Linea d'ombra - anno II - n. 9 - aprile 1985

Una strada di Bambamarca (foto di Carla Pallini, Agenzia Grazia Neri). co. Non fu l'unica cultura peruviana preispanica, ma certo la più potente. Si estende attraverso il Perù, la Bolivia, l'Ecuador e parte del Cile, della Colombia e dell'Argentina. Durante la loro breve esistenza di un secolo e mezzo, gli Incas conquistarono decine di popoli, costruirono strade, sistemi di irrigazione, fortezze, cittadelle, e istituirono un sistema amministrativo che permise loro di produrre quanto serviva a nutrire tutti i peruviani, qualcosa che nessun altro regime avrebbe poi ottenuto. Ciò nonostante, non ho mai provato simpatia per gli Incas. Anche se i loro monumenti rimasti, come Machu Picchu o Sacsahuaman, mi lasciano ammirato, ho sempre pensato che la tristezza peruviana - tratto saliente del nostro carattere - nacque forse con l'Impero Inca: una società irreggimentata e burocratica, di uomini-formica in cui un rullo compressore onnipotente annullò ogni personalità individuale. Per mantenere sottomessi i popoli che soggiogarono, gli Incas si valsero di raffinate astuzie, come appropriarsi delle loro divinità ed elevare al livello della propria aristocrazia i capi vassalli. Si valsero, anche, dei mitimaes, o trapianti di popolazioni, che strappavano dal loro habitat e inserivano in un altro, a grande distanza. I più antichi poemi quechuas giunti sino a noi sono elegie di questi uomini, storditi in terre straniere, che cantano la patria perduta. Cinque secoli prima della Grande Enciclopedia sovietica e del romanzo 1984 di George Orwell, gli Incas praticarono la manipolazione del passato in funzione delle necessità politiche del presente. Ogni Imperatore cuzcoano saliva al trono con una corte di Amautas, o sapienti, incaricati di rettificare la storia in modo da dimostrare come raggiungesse l'apogeo con l'Inca regnante, a cui si attribuivano da allora tutte le conquiste e le imprese dei predecessori. Il risultato è l'impossibilità di ricostruire questa storia tanto borgesianamente tergiversata. Gli Incas avevano un elaborato sistema mnemotecnico per registrare le quantità - i quipos - ma non conobbero la scrittura e a me è sempre sembrata persuasiva la tesi secondo cui non vollero conoscerla, giacché avrebbe costituito un pericolo per il loro tipo di società. L'arte degli lncas è austera e fredda, senza la fantasia e l'abilità che si avvertono in altre culture preincaiche, come quelle di Nazca e di Paracas, da dove ci arrivano quei mantelli di piume di incredibile delicatezza e quei tessuti dalle enigmatiche figure che hanno conservato fino a oggi i loro colori e la loro malia. Dopo quello dell'Impero Inca, l'uomo peruviano dovette sopportare un altro rullo compressore: il dominio spagnolo. I conquistadores diedero al Perù la lingua e la religione che oggi la maggior parte dei peruviani parla e professa. Ma la glorificazione indiscriminata della Colonia è tanto ingannevole quanto l'idealizzazione degli Incas. Poiché la Colonia, anche se fece del Perù la testa di un Viceregno che comprese anche territori oggi di varie repubbliche, e di Lima una capitale dove rifulgevano gli splendori di una suntuosa corte e di un'importante vita accademica e cerimoniale, significò l'oscurantismo religioso, l'Inquisizione, una censura che arrivò a proibire un genere letterario - il romanzo - e la persecuzione dell'irreligioso e dell'eretico, il che significò in molti casi la persecuzione di chi si azzardava a pensare. La Colonia significò lo sfruttamento dell'indio e del negro e l'istituzione di caste economiche sopravvissute fino a oggi, facendo del Pen'i un paese dalle immense disuguaglianze. L'Indipendenza fu un fenomeno politico che alterò appena questa società, scissa in una minoranza che gode dei privilegi della vita moderna e in una massa che vive nell'ignoranza e nella povertà. I fasti dell'Impero Inca, la Colonia e la Repubblica non hanno potuto farmi dimenticare che tutti i regimi sotti i quali siamo vissuti sono stati incapaci di ridurre a proporzioni tollerabili le differenze che separano i peruviani, e queste stigmate non possono essere compensate da monumenti architettonici o da imprese guerriere o da brillii cortigiani. Niente di tutto ciò mi passava per la testa, naturalmente, tornando dalla Bolivia. La mia famiglia aveva usanze bibliche; si trasferiva in massa - zii e zie, cugini e cugine - dietro ai nonni, il ceppo familiare. Così arrivammo a Piura. Questa città, circondata da arenili, fu la mia prima esperienza peruviana. Al Collegio Salesiano i miei compagni si burlavano di me perché parlavo come un serrano - facendo suonare le erre e le esse - e perché credevo che i bebè li portassero le cicogne da Parigi. Furono loro a spiegarmi come le cose avvenissero in modo meno aereo. La mia memoria è piena di immagini dei due anni che passai in quella città. I piurani sono estroversi, superficiali, motteggiatori, calorosi. Nella Piura di allora si beveva un'ottima chicha e si ballava con grazia il ballo regionale - il tondero - e le relazioni fra "meticci" e "bianèhi" erano molto meno rigide che altrove: l'informalità e lo spirito festaiolo dei piurani accorciavano le distanze sociali. Gli innamorati facevano serenate sotto i balconi delle ragazze, e i fidanzati che incontravano opposizione rapivano la fidanzata: se la portavano in una fattoria per un paio di giorni per poi - lieto fine, famiglie riconciliate - arrivare al matrimonio re19

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==