92 INCHIEAS/TtiORRET rietà di intenti. Non ci sono, come una volta, una cultura francese o americana da introdurre in Italia, un fascismo da combattere, un'Italia da ricostruire - cose che nel passato hanno unito gruppi di scrittori. Se ci sono cose che ci accomunano, sono in genere negative: ambizioni, marchette nell'industria editoriale e dei mass-media, narcisismo, specializzazioni - chi ama solo i maschi; chi solo le femmine; chi solo le belle lettere. Meglio quindi che non ci accomuni niente. D'altra parte, pare che ci evitiamo, che ci leghino relazioni di affari soltanto; e che nel milieu la diffidenza sia superiore alla curiosità e all'amicizia. Quando ci si incontra, è il caso che ci fa incontrare. Per esempio sono stata invitata dal Goethe-Institut a trascorrere un mese in Germania con altri scrittori. Era stato invitato anche Sebastiano Vassalli. Nonostante le nostre scritture e i nostri mondi siano molti diversi, ci siamo intesi; l'intesa era fondata su alcuni fatti elementari: l'impegno civico e umano, l'amore per le parole giuste, l'umorismo, la tolleranza verso la vita, l'insofferenza nei confronti della sua caricatura. È un giovane scrittore? Ha qualche anno meno di me, ma pubblica da quasi venti anni. A parte queste considerazioni, per me gli scrittori non hanno né tempo né spazio né sesso; se sono tali. La forza dell'immaginazione infatti riesce in parte a vincere queste barriere. Un vero scrittore è sempre giovane e venerando, come Rimbaud. 5) Questa domanda non mi piace. È come se un giornalista ti chiedesse: ti piace "il crudo" o "il cotto"? Perché ha letto LévyStrauss. Io non seguo né la critica teatrale né quella musicale. Rispondo allora a queste due categorie, desumendone il significato dall'uso corrente. I sentimenti sono caldi, la riflessione, il pensiero e lo spirito sono freddi. Ho pagato un prezzo troppo elevato come donna per potermi contentare dell'uso comune di queste parole. Le donne dovrebbero essere calde, come la natura madre, e così dovrebbero esserlo gli artisti, mentre scienziati, uomini di affari, militari, saggisti, dovrebbero essere freddi. Su questo uso delle due categorie sono in gran disaccordo. Le persone e gli scrittori che prediligo sentono con la ragione e ragionano coi sentimenti. In un buon libro vi sono sempre caldo e freddo, pathos e riflessione. Alioscia per esempio ne I fratelli Karamazov contemporaneamente conosce tutto l'orrore della vita, ma conserva passione verso di essa. Suo fratello Dimitri è troppo accecato dalla passione, suo fratello Ivan impazzisce perché è troppo razionale. E la vita non è troppo cambiata rispetto a cento anni fa. Non ci sono state né mutazioni genetiche, come quella che portò la scimmia alla posizione eretta, né spirituali, come quella che portò dal vecchio al Nuovo Testamento. Mi accorgo nel risponderti di un mio difetto costante: quello di stare a sentire poco gli altri; nella seconda parte della domanda chiedi: come sia possibile esprimere un mondo di sentimenti in letteratura, semmai debba essere espresso. Certo che deve esserlo! In questo consiste la funzione della letteratura, altrimenti è "scienza". La scienza della letteratura è proprio quella di esprimere i sentimenti. E il sentimento è l'esatto opposto del sentimentalismo. Quanto a ricette, non ce ne sono, tranne alcune necessarie, ma non sufficienti; quelle necessarie sono: prima di tutto continuare a scrivere, sapendo che è un mestiere artigiano e qualificatissimo, come quello del restauratore di mobili o del calzolaio; che i tempi della scrittura, oltre che quelli del suo apprendistato, sono lunghissimi; difendendosi dalla mercificazione del prodotto e quindi evitando di fare marchette· con la letteratura - premi, feste, trasformazione della parola in immagine o in merce -; vivere fino in fondo il proprio destino, sapendo che è solidarmente legato a quello degli altri, quello di tutte le creature, organiche