Linea d'ombra - anno II - n. 9 - aprile 1985

gabbia cubicolare WKHY brucia di solitudine ... "); e sono soprattutto le "Scene di film", riferite ai "pentiti": o meglio, alla percezione traumatica che ne\ha chi fu loro compagno di lotta. Qui, è come se WKHY, nome impronunciabile - forse, nell'intenzione di Cutcio, l'indicibile, oppure l'anonimo - scoprisse con stupefazione l'ineffabilità dell'unica rottura non prevista (e perciò, non dicibile) del proprio universo: quella con i propri "fratelli", con i compagni di lotta che infrangono non solo il "vincolo associativo", ma anche il legame di solidarietà. Ferito da tale scoperta, WKHY riprende a balbettare nell'antico linguaggio: quello didascalico - e rozzo, approssimativo, "sporco" -del discorso politico. Con due innovazioni: innanzitutto, la sua interpretazione del "pentitismo" non è certo quella che gli "irriducibili" danno, ma ne costituisce proprio l'esatto contrario ("Un po' d'infame c'è dentro ciascuno di noi ... Dentro di me. Dentro di te"); e d'altra parte, per comunicare quella interpretazione, Curcio ricorre al linguaggio di una sceneggiatura cinematografica: quasi ritenesse questa - nella società dei media - la forma più veloce ed efficace per far passare un messaggio politico diretto. Infine, il terzo "indirizzo" del racconto all'interno della fitta produzione proveniente dal carcere, è quello proprio del dibattimento processuale. Chi ha assistito anche solo a un'udienza di un processo per "fatti di terrorismo", sa quale sensazione di penoso imbarazzo si prova ad ascoltare il dialogo tra sordi che lì si svolge. È anche, evidentemente, un problema di linguaggio. Quello degli imputati è fitto di allusioni, riferimenti o -=----- ~ ~ - \ '-)i~ ~~) . .,. .,, ,; " ,. .. e rimandi a un universo ideologico e semantico difficilmente traducibile "in italiano". Ci sarebbe davvero bisogno di un interprete: di un interprete, nel senso letterale della parola, che non solo chiosasse ciò che viene detto - fornendo le relative legende storiche, politiche, sociologiche - ma che anche ne curasse la versione in un vocabolario accessibile. Insomma, qualcuno che, quando l'imputato dice "comando d'impresa", spieghi in simultanea: "direzione della politica industriale di una fabbrica, o di un settore produttivo". E così via. E poi, naturalmente, anche "interpreti" in grado di illustrare il contesto e lo scenario, le cause e le implicazioni delle vicende dibattute: sociologi e sindacalisti, antropologi ed economisti; magari, anche teologi e moralisti. Cosa vogliono dire, infatti, termini (uditi nel corso di deposizioni di imputati di Prima Linea) come procedimenti for·mali e tecnicopolitici, livel!i di operatività, comando di sede, quadro politico-militare, forzare il dibattito sul/a forza ...? A quali parole di uso comune corrispondono per i giudici popolari? A quale realtà identificabile e familiare possono essere riferiti? Qui sta la tragedia di un racconto che - con l'abbandono del processo-guerriglia da parte della stragrande maggioranza degli imputati per "fatti di terrorismo" - potrebbe costituire la forma privilegiata di comunicazione tra carcere e società civile; e tra detenuti che in varie forme recedono dalla lotta armata e i loro possibili interlocutori. Potrebbe: dal momento che quel racconto ancora non riesce a farsi dialogo, e proprio in ragione dell'intraducibilità del suo linguaggio. La qual cosa non è solo lo strascico estremo di vizi culturali resistenti: è anche, e soprattutto, l'espressione di filtri ideologici - beninteso, dell'una come dell'altra parte - che non vogliono allentarsi. È questo, credo, a rendere difficile la circolazione e la lettura di un libro come Frammenti (Quaderno di Controinformazione n. 4, Milano 1984) che raccoglie parte delle testimonianze rese in tribunale da componenti della Brigata Walter Alasia delle Brigate Rosse. Attraverso le deposizioni di alcuni imputati (che non si dichiarano dissociati) emerge uno spaccato vivissimo della Milano della seconda metà degli anni 70 e dei primi anni '80. La Milano della "resistenza operaia" alla ristrutturazione industriale - con tutto ciò che di minoritario e di irreparabilmente perdente quel termine resistenza evocava e comportava - e della soggettività collettiva (il senso comune, la mentalità) degli operai di fabbrica, frantumata dai processi di "riconversione" produttiva, sociale DISCUSSIONE/LERNER e culturale di quegli anni. Per ricostruire la storia di quella Milano, la storia materiale, non si può fare a meno di ascoltare le voci di quei "resistenti" fatalmente votati alla sconfitta: se questo è vero, il confronto in tribunale tra l'ingegnere dell'Alfa Rorn"eò Renzo Sandrucci e il suo rapitore Vittorio Alfieri, operaio dell'Alfa Romeo, è un "documento storico" - e d'altra parte, un racconto - impressionante e ineludibile. URIl' INTELLETTUALE EURIIl SOTTOPROLElARIO Gad Lerner Ed eccoci qua - noi, critici ipersensibili di tutto ciò che puzza di "realismo socialista", acerrimi nemici di qualsiasi tono predicatorio e didascalico e di ogni manicheismo politico applicato all'arte - eccoci qua commossi e plaudenti di fronte a Oltre le sbarre dell'israeliano Uri Barbash, cioè di fronte al film più manicheo, didascalico, predicatorio che ci sia capitato di vedere da molto tempo. Pronti, oltretutto, a riconoscergli un significato e un valore non esclusivamente legati all'efficacia del suo messaggio politico pacifista. Per quanto paradossale possa sembrare, ho l'impressione che il fascino del film risieda proprio nell'ingenuità con cui ci si presenta come metafora minuziosissima, quasi pignola, iper-conseguente fin nei dettagli. Chi meglio conosce la società israeliana di oggi, la storia degli ebrei orientali e del loro rapporto con gli arabi (prima e doLe illustrazioni di questa sezione sono di Giuseppe Ducrot. 13

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