ULTIME L VE UNQUESTIONARIO Al GIOVANISCRITTORI ITALIANI a cura di F. La Porta e M. Sinibaldi ILQUESTIONARIO 1) Perché scrivi? 2) Secondo te che rapporto c'è tra testo ed esperienza? L'esperienza personale di ciò che si narra è in qualche modo necessaria? 3) Quali sono secondo te la funzione e lo spazio della letteratura nella civiltà audiovisiva (rapporto con ì mass media, rapporto con gli altri linguaggi)? 4) Ritieni si possa parlare di una "giovane narrativa"? Ti senti espressione di una generazione? 5) A proposito di "freddo" e "caldo", categorie usate in questi anni per definire linguaggi e sensibilità, soprattutto nel campo del teatro e della musica: hanno un senso in letteratura? trovi che ~ia ancora esprimibile in letteratura un mondo di sentimenti, e se lo è in che modo? FABRIZIARAMONDINO I) Per rispondere in modo esauriente sarebbe necessaria un'autobiografia, per evadere dalla domanda basterebbe una boutade. Sono in qualche modo una figlia d'arte; molti scrivevano nella mia famiglia: libri di filosofia, di poesia, di storia; e diari, cronache familiari, lettere fedeli e accurate; molti soprattutto leggevano. C'era un'immensa distanza tra i libri e le tranquille esistenze borghesi dei miei parenti, lettori accaniti e scrittori accidiosi. Io invece i libri li prendevo alla lettera. All'inizio degli anni Cinquanta leggevo Rimbaud, Dino Campana e viaggiavo attraverso l'Europa in autostop, col sacco a pelo e la tenda. Lessi anni dopo il "Discorso della pietra" nei Fratelli Karamazov e fondai una scuola per i bambini dei vicoli di Napoli. Questo, per dire come per me la parola fosse sacra. Ma ognuno prende secondo la sua disposizione dagli scrittori. Lessi Delitto e Castigo: non solo non ammazzai nessuna vecchietta, non solo non ....'teorizzai mai l'atto gratuito gidiano (derivato da una lettura protestante e omosessuale i Delitto e Castigo), .ma iì'ii indignai molti anni dopo, quando i miei studenti "autonomi" dichiaravano che bisognava depredare i vecchi, perché "i compagni devono vivere bene''. Questo per dire come anche quei miei parenti prendevano quanto potevano, e era loro conforme, da quegli scrittori. Da una lettura troppo letterale e narcisistica degli autori prediletti mi ha salvata il divino umorismo - che non è cinismo, quando si identifica contemporaneamente con i due sublimi personaggi Don Chisciotte e Sancio Panza. In famiglia si dipingeva anche e in momenti di raptus ho anche dipinto e disegnato. Non era però la mia strada. Il mezzo materiale contro il quale ho sempre dovuto urtare sono state infatti le parole: forse perché dalla nascita ai quindici anni ho sperimentato, tra lingue vive, dialetti, lingue morte, ben otto diversi idiomi, sono vissuta in quattro nazioni diverse, in sette città e paesi, in diciassette case. Così il continuo tradurre da una lingua e da un luogo in altre e altri, è diventato, a un certo punto della mia vita, il tradurre l'esperienza in parole. Perché? La vita, bastava viverla! Non era necessario tradurla! Ma, molto presto, la mia relazione con la vita si era guastata: forse a causa della guerra di Spagna, forse a causa della Seconda Guerra Mondiale, forse a causa della sorte di mio padre. C'era molta distruzione attorno a me e ho cominciato a visitare il regno dei morti. Essi hanno una grande nostalgia della vita e dovevo riferirne. Non hanno mai infatti nostalgia della morte in vita, di tutte le forme di esistenza mancata. Sono tutti come Ivan Ilic, non al tempo della sua misera e stupida carriera di funzionario, di marito, di padre di famiglia, ma negli ultimi giorni di sua vita, quando è confortato e assistito dal servo e entra finalmente, poco prima di abbandonarlo, nel flusso della vita, che, quando è tale, non conosce la morte. 2) Una volta, nel formulare la domanda, si sarebbero usati termini diversi, per esempio vita e immaginazione, oppure verità e poesia. L'immaginazione è secondo me la più alta facoltà dello spirito umano: significa rompere le barriere del proprio corpo e della propria anima, uscire dal carcere, respirare la libertà. Che limite infatti e soprattutto che noia sono il colore dei nostri occhi e dei nostri capelli, i chili che pesiamo e non pesiamo, i dolori alle ossa e al fegato, i nostri pensieri, i nostri amori, le nostre ossessioni, idee fisse, angosce! Con l'immaginazione si rompono queste barriere e, anche se fuori del nostro carcere se ne scopre un altro, almeno il muro si sposta, si scopre il coro. È questa l'unica esperienza che conosco; e si può averla a sedici anni o non averla mai. Oggi c'è una grande paura dell'esperienza. Al posto del coro c'è il culto dell'individuo e della massa, i quali, per diverse ma non opposte ragioni, non fanno esperienza. Perciò i testi oggi sono così rari. Il testo, come dice l'origine della parole, è un tessuto, fatto di tela: il destino collettivo; e di ordito: la volontà individuale. Quando si è davanti a un vero testo si avverte l'esperienza: il flusso corale della vita e la dedizione al mestiere. 3) Nella civiltà audiovisiva prevale ormai l'immagine sulla parola. È anche una questione di etimologia: prima sono nate la fotografia e il cinema muto, poi ad essi si sono aggiunti parole e suoni. Appunto aggiunti! La civiltà audiovisiva, prima ancora della parola scritta ha emarginato quella orale; insomma non si ascoltano le favole della nonna, non si chiacchiera e discute a tavola con i genitori, non si parla con gli amici nei videobar, non si scrivono lettere. Tutto ciò appiattisce e impoverisce il lessico; le parole perdono sempre di più la loro antica potenza materiale e spirituale, diventano tutte prefissi e suffissi della immagine, manca al centro la radice. Oltre tutto, in un mondo di merci, diventano merci, come lo sono le immagini e tutte le altre cose. A volte ho l'impressione, descrivendo per esempio un bosco e sforzandomi di attribuire i nomi esatti alle piante, di salvare dalla morte e dall'oblio un patrimonio non solo di parole, ma di cose, una volta amate da milioni di uomini: non posso salvare i boschi tedeschi dalla pioggia acida, ma almeno contribuire a salvarne la memoria. I libri quindi appartengono sempre di più all'archeologia. Ma è proprio questo che non mi scoraggia. L'archeologia è proprio sorta e si è sviluppata in grandi periodi di trasformazione economica, politica, spirituale: nel Rinascimento, nel Settecento, durante la stessa rivoluzione industriale. 4) Il mio primo romanzo è uscito tre anni fa. Oggi, mentre rispondo alle tue domande, compio quarantotto anni. Ho una figlia di diciotto anni. Non sono giovane, non mi sento giovane: giovane è mia figlia, forse lo sono i miei libri. Non mi sento espressione di una generazione. Ho lavorato in solitudine, non mi sento parte di nessuna clique letteraria o politico-letteraria. Già nel '68, quando aderii al "movimento", il mio passato era così sterminato che non potevo né raccontarlo né piangerlo e mi pareva uno scandalo esservi sopravvissuta. Già allora, nonostante le apparenze, mi sentivo più Ecuba, che piange i suoi figli, che Cassandra, nelle sue confuse profezie. Guardandomi attorno, non mi sembra che si possa parlare di "una giovane narrativa" in Italia. Le esperienze mi sembrano tutte solitarie e prive di solida-
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