Linea d'ombra - anno II - n. 8 - febbraio 1985

insulso e tutto buoni sentimenti. Altro problema del film d'opera è la gestualità degli attori, in particolar modo quando a recitare sono i cantanti stessi. Nel caso di Domingo-Don José, non è stato del tutto risolto. Per Carmen ed Escamillo era più semplice in quanto gli eccessi retorici dell'uno, o le danze dell'altra sono ben più verosimilmente filmabili. Placido Domingo è sicuramente, oltre che cantante di rara e completa musicalità, attore di grande intensità, ma il gesto di un cantante lirico sul palcoscenico è quanto di meno realistico possa esserci, proprio perché appoggia sulla musica e deve essere molto più ampio che su un set. Domingo, pur con un carisma scenico esaltante, risente della costrizione della macchina da presa, e Rosi in questo non lo ha aiutato. E veniamo a Carmen. Julia MigenesJohnson, cantante intelligente e notevole attrice, non bella ma che sa diventare tale, e fisicamente adattissima al ruolo, è riuscita a inventare una Carmen tutta cinematografica, che si è allontanata dalle altre Carmen non tanto musicalmente, quanto nella totalità del gioco scenico; inafferrabile e bambina, e senza tuttavia quel fuoco fatuo che dovrebbe fare impazzire Don José. In questo Rosi l'ha assecondata, nel disegnare una Carmen un po' troppo capricciosa, troppo svelata ed estroversa. Un che di enigma e di mistero c'è in Carmen, ed è quello che affascina irresistibilmente Don José e che la porta alla morte. Don José non uccide il rivelato ma il mistero di Carmen. Ed è proprio questo che, infine, manca al film e al personaggio di Carmen. FUMETTO TRABLUEESTANGO Goffredo Fofi Gli albi di José Munoz (disegnatore) e Carlos Sampayo (sceneggiatore) pubblicati da Milano Libri e dalla EPC sono tra le cose egregie del fumetto contemporaneo, e tra le poche, con quelle di Altan e in parte di Bila!, le cui valenze politiche siano chiare. La voga dell'avventura riaperta da Pratt e poi da Manara e alla quale offre spesso un efficace contraltare Lauzier, o quella della sperimentazione grafica di molti giovani delle ultime leve, su storie dai soggetti incerti e sovente banali, vanno la prima in direzione di un esotismo e di un estetismo in cui le ambizioni politiche si stemperano in vaghezze eroiche, magari di eroi "virilmente malinconici", del tutto estranee ad asprezze e ripulse reali, e la seconda si soddisfa di furori del segno cui non corrispondono uguali accensioni narrative. Oltre ai citati sembrerebbe che solo Pazienza, con le sue torbide esagerazioni, sappia partire, comunque, da dati di realtà e di cronaca, che risentono della impotente esasperazione di un '77 fallimentare ma non conciliato. Come Altan, Munoz e Sampayo sono figli degli anni Sessanta, e dimostrano una sapienza "politica" maggiore forse per questo, da sconfitti ma che proprio dall'esperienza della sconfitta sanno prendere ispirazione e morale. (Bila! è molto più giovane e "francese" e mi sembra ricuperi, più che il DAVANT4I L FATTOCOMPIUTOLA FRETTA NOOE' NECESSARIA.SAR[Bf?E NECESSARIA f'RIM~ MA I CRIMINALI NONAMl?TON0... SCHEDE/FUMETTO '68, una certa tradizione intellettuale di tipo trotskista.) Munoz e Sampayo sono inoltre argentini, e esuli; vivono tra Milano e la Spagna; partecipano di culture più intricate e intriganti. La loro New York è un luogo dell'immaginario, ma che acquista concretezza dalla scelta di ambienti e personaggi sempre di emarginati per obbligo o magari per volontà, una città melting plot dove l'attenzione è posta soprattutto sui neri e sugli emigrati non integrati, con le loro lingue e i loro usi e le loro nostalgie, preferibilmente latino-americani. Alack Sinner, detective privato sfigatissimo e non giovanissimo, è in realtà poco "sinner": non è un cinico, ed è pronto a solidarietà pericolose proprio nei confronti dei suoi fratelli di emarginazione. Figlio indubbio di Philip Marlowe più che di Sam Spade, ha il sentimentalismo un tantino autocompiaciuto che era del padre putativo, ma anche la stessa generosità e la triste conoscenza degli orrori della società in cui vive e delle regole che la guidano. Ascolta preferibilmente Charlie Parker -un mito della generazione di sinistra pre '68 che doveva essere particolarmente vivo proprio a Buenos Aires, a giudicare anche dal bellissimo racconto lungo che gli dedicò Cortazar - e il bop, e se apprezza il rock non è però questa la musica della sua anima. Lo è di più, semmai, il tango, altra colonna sonora di storiche emarginazioni e migrazioni, cara certamente ai suoi creatori. È sulle note del Chery/ Blues di Parker che inizia, in un classico bar di reietti, quel Conversando con Joe che, a metà strada, spiegò ai lettori di Alack Sinner il passato del personaggio. Pur se a New York, compaiono in quella storia i polizieschi 89

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