spiegazioni, il Parlare Di Teatro è un gesto che si continua a consumare a mezz'aria tra il palcoscenico e la platea. Chi ha il potere o fa il piacere di una rècensione a sfondo ministeriale, chi si attribuisce il dono o la grazia del maitre-à-gouter, tutti si affollano in un ipotetico palco di proscenio rigonfiato a pulpito: estranei bonari verso il pubblico, complici severi dell'attore. Lentamente ma progressivamente il Parlatorio si è dilatato per lungo, come una pre/platea appoggiata a ribalta. Schermo pesante e ormai invalicabile per l'attore che cercasse il pubblico, filtro culturale apprezzato, anche perché invisibile, da parte di chi sta in sala. La separazione tradizionale (e tradizionalmente deprecata) tra scena e teatro è finalmente sancita dall'allargarsi di una zona fantasma che ospita - subito a ridosso degli addetti - gli adatti allo spettacolo. Ieri soltanto i critici, ma adesso anche i parenti: i collezionisti, i festivalieri, gli arei - operatori, gli animatori delle pro-loco, gli studentidel-dams ... Appollaiati tutti insieme in un prolungamento ideale del palcoscenico, per loro la separazione dello spazio teatrale è da tempo superata: il resto del pubblico - senza conoscerli - sa che ci sono e che coprono gran parte del boccascena. Qualche volta scambia il loro Parlare con il copione, qualche volta guarda attraverso i loro occhi. Li chiama "gli spettatori": tutti gli altri infatti sanno di essere diventati "consumatori", anche a teatro. Ignari di ostacolare o modificare così tanto l'altrui fruizione, i Parlatori Di Teatro sanno di essere "spettatori" privilegiati, o almeno lo pretendono. Lo si capisce dal fatto che il motore instancabile della loro golosa attenzione, li sposta avidamente in avanti. Dimentichi del pubblico alle loro spalle, perfezionano sempre più il loro privato teatrale. Sempre più vicini per spiare la cinematografia sottintesa dal regista, per verificare la sudorazione dell'attore, il loro contatto supera la minidistanza dell'erotismo, si assesta sui valori millimetrici della macrofotografia ... Allontanata la platea, ritagliata la scena, isolato lo spettacolo, i Parlatori Di Teatro moltiplicano e abbattono le separazioni. Oramai dentro lo spettacolo, oltre la sequenza, vicini al singolo fotogramma, discernono e secernono in continuazione, stringendo sempre più da presso qualcosa che non è più oggetto scenico ma frammento del soggetto "inquadrato". Finalmente un'Immagine! (c'era davvero bisogno diandarè a teatro?) E se fosse per via di questo spingere e avanzare che il Produ,ttore e Attore'è tanto arretrato? Piccoli registi si affan- ,. nano ormai a ridosso del fondale, a comporre in velocità e - se possibile - in due dimensioni: a schiacciare l'attore (appena recuperato!) in combinazioni avare di relazioni, obbedendo alla logica delle figurine o all'estetica dei figurini. E se fosse per via di questa scena resa piccola dall'invasione di troppi curiosi aventi diritto, che il "far vedere" si è ridotto ad occupare lo spazio di uno schermo? Forse che per difendersi dall'avvicinarsi troppo, si è artisticamente costretti prima a ritirarsi nell'angolo e poi a ritirare il teatrale? Sarà per questo che capita di vedere anche installazioni ampie, che mimano una intera Metropoli, eppure - senza miniaturizzazioni - sembra di vederle chiuse come in vetrina. E anche di molto fuori degli sperimentalismi, dentro il teatro dell'abitudine (già "di tradizione"), sembra spesso che il Vetrinismo sia la nuova ortografia del regista. La vetrina lo spazio/quaderno per brevi esercizi di analisi del periodo. Quel poco che si ha o quel poco che c'entra? Dentro la vetrina forse c'è poco da dire, ma - sembra - molto da vendere. Più importante é poi che dietro la vetrina c'è ancora uno spazio ridottissimo, ma rispettato. Non più sufficientemente "teatrale", ma ancora intoccato: forse "sacro"? Certo è che perfino il naso ghiotto del Parlatore/Spettatore vi si appiattisce contro e non prosegue; perfino il suo sguardo vi si arresta e - per di più - si appanna. Non può essere un vetro a fermarlo. Tanta abitudine all'invadenza non conosce ostacoli e dunque deve aver trovato il suo traguardo. Vuoi vedere che tante predicazioni e provocazioni sui Modi, volevano concludersi - anche a teatro - con la contemplazione della norma della Moda? Dai teatri e teatrini delle differenze al teatro indifferenziato (contenitore di tutte le diversità) il miracolo della ritrovata unità- e della sua completa omologazione - avviene sotto il segno vecchio del nuovo commercio: se il teatro abituale, da antico salotto, è usufruito da tempo come negozio (di cultura) di lusso, quello sperimentale deve crescere e avanzare, da laboratorio a bottega (d'arte). Allora ci si riaccorge che i tanti Spettatori che premono sulla vetrina non escludono un pubblico di clienti più vasto. Certamente possono ignorarlo e ritenere concluso lo spettacolo dentro il tempo e nello spazio della loro visione. In questo sbagliano ritenendo esauribile il teatro dentro un -rapporto privato (già "privilegiato"). Ma proprio in questo - d'altronde -si scoprono assolutamente identici al pubblico che hanno di menDISCUSSIONE/GIACCHÈ ticato alle loro spalle. Con fusi da troppe separazioni e da altrettanti approfondimenti, si rischia di dimenticare anche la circolarità del teatro come luogo intero, la doppia comunione che suggeriva, dalla coralità di chi occupa la scena alla collegialità'°di chi sta in platea: si rischia, a dispetto delle immersioni, di ritrovarsi a teatro proprio come al cinema, moderni "consumatori". Certo a teatro si può "mettere in scena la propria attenzione": quasi sempre da soli e magari non richiesti. Si può salvare casualmente o caparbiamente la propria definizione di Spettatore, per ruolo, per delega o perfino per davvero, fingendo di non partecipare della nuova platea di compratori. Ma questo essere e non essere dello Spettatore Maiuscolo è un dilemma che non interessa e non incide sull'aggiornato esercito di consumatori teatrali. Questi, più a Milano che a Foligno, sanno ormai sedersi in poltrona con la consapevolezza e il sussiego di una affeziònata clientela. I fischi sono impossibili come i reclami, perché sarebbe come dichiarare che non si sa scegliere nell'acquisto. Gli applausi sono obbligatori come sanzione rituale con cui termina questo particolare shopping. In un certo senso sostituiscono il trillo del registratore di cassa. Tutto quello che fa e che sa fare il nuovo pubblico svela sempre più la certezza di una azione che la sorpresa di una reazione. In qualche modo - restando limitati i gesti - è vero che tanto più lo spettatore era passivo, tanto più il consumatore è attivo. Dunque, anche se niente è stato modificato o abolito, tutto è paradossalmente cambiato di segno. La sudditanza è scomparsa perfino dagli occhi delle più anziane professoresse. I tanti impedimenti della cultura alta e della bassa commozione, della magia e della demagogia, del classismo e dell'intellettualismo, sono finalmente rimossi. Se il teatro non è ancora completamente democratico, lo è diventato il suo pubblico. Funzionalmente diviso in una minoranza reazionaria e una maggioranza progredita, spettatori e consumatori conquistano così il teatro come l'ultimo dei media. Cosa importa se ancora pochi colpi di incontrollata tosse potrebbero essere fraintesi come il sintomo di un'irri0essa, "teatrale" spontaneità. Se sembrano il surrogato o il corrispettivo di un applauso messo a imbarazzante ouverture, invece che in un trionfante finale. Se sembrano dimostrare che il teatro per l'esattezza non è morto (come arriva a volere anche Baudriijard), ma si è soltanto capovolto? Momentaneamente. 17
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