Linea d'ombra - anno II - n. 8 - febbraio 1985

96 INCHIESTA/~EBASTE nerazione semplicemente perché la mia generazione, ora, non produce e non fa e non si fa sentire. Quando scrissi Altri libertini allora sì mi sentivo di narrare percorsi collettivi perché vivevo continuamente in mezzo a gente che cercava questi percorsi. Ora non più. Ed è forse anche giusto. Ora mi interessano nuove forme, nuove strutture narrative, nuovi tempi verbali e modalità d'intrecci. Mi interessano movimenti più profondi ed individuali, mi interessano la religione il senso ed il sentimento di Dio: mi interessa la passione, l'amore; e i sentimenti che le persone provano fra di loro che sono sempre sentimenti un po' offensivi e un po' buffi. Sentimenti che feriscono sempre dove meno lo vorresti. ALFREDAONTONAROS 1) Perché altrimenti queste cose che mi passano per la testa ho paura di dimenticarle. 2) Lo stesso che c'è tra i nostri tic, le nostre paure di trentenni e la nostra infanzia. Tra il nostro malessere e la struttura sociale in cui viviamo. Un rapporto complicato da rimandi costanti a qualcos'altro, da sogni di radicali trasformazioni o da uno stato di disgusto (nei confronti dell'esperienza) che ogni tanto prende la penna in mano e si fa testo. 3) Oltre alle funzioni tradizionali forse quella di rivelare all'io che non siamo soltanto ciò che a noi e ai mass media risultiamo essere. Che c'è dell'altro. Oppure - e tra breve potrebbe anche essere così - agli audiovisivi il potere della comunicazione, alla letteratura il ruolo superstite di testimoniare un tempo in cui suoni e immagini, tritati e cucinati, venivano serviti in forma di parola. 4) Se chiedi se sento di appartenere a una "generazione" sono perplesso. Forse perché penso a generazioni illustri ("Officina", "Politecnico", gli arrabbiati inglesi ecc.), mi pare che scrivere e avere più o meno trent'anni non basti. Più che omogeneità anagrafiche penso occorrerebbe almeno una comune "moralità intellettuale". O dei grandi traumi in comune (come per la generazione del Viet Nam o quella della resistenza). O, meglio ancora, "una comune idea della giusta società e dei suoi abitanti", come diceva Adorno. Minime aspirazioni comuni da far vivere, ciascuno a modo proprio. O alcune figure comuni con cui rivestire ciascuno utopie diverse. Credo che una generazione sia questo. Qui invece stiamo parlando di persone che, il più delle volte, neppure si conoscono. Fra qualche anno forse il tempo permetterà risposte più precise. 5) Domande come queste nascono probabilmente, credo, da quel senso di inferiorità che si sta insinuando in chi fa letteratura; primi sintomi di un senso di insufficienza che si sta accumulando nei confronti dei linguaggi elettronici. Da qui un ricorso sempre più frequente ad un lessico videomusicale o una letteratura che si rovescia le tasche schiacciata da problemi di identità, spiazzata nel grande gioco della videocomunicazione. O anche farsi queste domande è un gioco? Allora: la Recherche è calda o fredda? E l'Ulisse? Poi non mi vanno neppure le regole di questo gioco, perché non capisco per quale ragione la razionalità, l'introversione, la sensibilità debbano avere valenze metaforiche da frigidaire. E non magari colori e calori equatoriali. BEPPESEBASTE 1) Io sono ancora talmente - e ingenuamente - intento a rispondere alla domanda "perché scrivo", che tutto ciò che scrivo ne risente, e non cesso di stupirmene - scrivendo. (Ma sono anche d'accordo con Max Frisch: "Se la letteratura non esistesse, il corso del mondo non cambierebbe per nulla; ma si vedrebbe il mondo in un altro modo, come i privilegiati di ieri e di oggi augurano di vederlo: al riparo di ogni messa in questione".) 2) L'esperienza, credo, è sempre in qualche modo necessaria, ma non so bene come e dove, e non so neanche quale. Lasciamo da parte la "esperienza della scrittura", intesa come pratica, che per ognuno è differente e dà luogo a poetiche differenti. Non so, io per esempio, attualmente sto scrivendo cose talmente vere e bizzarre da farmi rovesciare il famoso inciso di Boris Vian ("questa storia è interamente vera, perché l'ho immaginata dall'inizio alla fine") nel suo possibile contrario, "queste storie sono assolutamente immaginarie, perché le ho vissute fino in fondo"; ed alla fine è uguale, da qualche parte si trova l'esperienza, chissà dove, ma forse l'importante è che essa stia altrove. (Citazione: " ... sempre il leggere mi va da un'altra parte, che non è l'intelletto ma nemmeno il cuore, a meno che esista un cuore all'aperto, con vicende di buio e di luce, non so" - Livia Candiani, lettera privata, 1983). 3) Credo che sia comunque importante, sempre, sostenere la lentezza propria dello " " scrivere e del leggere nel mondo degli audiovisivi e delle armi nucleari. Anche con gli audiovisivi, certo, si fa della scrittura. Con un gruppo di artisti ho fatto anch'io un videotape, cercando di rappresentare e problematizzare la scrittura, lo scrivere. Il titolo claustrofobico, o claustrofilico - Questo periodo non finisce mai - suggerisce che si tratta di un film paradossalmente lento. Con questo non intendo svolgere la difesa corporativa di un linguaggio contro altri connotati diversamente; ma, anche in generale, trovo che la lentezza sia una politica molto importante. Per quanto riguarda gli altri linguaggi, a me piace praticamente tutto. Inoltre trovo dappertutto dei bellissimi esempi di scrittura e, per limitarmi al narrare, anche sui muri e sui giornali ci sono dei bellissimi racconti, e anche nelle frasi della gente, basta trovarsi nella disposizione di spirito adatta. A parte le lettere private, ad esempio la scrittrice Giulia Niccolai scrive dei racconti fantastici che trova spesso "per strada" (proprio come i fotografi), li raccoglie e ce li offre come deifrisbees (così almeno li chiama lei). Con un altro amico, un pittore, abbiamo pensato come sarebbe bello un giornale fatto di notizie in cui non ci sia nulla di singolare, di nero: "Un cane non morde un ragazzo", "Il tale ha fatto il bagno e non è annegato, poi è tornato a casa in macchina e ha fatto un bel viaggio senza incidenti". Immagino benissimo anche un telegiornale fatto in questo modo. Tutto questo a me sembra un buon esempio di "narrativa", vicina a certi rituali primordiali e semplici, e differente di natura rispetto al grande e abbastanza terribile sistema dell'informazione che ci rumina addosso in continuazione, e che vuole dirigere le nostre vite. Per lo stesso motivo amo molto certi film, che raccontano storie minime, etc. etc. 4) Non ho mai capito di che generazione faccio parte, ho amici~ interlocutori di ogni età. Non credo alla formula "giovane narrativa", la trovo fuorviante, non so neanche che cosa voglia dire. Credo però che in Italia ci siano poche cose "giovani", per vari motivi: elencarli sarebbe un discorso troppo triste e forse unilaterale. 5)'Non Ìni ricordo che cosa vogliano dire "freddo">e "caldo". Penso clie in letteratu, ra siano ancora esprimibili non tanto "un mondo di sentimenti", ma dei sentimenti, dei mondi di sentimenti, ed in parecchi modi diversi, spero contraddittori. Del resto, un mondo senza sentimenti, pensato con rigore, si avvicinerebbe molto al paradosso, a certi koan zen, come quello dello specchio che non riflette nulla: uno specchio così, che cosa riflette? "

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