14 DISCUSSIONE/LERNER po l'immigrazione in Israele), è conseguen- .temente meglio in grado di svelare uno dopo l'altro i particolari che compongono tale metafora. La quale si rivela tutt'altro che scontata e appare, anzi, provocatoria e au- . dacissima. Di quel particolare tipo d'audacia capace di afferrare e di penetrare individualmente molte coscienze sedimentate da una storia secolare, rivelandosi dunque assai efficace (come dimostra il successo del film proprio in Israele). La metafora di Oltre le sbarre, cioè, pretende di agire attraverso meccanismi e argomentazioni ben più articolati di quelli che, per esempio, originarono l'enorme impatto emotivo di The day after. Il regista Uri Barbash, intellettuale aderente a un movimento quale "Peace now" - nato non a caso nelle università e fra i quadri medio-alti dell'esercito, quindi caratterizzato da un'impronta europea oltre che progressista - nel film sceglie invece di trasmettere il suo nome, Uri, e alla fine anche la sua speranza, a un rapinatore di origini yemenite o giù di lì, che nel fisico nessuno sarebbe in grado di distinguere da un arabo ma che proprio per questo più degli altri odia gli arabi, che aspira e contrae le lettere dell'alfabeto ebraico in un amalgama tutto mediorientale. Quasi un'altra razza, verrebbe da dire, se l'ebraismo fosse definibile in termini specificamente razziali. L"'illuminato" Barbash sa bene come Uri-il sottoproletario e i suoi simili non solo costituiscono la base di massa della destra israeliana, ma ancor più incarnano nella loro povera sottocultura tutta l'intolleranza, il razzismo, la bellicosità contro cui il suo movimento cerca di battersi. Ma Uri-l'intellettuale (Barbash) non dimentica altresì l'antico paradosso sociale per cui, purtroppo, è spesso la maggioranza dei diseredati, sono gli abitanti dei sovraffollati ghetti urbani, gli oppressi che subiscono più direttamente il peso della guerra, sono spesso proprio loro i più accesi sostenitori della guer-· ra. Ciò è sempre più vero man mano che ci si sposta a Oriente, eppure Uri-l'intellettuale, utilizzando i più classici strumenti occidentali dell'analisi di classe, indica come la pace possa nascere esattamente là dove oggi trova alimento la guerra. Come proprio ciò che appare impossibile, alla fine si riveli quale l'unica soluzione possibile. In tempi e luoghi dominati da ideologie ed integralismi religiosi sempre risorgenti, questo richiamo all'urgenza degli interessi materiali che accomunano i proletari ebrei e i proletari palestinesi (oltretutto enfatizzata con la scelta del film di rappresentarli nell'abisso di un carcere di massima sicurezza) potrà forse apparire velleitario. Quante volte, purtroppo, si è rivelato tale! Racconterò fra poco alcune delle illusioni e ~ .t delle delusioni che Oltre le sbarre mi ha riportato alla mente. Eppure resto dell'idea che l'intelligenza di Barbash è proprio quella di insistere su questa e non sulle altre strade che pure nella sua esperienza diretta egli ha praticato. Ricordiamo, all'inizio del film, il giovane intellettuale ebreo sensibile alla causa palestinese, l'ex paracadutista Assaf condannato a cinque anni per i suoi rapporti con i fedayn. Cosa può lui, da solo, dentro al supercarcere della disperazione mediorientale, in balìa di dinamiche, traffici e interessi incontrollabili? È già ·molto se salva la pelle e se, alla fine, riconquista la fiducia degli altri detenuti. Solo la presa di coscienza di Uri-il sottoproletario può invece modificare la situazione. Lui è l'unico vero protagonista del film (mentre - come vedremo - la figura perfetta del palestinese lssam assolve a una funzione prevalentemente simbolica). Potremmo aggiungere che lo stesso movimento di "Peace now" - pur avendo esercitato in alcune fasi un notevole peso politico - non è di per se stesso strutturalmente in grado di toccare al cuore, con il suo messaggio, il nucleo maggioritario della società israeliana in guerra. Cosa di cui Uri-l'intellettuale mostra di essere consapevole. Detto questo, resta vero che un approccio prevalentemente "classista" alle contraddizioni della società israeliana e più in generale al conflitto mediorientale si è già rivelato in varie occasioni assai deludente. Per tutta la durata del film, assistendo alla progressiva maturazione di Uri-il sottoproletario, non potevo fare a meno di ricordare l'avventurosa storia delle Pantere nere israeliane, cioè di quel movimento di rivolta degli ebrei orientali contro l'establishment askenazita che all'inizio degli anni '70 sollevò non poche speranze. Quanto ci appariva limpida e lineare, quella rivolta! Nasceva da un vecchio quartiere cadente di Gerusalemme, Musrara, posto quasi di fronte alla Porta di Damasco, a mezza strada fra lazona degli ebrei ortodossi e la città araba (verso la quale, naturalmente, dopo ogni attentato terroristico, partiva da Musrara qualche squadraccia di picchiatori, assai simile a quelle çhe·prima di emigra_regli ebrei marocchini, jrakeni, yemeniti erano abituati a vedersi arrivare in casa, magari dopo un'in·- cursione aerea dei Mirage israeliani). A Musrara abitavano famiglie molto povere e molto numerose, arrivate quasi tutte dopo la proclamazione dello Stato nel '48. Quelli delle Pantere nere raccontavano come l'establishment askenazita si mostrasse lieto e anzi sollecitasse quel tasso di natalità particolarmente alto. Il primo ministro Ben
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