e anche inorganiche. Questo è il minimo comune multiplo. E questo comune multiplo non è affatto una categoria fredda. Poi c'è il massimo comune multiplo: ci sono i geni. E io credo alla loro esistenza. DANIELGEORRET 1) Non vedo il volto che mi formula questa domanda, ma lo immagino atteggiato alla massima naturalezza. Cos'è più ovvio di chiedere a uno scrittore per chi e a quale scopo egli scriva? Cos'è più scontato, per lo scrivente, di parlare dei propri progetti, di rendere conto del proprio lavoro? Se non lo sa lui. .. A me, invece, è sempre parso strano che uno scrittore possa rispondere con lucidità a una domanda del genere; mi sembra che la scrittura esiga, tra l'altro, una sorta di obnubilamento di quello che è il senso e la direzione in cui si sta avanzando. Parafrasando Valéry, direi che lo scrittore è "una persona che non sa esattamente cosa dire, ma è forte del suo bisogno di scrivere". Più facile mi sarebbe allora rispondere ad una domanda del tipo: "Cosa ti ha costretto ad iniziare a scrivere?" e potrei prendere aprestito la risposta, chiarissima, di Gadda: "Nella mia vita di umiliato e offeso, la narrazione mi è apparsa, talvolta, ... lo strumento della rivendicazione contro gli oltraggi del " destino e de' suoi umani proietti: lo strumento in assoluto del riscatto e della vendetta". 2) Che rapporto c'è tra le strade, i palazzi, i monumenti di una città reale e i segni, le linee, i colori che scelgo, sulla mappa, per rappresentarla? Diciamo, indicando la carta: "questa è la città in cui vivo", e sappiamo di fare un'affermazione che è, al contempo, esatta (quella del foglio non è confondibile con nessuna altra città) e falsa (quello è un pezzo di carta disegnato). Le astuzie del testo per amplificare o minimizzare, sovrapporre o sottrarre i dati del "vissuto" sono quasi infinite, ma "dentro", si può esser tranquilli, c'è "tutto". "Necessaria" è soltanto l'esperienza di un'insormontabile inadeguatezza alla vita. 3) Di fronte ai linguaggi intelligentini e sicuri di sé della "civiltà audiovisiva", quello della letteratura è destinato ad apparire terribilmente ingenuo e arcaico. La sua funzione e il suo spazio sono quelli concessi agli animali feroci nelle vie di una grande città: un po' di pericolo e molto fastidio. Per questo, forse, la scrittura letteraria si concede difficilmente (e infelicemente) ai grandi esperti dei mezzi di comunicazione di massa. Gelosa e tirannica, reclama per sé troppo tempo e sofferenza e attenzioni; volubile e imprevedibile, costringe a forme di schiavitù sconvenienti a un buon operatore dei mass-media; maldestra ed eccessiva, non può che sottolineare la sua inettitudine costitutiva all'esercizio dei linguaggi di potere e di massa. La letteratura, quindi, è bene che riduca al minimo indispensabile questi "rapporti", in cui è perdente in partenza. 4) Meglio parlare di singoli giovani narratori: si corrono meno rischi. Non credo molto alle distinzioni di generazione in letteratura (tanto più se portate a livello di decennio o di lustro, per cui si parla di generazione dei trentenni, dei quarantenni, dei quarantacinquenni ecc.). Mi pa~e tanto più palpabile e vera e dura la distinzione tra scrittori che vivono nelle "capitali" (Milano e Roma) e scrittori di provincia (dappertutto altrove). Penso ci sia molta ironia nella dichiarazione di F. Cordelli (su queste pagine, n. 5-6,Poeti e puhbliço.); quando afferma che oggi in questo paese (l'Italia) "alcuni.scrittori sono grandi viv"endoin provincia e altri in città"; l'ironia stando tutta nell'uso di quell'aggettivo... Proprio perché vivo in provincia, non ho occasione di frequentare gli scrittori più noti della "mia" generazione. Ma, anche potendo, avrei paura, attraverso la frequentazione e la conoscenza personale, di deludere e di esser deluso. Sarebbe terribile trovarsi a ripetere le parole di A. Delfini: "Dopo una
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