suicidio politico.

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