86 SCHEDE/CINEMA somigli alla fine di uno show: come al Cotton Club, con gli attori che salutano un'ultima volta" (Coppola, intervista a "Le Monde", 3 gennaio 1985). Come i registi americani ambiziosi e eccessividel passato, Coppola fonde insieme la cultura di massa e l'avanguardia, l'industria e la sperimentazione. Riscrive, nel film, lo "stile Warner" (nel lungo finale come nei rapidissimi montaggi-sovrimpressioni che scandiscono il passare degli anni), e cita con disinvoltura, nelle interviste, l'influenza del futurismo. Ma è chiaro che proprio la musica, lo spettacolo e il cinema americani, al cui incrocio si colloca Cotton Club, sono stati nel Novecento il corpo in cui si sono incarnati molti sogni che in Europa erano soltanto nella testa dei programmi delle avanguardie. Ricostruzione in studio di un'epoca e di un mondo, Cotton Club mette in scena un vero e proprio caleidoscopio di storie e di personaggi, di ambienti e di azioni. Il principio di scrittura del film è quello dell' orchestrazione. Già l'organizzazione dello spazio è dinamica e composita. Il luogo centrale è la scena del Cotton Club con le sue esibizioni di cantanti, ballerini, musicisti, rigorosamente neri; di fronte, la platea degli spettatori soltanto bianchi; dietro, non solo il backstage, con gli elementi di genere del "the-show-must-go-on", ma anche il retroscena in cui agiscono i veri padroni, i gangsters-uomini d'affari che tessono la loro tela; fuori, attraverso l'apertura di una scala lunga e ripida, l'esterno della metropoli con le sue comunità razziali, le sue zone d'influenza, i suoi racket, le sue feste private. È rivelatore dello stato delle cose che il film fosse ormai pronto nel progetto, nel budget, nel cast prodigioso di tecnici e attori, oltre che nell'ambizione del suo managerproduttore, senza una storia, e che Coppola, chiamato in un primo momento soltanto per chiudere definitivamente la sceneggiatura (si parla addirittura di oltre trenta stesure successive), abbia finito per appropriarsi quasi completamente del film. Coppola fa muovere una miriade di personaggi maggiori e minori (pensate ai moltissimi "petits ròles" che si imprimono nella memoria attraverso pochissimi tratti) in un palcoscenico governato dall'economia violenta dello show-business, dalle regole del gioco del denaro e del potere, della razza e del sesso, della segregazione e della criminalità. "Ora gioca un po' tu" sono le parole ironiche che suggellano il film quando Owden Madden si fa arrestare e passa la palla a Lucky Luciano, prima che tutti i personaggi principali si trovino riuniti un'ultima volta nello spazio beffardo e fittizio dell'happy end e prima che il film si smonti davanti allo spettatore come uno spettacolo del Cotton Club. Raccontando le storie intrecciate di carriere e di amori (veri e propri campi di battaglia che fanno penetrare i conflitti e gli antagonismi all'interno delle gang, delle famiglie, delle coppie di amanti, bianche o di colore), Cotton Club esibisce in fondo un'unica tema, che forse riguarda da vicino la sua stessa storia: la compenetrazione di spettacolo e gangsterismo, di arte e criminalità. Ogni personaggio ha la sua funzione dentro il meccanismo dello show-business come nella gerarchia del potere criminale: produttori e esecutivi, capi e guardie del corpo, star e figuranti, boss e buttafuori, femmine di lusso e uomini che pagano. In modo appena tratteggiato ma non troppo sotterraneo, Cotton Club, gangster film e musical, finisce per rivisitare un altro genere o filone che accompagna il cinema americano dalla sua nascita, Hollywood che riflette su Hollywood. Finisce per essere un film sul cinema e su se stesso e forse per costituire una risposta indiretta e segreta a Lo stato delle cose. Nella perfezione e nello splendore della ricostruzione d'epoca delle musiche, delle scenografie e dei costumi, come nella fotografia d'atmosfera di Stephen Goldblatt, Coppola ci racconta un'avventura assolutamente contemporanea. Niente a che vedere con l'epica di Leone o la poetica del remake, il gusto rétro o il sapore della nostalgia. Come sempre, in Coppola, c'è, insieme, la storia del cinema rivista e l'invenzione del suo futuro. Se c'è qualcuno, nel cinema americano di oggi, che ha fiducia nel cinema, nel suo avvenire, nella sua non perduta potenza, questo è Coppola. Niente di più lontano da questa energia, da questo sogno di un cinema totale, forte della propria macchina tecnologica e insieme aperto all'avventura e alla sperimentazione, del culto e della pietà per il cinema di cui si compiace Wenders (HamFrancis Ford Coppola. ,, mett è stata una vicenda rivelatrice). Coppola è mosso da un desiderio reale di cinema che può trovare soddisfazione a tutti i livelli della scala produttiva. Dopo il dittico popolar-giovanile di I ragazzi della 56a strada e Rusty il selvaggio, con Cotton Club rischia l'avventura di un film di commissione dal budget enorme con un'audacia e una capacità di controllo anche nelle situazioni più difficili e pericolose che ben pochi altri registi oggi possono vantare. Il suo statuto di autore-produttore gli consente di scontrarsi e vincere la partita anche con un socio e avversario del calibro di Evans e di conquistare la fiducia dei veri padroni del film. Il divulgatissimo articolo del "New York Magazine" ci ha infatti svelato un'avventura produttiva che sembra uscita da un intrigo romanzesco alla Robbins e in cui troviamo, accanto ai due protagonisti, un universo popolato di finanziatori libanesi e petrolieri arabi, gangsters e politici, puttane di lusso e emissari equivoci, quasi un aggiornamento contemporaneo del mondo di Cotton Club ... Mentre gli intellettuali italiani "informati" scoprono con gran dispendio di energie e di banalità l'irresistibile fascino del "seriale", il cinema contemporaneo, a tutti i suoi livelli, produce mostri, eventi, casi, prototipi, film che sfuggono a qualsiasi buona regola produttiva. A Hollywood, fin dai tempi di Selznick e della decadenza dello studio-system, l'ascesa dei produttori indipendenti ha sprigionato sogni di potenza stravaganti e perversi, avventure produttive eccessive e sregolate. Coppola stesso ne sa qualcosa, almeno dai tempi di Apocalypse Now, un "esperimento" miliardario che l'establishment hollywoodiano e la critica americana non gli hanno mai perdonato. È naturale che dei due progetti di cinema potenti e totali scaturiti dalle menti più lucide degli autori-produttori della New Hollywood, sia stato quello Lucas-Spielberg ad essere più facilmente caii>itoe accettato, e che sia stato invece quello Coppola ad essere più spesso frainteso, temuto, osteggiato e considerato rischioso ed eccessivo. Del primo sappiamo ormai quasi tutto: cinema tecnologicamente avanzato, gioco elettrpnico, della memoria, remake infinito. Del secondo, oggi forse più vitale e importante, ci à'.ccorgiamodi sapere· troppo poco. L'autore Coppola lo capiremo soltanto nel suo essere multiforme di regista-produttoreinventore, autore del proprio sistema produttivo e sperimentatore delle proprie tecniche. È grazie a questa energia .versatilee mutante che egli ha potuto ogni volta risorgere dalle ceneri sempre ardenti delle sue apocalissi e dei suoi sogni lunghi un giorno. È gra-
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