giornata con gli scrittori, non mi riusciva nemmeno di leggere''. 5) Non riesco a capire bene questa distinzione applicata in letteratura. A proposito di "caldo", la temperatura di un testo è sempre altissima o il testo non esiste neppure. Credo che, a questa condizione, la letteratura possa ancora esprimere tutto, al di là delle alterne (e fin troppo prevedibili) censure e riscoperte dei critici (che costituiscono sempre più un problema interno della categoria e sempre meno un aiuto a capire per lo scrittore). CLAUDIOLOLLI 1) Ho l'impressione che "scrivere" (come fare musica o altro) non sia una decisione che "si prende", come si può (forse) decidere una carriera, uno studio, una gita a Rimini etc. Mi pare piuttosto che si sia, in certo senso, passivi di fronte a qualcosa che si impone a noi: la scrittura, almeno nel profondo e nel privato, si subisce. La razionalità, la scelta o il progetto arrivano in un secondo tempo, quando si decide, semmai, di smettere di scrivere. Quindi cambierei la domanda in questo modo: perché non smetti di scrivere? (che significa anche: perché cerchi qualcuno che continui a leggere le cose che non smetti di scrivere?) Per quanto mi riguarda personalmente, potrei dire che non smetto di scrivere perché da tempo ho smesso di parlare (sempre che abbia cominciato) e, purtroppo, non riesco a dominare il bisogno di comunicare in qualche modo con qualcuno. E mi pare che mi riesca meglio "dire" qualcosa, se l'altro è lontano, astratto, forse inesistente ma forse anche coinvolto molto più in profondità, con la sua memoria e con tutto il suo sentire in quello che "dico". "Che cosa gli dico" ha certamente una grande importanza, ma forse la cosa più importante, quella che può fare scattare delle energie addormentate o invecchiate, è che, in qualunque modo, tra me e "lui" ci sia un contatto. E mi sembra (forse a torto) di riuscire ad elaborare una ricchezza comunicativa solo scrivendo, solo con la pazienza, il tempo e l'artigianato minimale della pagina. In altre parole: so di non saper fare niente, non sono ancora sicuro di non saper scrivere. Ecco perché non smetto. 2) L'esperienza è una cosa a cui non si può sfuggire, e mi pare che ogni testo sia informato dall'esperienza dell'autore. Non credo però che lo "scrivere" vada confuso con il giornalismo o con l'autobiografismo, che sono senz'altro modi "nobili" di scrivere (forse troppo), ma che non possono esaurire la letteratura. Che è, mi pare, un lavoro di approfondimento, di scavo e di trasfigurazione dell'esperienza che, dallo scrivere, dovrebbe uscire arricchita di potenzialità comunicative. Non è obbligatorio, né necessario né auspicabile raccontare i fatti proprii: in ogni caso si possono raccontare a patto che, tra i fatti proprii e l'eventuale lettore, ci sia il lavoro infinito e passionale della letteratura: che quei fatti divengano non più la propria storia, ma "una" storia che l'altro può accogliere o rifiutare prescindendo dall'esperienza privata dell'autore. 3) Ed è questo, mi pare, il lavoro che la "civiltà audiovisiva" si rifiuta categoricamente di svolgere: paradossalmente la perfezione formale e la velocità della comunicazione elettronica finiscono per privilegiare un messaggio non ambiguo e ricco, ma chiaro e violento. L'esibizione della forma non viene più intesa e usata come liberazione da un discorso del potere ma per il suo esatto contrario: la miniaturizzazione del discorso potente. L'esasperazione della fantasia viene asservita alla mancanza di fantasia. Infinite variazioni su un unico tema. Per questo va difeso (o forse riconquistato) uno spazio della letteratura: perché la sua lentezza e la sua profondità, la sua indipendenza dall'attualità e dal momentaneo, possono promettere, se non garantire, degli spazi intellettuali ed emotivi di libertà. Forse il problema oggi è fare in modo che qualcuno si permetta di sentire nuovamente il desiderio di libertà, o di capire in quale linguaggio incomprensibile lo sta già esprimendo. 4) In questo senso la letteratura non può essere né giovane né vecchia, l'età anagrafica dell'autore o del lettore non ha, ovviamente, alcun peso. (Personalmente mi sento più giovane di un diciottenne e più vecchio di un cinquantenne). MIRELLA SERRI 1) Scrivere è un atto che ha in sé una serie incalcolabile, infinita direi, di implicazioni di tipo intellettuale, sociale, psicologico, per cui non penso vi sia una spiegazione unica al perché si scrive. Ogni "oggetto" scritto del resto ha la propria specifica giustificazione e, per me, la scrittura segue quasi sempre un tragitto irregolare e discontinuo e cambia le proprie motivazioni a seconda delle varie fasi e momenti, lungo tratti e segmenti del suo stesso percorso. All'inizio la scelta di quello che voglio raccontare è determinata dal caso: come se un impulso mi spingesse a frugare, a rovistare in un fondale sommerso per portare alla luce materiali perduti. li punto di partenza è casuale e volatile ma il lavoro INCHIESTA/LOLLI successivo è impegno per costruire una struttura, per avviare un progetto di narrazione. Costruire è uscire dall'indeterminazione e vuol dire compiere un gesto simile a quello di un tiratore di fronte alla sagoma mobile del proprio bersaglio: quando scrivo ho l'impressione e il desiderio di punire la realtà. La sensazione di colpire e di vendicare si accompagna al piacere, opposto e simmetrico, di salvare e di mantenere in vita ciò che io voglio, al contempo, tutelare e conservare. li mio scopo non è comunicare un'esperienza -il passaggio dell'autore al testo e dal testo al lettore non è una traiettoria diretta e subisce numerose deviazioni - ma di istituire una analogia di comportamenti. Una analogia tra il "mondo che si vive" e il 'mondo che si scrive', entrambi dominati dalle leggi di vita e di morte, di accettazione e di negazione: solo che mentre nel mondo di immaginazione, l'artifex, il regolatore, l'arbitro della scena sono io in quanto autore, nel mondo che si vive, evidentemente no. Scrivere è cosi il punto di arrivo, la sintesi di potenza e impotenza insieme, e può essere la realizzazione della massima capacità conoscitiva e della massima -esperienza emotiva e il riconoscimento dei limiti insuperabili contenuti sia nell'esperienza che nella conoscenza. 2) Dipende da che cosa si intende per esperienza: se si vuole affermare che, per descrivere una località o una situazione bisogna realmente esserci stati o averla veramente vissuta, direi che l'esperienza assolutamente non serve. Se no, non si capirebbe come mai, per esempio sono stati scritti e si scrivono infiniti romanzi storici, dal momento che nella storia non si abita né si viaggia. Ma se per esperienza si intende una forma di percezione - conoscenza di ciò che si ha intenzione di raccontare, questa può nascere tanto dal rapporto diretto con la "vita", quanto da quello più indiretto, culturale, intellettuale (per descrivere l'Alaska si può prendere una guida turistica, per il carattere degli esquimesi è già più difficile ma si può pur sempre ricostruire). La letteratura nega comunque qualsiasi speculare fedeltà, è un universo trasposto, spostato. li romanzo deve reinventare l'esperienza per poterla narrare. 3) Le modificazioni di un'epoca tecnologica avanzata hanno indiscutibilmente destinato la letteratura a un posto periferico e marginale nella sfera della comunicazione; la cultura di massa ha profondamente mutato le caratteristiche di una cultura basata soprattutto sulla tradizione letteraria mentre contemporaneamente ha favorito e incrementato il "lavoro letterario", il lavoro che si è sviluppato negli apparati di produzione 93
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