16 DISCUSSIONE/GIACCHÈ vedere. Dentro al film (soprattutto nella sua versione originale, dai dialoghi riuscitissimi) si specchia un clima di isterismo, di violenza verbale, una difficoltà di convivenza che sempre più rende faticosa la vita quotidiana in Israele. Persino il turpiloquio ne fa parte, manifestandosi in forme patologiche, tipiche di uno stato di malessere, spesso consapevolmente vissuto. Non solo, dunque, fra gli israeliani che hanno applaudito il film è viva nell'intimo una qualche coscienza del torto storico subìto dai palestinesi, e dell'impossibilità di vivere in pace senza risolverlo (ma molti di loro, si sa, ormai accettano anche lo stato di guerra permanente). C'è insieme, probabilmente, il riconoscimento di una società nata europea la quale, trasformandosi in una società più tipicamente mediorientale, in qualche modo va anche alla deriva. E Issam? L'eroico militante palestinese artefice del miracolo nel supercarcere? Uri Barbash gli assegna, per tramite dell'attore Muhamad Bakri, persino un aspetto perfetto. Gli interessa poco scavare nel suo animo. Gli preme però affermare come sia innanzitutto e inevitabilmente per tramite suo - cioè dalla parte del torto subito e del popolo espropriato - che può avviarsi la ricerca di una soluzione comune. È la necessità di indicàre ben chiaro questo passaggio preliminare che obbliga probabilmente Uri-l'intellettuale a sfumare nell'eroismo assoluto il personaggio Issam. Certo, in altre circostanze sarebbe stato possibile spiegare diversamente, con ragioni più prosaiche, perché mai un palestinese possa rifiutare la scelta terroristica e convincersi invece della necessità del dialogo con i proletari ebrei. Proviamo a immaginarci un lssam proprietario di una carrozzeria nei territori occupati, che fa buoni affari con gli israeliani. Oppure un Issam avvocato, convinto che l'autodeterminazione palestinese sarà possibile solo nell'ambito di uno schieramento occidentale ... Non era davvero il caso di ricorrere a simili sotterfugi per spiegare il particolare livello di maturità dei palestinesi (tradizionalmente progrediti anche in confronto alle altre nazioni). Il pubblico israeliano non avrebbe capito. La metafora non avrebbe funzionato. Mentre invece Oltre le sbarre funziona proprio tramite il suo indicarci la strada apparentemente impossibile. Nonostante i ricordi poco felici delle Pantere nere, la strada della pace passa attraverso i cuori di milioni di Uri-il sottoproletario. Questo vale per l'una e per l'altra parte, ma in particolare per un Israele che alla pace potrà arrivarci comunque solo da nazione mediorientale, da nazione normale. COLPIDITOSSE PiergiorgioGiacchè D'accordo con Eugenio Barba e la sua ''.profonda convinzione che il teatro non può che essere rivolta", si deve ammettere che passano sragioni intere in a/tesa di teatro. Succede un po' dappertutto. Forse più a Foligno che a Milano, ma dappertutto. Ho visto addirittura Gassman fermarsi in scena per alcuni secondi ... Mezzasala, buio. Un attimo di silenzio contratto. Poi lentamente sale la musica e la luce dello spettacolo e -insieme, improvvisa - la tosse. C'è qualcosa che prende alla gola a teatro. Che scoppia senza vergogna come una rapida epidemia. E non è quella tosse che ci sorprende all'Opera, per un'impellente ingenua proiezione dentro lo sforzo di un'inarrivabile soprano. Tantomeno è più quella rara, suonata da pochi e subito condivisa dall'imbarazzo generale: tosse che era una dichiarazione di presenza, uno schiarimento di voce prima di andare a incominciare e - infine - un misto di inverno e di tabacco. È invece una tosse diffusa e continua, una tosse forzata e limpida, da non-fumatori, da pessimi attori. Una tosse corale di assestamento. Forse vuole esprimere una autocoercizione violenta, persi gli automatismi di una educazione al teatro. Vuole segnalare che ci si sta dando da fare per abituarsi al buio, al silenzio, alla compostezza e alla scomodità di chi si accorge in ritardo di far parte di una platea, di chi soltanto a luci spente si avvede di essere in pubblico. Ma allora perché c'è meno tosse (o non ce n'è affatto) al cinema? No, la tosse a teatro è un fenomeno fisico certamente provocato dalla spinta di un inconscio disagio e dalla controspinta (superegoica) dell'Abbonamento: è il leggero sisma provocato dal dislivello tettonico che c'è fra il Prestigio del biglietto e il Fastidio del teatro. "Il teatro fa male" (recitava il monologo gassmaniano di Codignola): ma allora a maggior ragione cerchiamo di leggere attentamente le avvertenze e scopriamo le nuove modalità d'uso. Il fastidio del teatro è forse la sua ultima "differenza". Delle tante decantate e laboriose alterità che ci si è per anni affannati ad attribuirgli. Forse quel colpo di tosse è l'ultimo segnale di cattiva digestione, nel panorama onnivedente quanto onnivoro della ormai completata società dello spettacolo. Se fosse così varrebbe la pena di capire il perché e magari di indovinare il per dove ci si può ancora una volta incamminare, alla luce di questo ennesimo e ritrovato "punto di partenza". Ma è mai possibile amplificare oltre il grottesco lo scatarramento degli spettatori medi di provincia, dare consistenza e dunque credibilità a questo debole segnale di un comportamento magari travisato, magari inventato? Nel teatro sarebbe lecito. Chissà che nel "parlare di teatro" non ci sia concesso? I Parlatori Di Teatro si mettono troppo spesso in una posizione arbitraria. E scomoda. Ieri per dare giudizi, oggi per fornire
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